Le recenti rivolte nell'Africa mediterranea sono la cartina di tornasole di trasformazioni che rendono sempre più «centrale» quest'area del mondo. Un percorso di lettura
L'Afrique noire est mal partie , dichiarava in un suo saggio un noto studioso francese, René Dumont, nel 1962. Ma le cose cambiano con il tempo ed ora quel continente sembra aver trovato la strada dello sviluppo. Negli ultimi dieci anni si sono così registrati tassi annui di aumento nel pil del continente intorno al 5,5% e nell'ultimo periodo il ritmo sta addirittura accelerando sino al 6-7%. L'andamento dell'economia appare persino sorprendente. Non mancano, ovviamente, i problemi e aspre contraddizioni in tale processo, ma esso sembra in ogni caso destinato a durare a lungo e a conquistare l'attenzione crescente del mondo. Tra l'altro, il continente registra una crescita demografica molto rilevante e si valuta che in pochi decenni la sua popolazione supererà quella di Cina ed India messe insieme. Ma in tale quadro può apparire ancora più sorprendente dover registrare il fatto che i protagonisti di questo risveglio economico sono soprattutto i paesi dell'Africa sub-sahariana, mentre gli stati che si affacciano sul Mediterraneo, come del resto gran parte dei vicini paesi del Medio-Oriente, anch'essi interessati ai sommovimenti politici in atto, riescono a crescere di meno. Un'area in ebollizione Eppure quest'area ha una popolazione mediamente più istruita, un livello di partenza per quanto riguarda dotazioni infrastrutturali, livelli di reddito pro-capite, sviluppo della società civile, storia di crescita economica, certamente superiori. Indubbiamente un punto centrale del problema sta forse proprio qui. Si può registrare in effetti una crescente contraddizione, nei paesi ora interessati dalle agitazioni, tra l'evoluzione generale della società, a partire dalla crescita di una gioventù urbana acculturtata, consapevole e quantitativamente sempre più rilevante, e la mediocrità e il sostanziale blocco dei destini politici, sociali ed economici cui essa sembra destinata, in preda, tra l'altro, almeno sino a ieri, a regimi dispotici e, a tratti, sanguinari. A queste tematiche è dedicato in particolare il libro Dove vanno le primavere arabe (Ediesse, pp. 208, euro 12) curato da Antonio Cantaro. Il volume inaugura una nuova collana delle edizioni Ediesse, diretta dallo stesso Cantaro, dal titolo Doxxi, domande per il XXI secolo , la cui ambizione è quella di guardare al mondo che ci circonda non somministrando certezze, ma cercando di pensare per domande; come scrive lo stesso autore, si tratta di interrogarsi sulla realtà con quella curiosità e quella sete di conoscenza che hanno di solito i bambini. Come viene sottolineato nella presentazione al volume, in Italia poco conosciamo dei popoli che vivono dall'altra sponda del Mediterraneo, così come, più in generale, sappiamo molto poco dei popoli dell'Asia e dell'Africa che si stanno ora risvegliando a fondamentali sommovimenti economici, sociali e politici. Riesce a colmare almeno una parte delle lacune delle nostre conoscenze del mondo emergente, in particolare della sua storia recente, anche un altro bel testo, scritto da Pankaj Mishra The revolt against the West and the remaking of Asia (Allen Lane). Quest'ultimo parte dal quadro della progressiva conquista occidentale del Medio Oriente e dell'Asia nei secoli scorsi. Al cuore della sua analisi stanno le riflessioni di alcuni pensatori dei paesi soggiogati, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in particolare di personalità come Jamal al-Din al-Afgani, Liang Quichao, Ali Shariati, Rabinandranath Tagore, che hanno contribuito fortemente a forgiare quello che Asia, Medio Oriente, e Africa Mediterranea sono oggi. Perosonalità che hanno pensato e proposto possibili vie da seguire per la rigenerazione delle loro stanche civiltà, che da una parte presentavano regimi politici ormai decrepiti, dall'altra si dovevano anche scontrare con la brutalità dell'occupazione occidentale, uscendone umiliate. Alcune delle tematiche sollevate da tali studiosi nelle loro riflessioni sono ancora oggi molto attuali; si pensi soltanto agli interrogativi già di allora su come porsi nei confronti dell'Occidente, su quale ruolo assegnare all'Islam nel riscatto dei loro paesi, più in generale su quale bilanciamento ricercare tra modernità e tradizione, su quale rapporto istituire infine tra nazionalismo e panarabismo. Al termine del libro, l'autore riflette sul fatto che la «primavera araba», con tutti i suoi problemi, ha comunque portato ad un risveglio importante delle masse popolari in Africa e nel Medio Oriente. A questo proposito, egli non si nasconde di temere che nuovi adepti del dispotismo nelle loro varianti locali, periodicamente cacciati via, continuino a ritornare sulla scena, sia pure in nuove incarnazioni. Cosa potrà succedere, si chiede Mishra, se le fondamenta sociali del dispotismo non saranno toccate e rimarranno al loro posto? Cosa può ancora accadere se l'intervento esterno e le debolezze interne cancelleranno i guadagni ottenuti dalle mobilitazioni di massa? Stratificazione cognitiva I problemi dell'Africa e del Medio Oriente, sottolinea pessimisticamente Pankaj Mishra, rimangono altrettanto spaventosamente intransigenti come sempre. Egli sottolinea come essi siano per la gran parte quelli di al-Afgani. Le rivolte e i conflitti in atto non devono far dimenticare come sia difficile per tali società, a volte molto differenziate al loro interno, trovare una loro identità politica, sociale e culturale senza fenomeni di violenza e disordine. L'autore sottolinea inoltre come la stessa Europa ebbe bisogno di centinaia di anni per sviluppare e mettere a punto il concetto di stato-nazione sovrano come prerequisito della modernità, per poi conoscere due guerre mondiali e altre tragedie. Il libro di Cantaro segue invece un altro percorso. Nell'introduzione, scritta dallo stesso curatore, vengono presentate le specifiche situazioni dei vari paesi coinvolte nelle «primavere arabe» (Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen, Turchia) al fine di sottolineare la difficoltà di comprendere i «tumulti» in corso, di volta in volta definiti primavera araba, inverno islamista , rivoluzioni democratiche o rivoluzioni della dignità civile. Dietro le varie rappresentazioni si nascondono ovviamente delle diverse visioni politiche del mondo. L'autore segnala il fatto per alcuni paesi di possa parlare di una «rivoluzione di tipo politico», mentre per altri è stata più rilevante la narura sociale delle rivolte. Stessa importanza ha la dimensione «araba-musulmana» di questi fenomeni sociali e politici. Anche in questo caso è dirimente comprendere se sia stata una dimensione omogena in tutti i paese, oppure se le specificità nazionali hanno svolto la loro parte. Per Cantaro, tuttavia, gli esiti del processo sono imprevedibili e la verità delle primavere arabe è dunque ancora da scrivere. Non servono a tale proposito ermeneutiche a senso unico, serve piuttosto un'ermeneutica del chiaroscuro, che sappia di volta in volta interpretare la specificità dei conflitti, la loro autonomia, il loro intreccio. Viene comunque auspicato che uno dei più rilevanti compiti storici delle transizioni in corso possa diventare quello di tracciare una via islamica alla democrazia e una via democratica all'islam. Su quest'ultimo tema si concentra il saggio scritto da Luigi Alfieri, che invita a fare i conti con la teologia politica e quindi il nesso tra religione e storia. La ragione per cui le rivoluzioni arabe non hanno potuto non essere rivoluzioni islamiche attiene in effetti alla fondamentale teologia politica dell'islam. Il solo principio di unificazione comunitaria è Dio, in quanto unico legislatore, unico giudice, unico sovrano, il che significa che l'Islam o è teocratico o non è . Ma questa dimensione teocratica non acquisisce necessariamente una terribile connotazione. Non sono mai esistiti in tutta la storia dell'Islam sovrani, ma neanche papi, per grazia di Dio. Non è mai esistita alcuna autorità umana che potesse pretendere di esprimere la volontà di Dio. Quindi nessuna sovranità umana è assoluta, nessuna è incontestabile. Per quale motivo allora la democrazia, si chiede Alfieri, non dovrebbe poter essere islamica? Alla fine, in un tale sistema, l'unico giudice possibile della volontà di Dio è il consenso dal basso. Il potere resta di Dio, ma il popolo è legittimato a esprimere consenso (o dissenso) nei confronti delle forme umane del potere. Marginalità europea Va infine segnalato lo scritto di Maria Eleonora Guasconi, che concentra la sua attenzione sulle relazioni euro-mediterranee. In questi ultimi due anni, afferma l'autrice, sono cresciuti i dubbi sulla capacità europea di riuscire a svolgere un ruolo da protagonista in questa area così vicina geograficamente e così importante per la stessa nostra stabilità e la nostra crescita economica. Le rivolte arabe hanno, tra l'altro, modificato le relazioni euro-mediterranee, scompaginando i paradigmi e le categorie con cui i governi erano abituati a guardare ai popoli della sponda sud mentre anche la crescente impopolarità dei regimi con cui i governi europei avevano collaborato a lungo ha messo a nudo i limiti e le contraddizioni dell'approccio europeo alla questione. Ne risulta un ruolo sempre più marginale svolto dalla stessa Europa in questa regione e la necessità invece di fare del Mediterraneo una priorità della politica estera del nostro continente. Questi due volumi sono molto diversi tra di loro come approccio e come contenuti, ma ambedue appaiono in un momento molto opportuno. Per vie certamente differenti, infatti, aiutano a comprendere alcuni aspetti di una realtà complessa che siamo sempre più obbligati a cercare di analizzare. E lo fanno con forse un maggior distacco di chi analizza un mondo lontano l'uno, con maggiore partecipazione, a tratti anche appassionata, l'altro.
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