Rapporto di Bruxelles sugli appalti: truccata una gara su dieci
Un brutto problema di immagine e non solo. Le possibilità che in Italia un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare, oltre tre volte il dato francese e più di dieci volte quello dell’Olanda, dove il malaffare influisce per meno dell’1% sull’aggiudicazione dei contrattti.
Siamo un paese a rischio - lasciano intendere i dati messi insieme da Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea -, poco trasparente e gradito ai malfattori, del resto i volumi non richiedono commenti. Dei 120 miliardi che la Commissione Ue stima siano sottratti ogni anno all’economia continentale dalle tangenti, metà è di nostra competenza. E’ un record imbattibile che nessuno potrebbe mai invidiarci.
Fa poca differenza il non essere soli. Dal rapporto consegnato all’Europarlamento come contributo per un’audizione sui costi della corruzione nelle gare di appalto continentali si scopre che, posto un campione di otto stati (Italia, Francia, Paesi bassi, Lituania, Ungheria, Spagna, Polonia, Romania) e cinque settori chiave (come costruzioni e risorse idriche), nel 2010 sono stati sfilati dalle casse pubbliche e comunitarie 2,2 miliardi.
E’ in media il 3% del valore delle aggiudicazioni, cifra che sale di oltre tre volte quando si misura nel Bel Paese.
A livello europeo il vizietto della bustarella colpisce più frequentemente nel settore dei corsi di formazione, dove si paga per insegnare alla gente come trovare un lavoro. Qui la possibilità che qualcuno abbia oliato finanziariamente gli ingranaggi supera il caso su quattro (28%), seguita dal settore idrico (27%). Bassa la truffa stradale (13%): i controlli sono più stretti e i casi meno frequenti. Il dato quasi raddoppia nelle ferrovie, soprattutto alla voce "materiali".
L’Italia non se la cava bene e, in genere, si ritrova in compagnia di ungheresi e romeni, paesi nuovi entrati nell’Ue che le statistiche dipingono ancora a caccia di una verginità etica. Il nostro debole sono le gare truccate, quelle in cui il vincitore è già stato deciso e a cui gli altri concorrenti partecipano pro forma, circostanza verificata nel 63 per cento delle violazioni delle regole. Il conflitto di interesse, cioè l’attribuzione a parenti o amici, è appena al 23%. Almeno secondo il rapporto P&W.
Dobbiamo essere dei geni del male se, posto a cento il livello della perfezione, noi ci fermiamo a 57 e i soliti romeni a 55. Manco a dirlo, Francia e Olanda sono rispettivamente a 91 e a 97. Se guardiamo alle frodi al bilancio Ue (campione vecchio, 2000-2006) conseguiamo 39,5% di malefatte scoperte, il che è anche un solido punto a favore dei nostri inquirenti. Anche se, a leggere le statistiche, si vede che i tedeschi sono quantitativamente più efficaci nello scovare i colpevoli e più duri nel punirli. Come risultato nelle inchieste sulle frodi Ue alle quali ha partecipato l’Olaf hanno carcerato 65 persone nel 2006-11. In Italia siamo a 14. Magari erano comportamenti meno gravi, ma il dato colpisce.
Di chi è la colpa? Della qualità dei truffatori, anzitutto. Però il rapporto P&W stigmatizza che «in molti stati i funzionari pubblici non sono specificamente addestrati per assicurare la trasparenza». In Italia, si insiste, «la mancanza di capacità nella pubblica amministrazione nella gestione di strutture altamente complesse crea spazio per frodi e corruzione». Questo, «soprattutto dove potenti cartelli privati e organizzazioni criminali possono influenzare il processo di decisione politica». La frequente presenza di consulenti esterni in un quadro di ridotta managerialità è facile una scintilla di possibile corruzione. Infine scarseggiano i fondi e gli uomini per indagare. Cosa che, ovviamente, a corruttori non manca proprio mai.
Siamo un paese a rischio - lasciano intendere i dati messi insieme da Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea -, poco trasparente e gradito ai malfattori, del resto i volumi non richiedono commenti. Dei 120 miliardi che la Commissione Ue stima siano sottratti ogni anno all’economia continentale dalle tangenti, metà è di nostra competenza. E’ un record imbattibile che nessuno potrebbe mai invidiarci.
Fa poca differenza il non essere soli. Dal rapporto consegnato all’Europarlamento come contributo per un’audizione sui costi della corruzione nelle gare di appalto continentali si scopre che, posto un campione di otto stati (Italia, Francia, Paesi bassi, Lituania, Ungheria, Spagna, Polonia, Romania) e cinque settori chiave (come costruzioni e risorse idriche), nel 2010 sono stati sfilati dalle casse pubbliche e comunitarie 2,2 miliardi.
E’ in media il 3% del valore delle aggiudicazioni, cifra che sale di oltre tre volte quando si misura nel Bel Paese.
A livello europeo il vizietto della bustarella colpisce più frequentemente nel settore dei corsi di formazione, dove si paga per insegnare alla gente come trovare un lavoro. Qui la possibilità che qualcuno abbia oliato finanziariamente gli ingranaggi supera il caso su quattro (28%), seguita dal settore idrico (27%). Bassa la truffa stradale (13%): i controlli sono più stretti e i casi meno frequenti. Il dato quasi raddoppia nelle ferrovie, soprattutto alla voce "materiali".
L’Italia non se la cava bene e, in genere, si ritrova in compagnia di ungheresi e romeni, paesi nuovi entrati nell’Ue che le statistiche dipingono ancora a caccia di una verginità etica. Il nostro debole sono le gare truccate, quelle in cui il vincitore è già stato deciso e a cui gli altri concorrenti partecipano pro forma, circostanza verificata nel 63 per cento delle violazioni delle regole. Il conflitto di interesse, cioè l’attribuzione a parenti o amici, è appena al 23%. Almeno secondo il rapporto P&W.
Dobbiamo essere dei geni del male se, posto a cento il livello della perfezione, noi ci fermiamo a 57 e i soliti romeni a 55. Manco a dirlo, Francia e Olanda sono rispettivamente a 91 e a 97. Se guardiamo alle frodi al bilancio Ue (campione vecchio, 2000-2006) conseguiamo 39,5% di malefatte scoperte, il che è anche un solido punto a favore dei nostri inquirenti. Anche se, a leggere le statistiche, si vede che i tedeschi sono quantitativamente più efficaci nello scovare i colpevoli e più duri nel punirli. Come risultato nelle inchieste sulle frodi Ue alle quali ha partecipato l’Olaf hanno carcerato 65 persone nel 2006-11. In Italia siamo a 14. Magari erano comportamenti meno gravi, ma il dato colpisce.
Di chi è la colpa? Della qualità dei truffatori, anzitutto. Però il rapporto P&W stigmatizza che «in molti stati i funzionari pubblici non sono specificamente addestrati per assicurare la trasparenza». In Italia, si insiste, «la mancanza di capacità nella pubblica amministrazione nella gestione di strutture altamente complesse crea spazio per frodi e corruzione». Questo, «soprattutto dove potenti cartelli privati e organizzazioni criminali possono influenzare il processo di decisione politica». La frequente presenza di consulenti esterni in un quadro di ridotta managerialità è facile una scintilla di possibile corruzione. Infine scarseggiano i fondi e gli uomini per indagare. Cosa che, ovviamente, a corruttori non manca proprio mai.
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