Vite parallele, quelle di Pd e Pdl-Forza Italia. Costretti in un duello che li rende nemici inseparabili. Da un lato, c’è un partito assolutamente carismatico e perciò impotente a affrontare salto generazionale e cambio di leadership (se non forse per successione ereditaria, iure sanguinis). Dall’altro, un pretendente capo carismatico senza partito. Peggio: con una classe dirigente intorno a sé incapace di trovare un punto di effettivo consenso al proprio interno che non sia la “eliminazione” dell’avversario storico.
La “de-costruzione” della forma-partito nel corso degli ultimi trent’anni ha lasciato sulla spiaggia questi brandelli di organizzazione. bene così? partito stesso una rovina otto-novecentesca? Molti lo dicono apertis verbis, ma tutti agiscono come se lo credessero. Naturalmente nessuno si sogna di aggiungere la conseguente domanda: che forma potrà assumere l’azione politica laddove l’organizzazione venga definitivamente sostituita da apparati pubblicitari-elettorali a sostegno del leader-candidato e la competizione programmatica da talk-show, blog e twitter? Una cosa è certa: se i partiti spariscono, cessino i nostri carismatici di suonare le trombe della “politica al comando”, della politica che deve governare economia e finanza, riformare l’Europa dei banchieri, e via popolareggiando. Solo forze politiche organizzate su scala anche sovra-nazionale, dotate al proprio interno di professionalità e competenze, capaci di perseguire strategie ben oltre la scadenza elettorale, potrebbero oggi ambire a produrre norme efficaci nel mercato globale. Nulla è più patetico di leader solitari e non-partiti che predicano contro le sue ingiustizie in nome delle patrie sovranità.
La crisi del Pd e Pdl darà vita a processi di scomposizione e ricomposizione? Se non precipiterà tutto a nuove elezioni politiche prima delle Europee, il sentiero di Renzi è tanto stretto quanto segnato. Qualche rottamazione gli verrà pure concessa ma il punto di rottura sta sulla sua posizione nei confronti del governo. Per quanto tempo l’ala lettiana sopporterebbe, infatti, un segretario di lotta e di governo? E tuttavia con una linea di compromesso la sua immagine si scioglierebbe nei meandri della vecchia oligarchia. Durissimo esercizio restare competitivo fino a elezioni dopo il semestre europeo. E su che linea poi? Sulle politiche di welfare, per esempio, come mettere d’accordo l’anima Cgil del partito con le posizioni di Letta-Saccomanni? O sul sistema elettorale? Parlare di quello per i sindaci come modello da seguire significa parlare di un sistema presidenzialistico. Renzi ne è consapevole? E come è pensabile su questo la mediazione con il garantismo parlamentaristico della stragrande maggioranza del centro-sinistra?
Discorso analogo va fatto per l’altra parte: anche per Alfano & Co. la faglia col Cavaliere corre sui destini del governo. Ma fuori da Forza Italia che cosa potrà contare? Alfano potrebbe trovarsi, obtorto collo, a capo di un suo movimento filo-governativo, come Renzi di uno complementare e opposto anti-governativo. Con quali chance per entrambi di riuscita? Il primo, spoglio di carisma e zavorrato dagli Schifani e dai Formigoni; il secondo, carismatico e senza partito. Con chi potrebbero aggregarsi così da fare massa critica? Forse che l’attuale assetto governativo prefigura una ricomposizione al centro, rendendo così possibile a sinistra un’area socialdemocratica omogenea? Ma che ci starebbe a fare in quest’ultima un personaggio come Renzi? Qualsiasi ricomposizione che conti sulle forze oggi in campo appare, insomma, totalmente trasformistica, puro politichese, privo di ogni consistenza culturale e di ogni appeal.
E allora? Allora o i giochi continueranno a svolgersi all’interno delle attuali casematte, in presenza di tutte le contraddizioni e lacerazioni che hanno loro impedito fino a oggi di governare e riformare, oppure si andrà e processi di scomposizione e frammentazione, ovvero alla formalizzazione notarile delle divisioni già in atto. Con il più cordiale addio a bipolarismi e maggioritari.
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