Il telefono, la tua croce.
Stiamo parlando di una telefonata di Nichi Vendola a Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva di Taranto, pubblicata ieri sul Fatto, e in giro su youtube. Durante questa telefonata si ascoltano tra i due - in un tono troppo amichevole - anche delle risate e una battuta. Un aspetto della telefonata è questo: Vendola prende in giro Archinà per un episodio di qualche tempo prima (filmato e messo on line anche questo, non è che faccia tanto ridere, semmai rattrista).
Nel video si vede Archinà che allontana con uno scatto un cronista locale, che stava domandando al proprietario Riva dei morti di cancro dell’Ilva, e gli strappa di mano il microfono. La cosa fa ridere Vendola (che tra l’altro definisce il giornalista, Luigi Abbate, «quella faccia di provocatore...»). L’ufficio del governatore precisa che «il sorriso di Vendola» si riferiva esclusivamente allo scatto con cui Archinà allontana il cronista, «e non certamente alla tragedia delle morti per cancro a Taranto». E annuncia querela al Fatto per un articolo in cui invece queste risate venivano collegate alla storia delle morti all’Ilva. Sostiene Vendola che «la telefonata estratta dal suo contesto è un’operazione lurida, un tentativo di sciacallaggio e di linciaggio. Il cancro ha abitato la mia vita, ha abitato casa mia, e credo che l’idea di darmi un colpo, cercando di delegittimarmi, sul terreno della sensibilità umana sia un’operazione vigliacca, volgare, a cui reagisco, naturalmente, tutelandomi anche in sede legale».
La telefonata è lì, e ognuno può giudicare. Non sarebbe dovuta uscire, questione annosa; ma se esce l’opinione pubblica la deve ascoltare. Vendola è intercettato perché indagato per presunta concussione. I parlamentari pugliesi del Movimento cinque stelle hanno subito attaccato il leader di Sel dicendo di provare «disgusto» per lui, e chiedendogli di dimettersi immediatamente. Il Pd, attraverso il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, ha difeso l’antico alleato elettorale: «A me pare che Vendola si sia sempre battuto per la difesa dell’ambiente e la salute dei lavoratori dell’Ilva e dei cittadini di Taranto». E qui pare finire la vicenda politica.
C’è però (almeno) un altro aspetto della telefonata che colpisce e lascia sgomenti. È il tratto di familiarità e confusione di ruoli tra i due interlocutori, un uomo con alta responsabilità pubblica, e il dirigente di un’azienda così discussa. Vendola si esprime accentuando la sua inflessione dialettale, in una ricerca di complicità che duole, vista la funzione che ricopre: «Archinà state tranquillo, non è che mi sono scordato dell’Ilva. Volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si è defilato (...) Però lei lo sa, io ho fatto veramente le battaglie e in difesa della vita e della salute». «Ognuno fa la sua parte, e dobbiamo sapere che a prescindere da tutti i procedimenti, l’Ilva è una realtà produttiva. Dobbiamo vederci, dare garanzie, il presidente non si è defilato».
Il governatore della Puglia non promette nulla, non offre, tanto meno chiede nulla in cambio, si interessa solo al tema del lavoro. Tuttavia la telefonata - la cui trascrizione era peraltro già stata pubblicata un anno fa dal Giornale - appare fuori misura, stonata, non adeguata al ruolo. Se ne ricava la triste impressione di un potere sempre troppo vicino a quelli che dovrebbero essere suoi interlocutori solo istituzionali (le forze economiche), non amici, e meno che mai compagni di qualche sorriso telefonico. Non succede praticamente nulla, ma manca lo standing necessario all’istituzione che si rappresenta. Se volete, è tutto qui. Ma non è poco, in un paese totalmente sfibrato e disilluso dalla sua classe politica, che si lamenta delle intercettazioni ma continua, inchiodata alla sua perenne zona grigia telefonica.
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