Insegnanti precari, concorrenza con i conservatori e pochi posti
Dovevano essere il fiore all’occhiello della riforma Gelmini. Tre anni dopo si scopre che sono i parenti poveri dell’istruzione secondaria italiana. Così poveri che di musicale hanno il nome, ma non gli strumenti. In assenza di fortunate o fortunose donazioni, spesso se li portano da casa gli insegnanti o se li devono comprare gli alunni. Mancano ancora quasi un paio d’anni perché i primi diplomati dei licei musicali si affaccino al mondo del lavoro o dell’università, e già il vento della delusione spira forte tra i banchi e soprattutto fra le cattedre. Le poche disponibili, perché il reclutamento è faticoso e segue criteri discutibili in ossequio all’eterno dilemma, nel mondo della scuola, della coperta troppo corta. Dovevano essere più numerosi: almeno uno per provincia. Invece si arriva a malapena a un’ottantina di licei musicali in tutta Italia. Largamente insufficienti per le richieste dato che la delibera istitutiva consente una sola sezione per liceo con il limite massimo, in Lombardia, di 22 iscritti all’anno.
A differenza dei Conservatori, che dispongono di più sezioni e di una commissione alla quale i licei musicali sono – in un certo senso – subordinati, i nuovi nati sono stati inseriti in un piano regionale e dipendono istituzionalmente dagli uffici scolastici regionali. Il rischio di competizione con i Conservatori, se non addirittura in qualche caso di un conflitto d’interessi al momento della valutazione degli allievi da parte della commissione, sarebbe quindi abbastanza alto.
A Monza il liceo Zucchi è un esempio, neppure dei peggiori, delle contraddizioni e dei meccanismi perversi che regolano le graduatorie, oltre che delle difficoltà di gestione del nuovo corso di studi in tempi di spending review. “Le riforme scolastiche italiane sono sempre partite da esigenze di organico – premette Daniele Ferrari, docente di Discipline musicali – quindi di solito hanno sacrificato lo spirito di innovazione, che passa dalla possibilità, riconosciuta agli studenti all’estero, di modellare il proprio piano di studi. Nei nostri licei musicali sono confluiti tutti gli insegnamenti musicali.
Si studiano due strumenti, teoria, analisi e composizione, storia della musica e tecnologie musicali, oltre alle materie curriculari, tra le quali una lingua straniera”. Come nuovi indirizzi di istituti superiori già esistenti, i licei musicali non hanno però ricevuto contributi ad hoc, testimonia il preside, Vincenzo Di Rienzo, in carica allo Zucchi da undici anni: “È uno dei punti più dolenti – si rammarica -. Non c’è un euro di stanziamento, anche se erano stati previsti nel bilancio statale finanziamenti straordinari per il primo anno scolastico, il 2010-2011, qui non è arrivato un centesimo, né dallo Stato, né dalla Regione, né dalla Provincia”. E quindi? “Quindi ho fatto una comunicazione alle famiglie perché provvedessero direttamente all’acquisto del secondo strumento musicale previsto dal programma. Abbiamo ricevuto in dono due pianoforti e li abbiamo fatti riadattare. Poi, raggranellando risorse di qua e di là, abbiamo comprato leggii e poggiapiedi”. In base alla costituzione dell’orchestra provinciale, ogni anno la commissione attribuisce il secondo strumento. Quest’anno al preside dello Zucchi è stato notificato che erano previste le percussioni: “Non sapevo che cosa avrei dovuto comprare: sarebbero bastati quattro tamburi?, mi sono chiesto. La lista comportava una spesa di 15 mila euro, ho dovuto stabilire delle priorità e comprare lo stretto necessario. Il noleggio? Non sempre conviene”.
Se formare un’orchestra senza soldi per gli strumenti è, di per sé, già una bella sfida, il reclutamento del corpo insegnante è un’avventura senza fine: “Sono insegnanti utilizzati dalle scuole medie musicali – spiega il professor Di Rienzo -. Ciò significa che, per una parte delle loro ore di lavoro, vengono impiegati nei licei. Al 90 per cento sono docenti di pianoforte. Se un professore ha un incarico per 18 ore settimanali nelle medie, ne sottrae quattro da dedicare al liceo”. Per organizzare l’orario occorre un campione di giochi a incastro: “Ogni docente ha un minimo di due scuole, ogni allievo studia due strumenti. E abbiamo sedici insegnanti di strumenti: pianoforte, sassofono, violino, violoncello, clarinetto, tromba, flauto chitarra. Manca soltanto l’arpa – sospira il preside -. Devo mettermi d’accordo con sedici scuole diverse. È chiaro come preparare il piano delle lezioni settimanali in queste condizioni non sia un’impresa da poco. Per convocare una riunione devo muovermi con due mesi d’anticipo”. Senza contare le contestazioni sulle graduatorie: “Le domande di utilizzazione vanno fatte a marzo – informa Daniele Ferrari – e la presentazione di titoli, requisiti, anni di servizio, avviene tramite autocertificazione. E senza alcuna verifica, a meno che un docente escluso presenti ricorso. Non solo: nel conteggio, un figlio minore vale quanto una laurea: 3 punti. Nella formazione delle graduatorie non si tiene conto delle pubblicazioni o di attività musicali riconosciute”. Il preside riconosce che ci vorrebbe “una classe di concorso per i licei musicali, ma non c’è. I docenti presentano domanda all’ufficio scolastico regionale e, sì, i titoli sono autocertificati”.
Meglio allora indirizzare un ragazzo di talento al Conservatorio? “Sono due tipi di formazione completamente diversi – insiste il dirigente scolastico – e cerchiamo di farlo capire ai candidati prima che affrontino i test di ammissione: questo è un liceo, con un impianto liceale e sbocchi per qualsiasi facoltà universitaria. Non diversamente dal classico o dallo scientifico. Abbiamo voluto il liceo musicale a Monza, perché per tradizione molti giovani studiano uno strumento privatamente”. Non usciranno quindi molti direttori d’orchestra, dal liceo musicale, “ma ci sono professioni nuove, come la costruzione di musica per il web, alle quali ci si prepara per esempio attraverso i nostri corsi di tecnologia musicale”. Piccolo dettaglio: occorrerebbe un laboratorio. “C’è quello informatico, condiviso con altre discipline – ammette il preside -, ne servirebbe un altro”. Ma non c’è.
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