Renzi è il talento più evidente sulla scena. Gli consiglierei di coltivare la profondità, di apparire una risposta solida e profonda allo smarrimento socialeVeltroni: questo governo abbia il coraggio di dichiarare guerra alla mafia Il caso Preiti presenta punti oscuri: quando è finito nel giro dei videopoker?
«Qui bisogna mettere un po' d'ordine. Sento parlare di Moro e Berlinguer. Di riconciliazione nazionale, governo di legislatura, fine di destra e sinistra. E penso che sia esattamente il contrario della razionalizzazione che di questa fase deve essere fornita».Lei, Veltroni, come la giudica?«Una fase di assoluta e inedita emergenza, dovuta all'intreccio tra una devastante crisi istituzionale e una devastante crisi sociale. L'assenza di alternative ha generato il governo in carica, al quale auguro successo; ma si tratta di una condizione di anomalia, non di una condizione virtuosa».Non è forse l'unica soluzione possibile?«Sì, ma a causa di un risultato elettorale anomalo, frutto di una legge e di pratiche politiche anomale. Ci si è affrettati a cercare soluzioni di governo senza fare i conti con l'esistenza di tre blocchi di pari forza, tra cui uno cresciuto in pochi mesi con l'obiettivo dichiarato di aprire il sistema come una scatoletta. Ne è risultata una gestione confusa, aggravata dal caos attorno all'elezione del capo dello Stato ? specie per effetto dei problemi del Pd ? e dall'impossibilità, come sarebbe stato naturale, di tornare alle urne con una legge che non avrebbe dato una maggioranza al Senato. Tutto ciò ha generato questo governo. Altro che Moro e Berlinguer».Sta dicendo che il governo Letta è transitorio?«La cosa peggiore è trasformare questa alleanza di emergenza in una formula politica. Il governo deve fare due cose: rimettere in moto l'economia e cambiare le regole del sistema a partire dalla legge elettorale. Non è una formula politica, ma un intervento di emergenza su un corpo malato. Se diventa un'altra cosa, cambia natura. E sarebbe un cambiamento non virtuoso».Lei ha criticato chi indica un nesso tra le parole di Grillo e gli spari di Preiti davanti a Palazzo Chigi.«Sì, e non mi riferisco solo a questo caso. Si sta creando un clima di fastidio per il dissenso rispetto a questa stagione. Ma tanto più è larga una maggioranza politica, tanto più deve accettare le voci di dissenso; altrimenti si riproduce una situazione asfissiante, che il Paese ha già vissuto negli Anni 70, e si impoverisce la vita democratica».Non trova eccessivo il linguaggio di Grillo?«I 5 Stelle devono sapere che l'uso di un certo linguaggio e la personalizzazione esasperata della polemica generano parole sconsiderate, come quelle di Becchi. Però considero il tentativo ? avvenuto immediatamente da più parti ? di indicare i 5 Stelle come i mandanti di Preiti figlio di una logica strumentale che a me fa orrore. Ragionando così, aveva ragione anche Berlusconi a sostenere che chi gli ha tirato la statuetta l'ha fatto sulla base del clima del Paese. E dice questo uno che dai 5 Stelle è stato più volte raggiunto da strali personali, ma considera la libertà dell'altro condizione della propria. Tanto più che il caso Preiti presenta molti punti oscuri».Anche lei si mette a fare dietrologie?«Non dobbiamo essere dietrologi, ma neppure sprovveduti. Quante vicende avevano all'inizio un segno che la storia ha dimostrato fallace? Non fu Valpreda a mettere la bomba in Piazza Fontana, Bertoli (che uccise 4 persone con una bomba a mano lanciata nel maggio '73 nel cortile della Questura di Milano; ndr) non era un anarchico, Pasolini non fu ucciso solo da Pelosi, l'aereo di Ustica non ebbe un cedimento strutturale. E non è stato Scarantino a uccidere Borsellino: reo confesso; 17 anni di carcere; non era lui. Cos'è successo a Preiti, quand'è finito nel giro dei videopoker? Tra l'altro, cosa aspettiamo a vietarli? L'ho detto alla Cancellieri, quando era al Viminale: basta un decreto. Perché non lo si fa?».Per il gettito?«Ma se va quasi tutto alla mafia, mica allo Stato! E poi: perché un «bravo ragazzo» compra una pistola? Perché dice di averlo fatto quattro anni fa? È uno strano attentato, che ha colpito due servitori dello Stato e sconvolto il Paese».Per quale fine?«Non sarebbe la prima volta che la storia italiana è condizionata dai poteri criminali. Che hanno interesse a un Paese debole, finanziariamente fragile, di cui impadronirsi pezzo a pezzo. I negozi nel centro di Roma, i lavori dell'Expo, la ricostruzione in Emilia, l'incendio della Città della Scienza a Napoli: mentre noi discutiamo di qualche centinaio di milioni per gli esodati, le mafie si spartiscono 130 miliardi di euro l'anno. Perché la politica non dichiara una guerra senza quartiere? Un giorno di settembre a San Luca si riuniscono i capi della 'ndrangheta: perché non andarli a prendere? Questo comporta una autentica dichiarazione di guerra; se loro reagiscono, lo Stato la guerra la deve vincere. Altrimenti potremo fare tutti i risanamenti o gli incentivi possibili; ma la ricchezza e la legalità saranno sempre risucchiate da questi poteri criminali. Ecco, mi sarebbe piaciuto sentire Enrico Letta dire che questa è la priorità che tutte le altre contiene».Non ha apprezzato il suo discorso di insediamento?«Ho stima sincera per Enrico Letta. È una persona di qualità. Per questo, in un discorso condivisibile, avrebbe dovuto mettere al centro questo tema».Insomma, questo governo proprio non le piace.«Guardi, l'Italia oscilla di costante tra demonizzazione dell'avversario e soluzioni alla fine necessariamente consociative. Non c'è mai quella sana acquisizione di ogni democrazia matura, per cui con l'avversario si scrivono le regole del gioco e poi ci si confronta duramente sui programmi. Destra e sinistra esistono. Più presto si vedranno nella loro forma migliore ? una destra moderata ed europea, una sinistra democratica e riformista ?, più presto si alterneranno al governo una per volta, più presto l'Italia uscirà da questa crisi. Mi ricordo le battute di quando cercavo di fare, obbligatoriamente con Berlusconi, la riforma del Porcellum. Molti di quelli che allora polemizzarono, oggi stanno al governo con il Pdl e Miccichè».Come valuta la squadra di governo?«È frutto dell'emergenza; come se fossimo in guerra. Certo, l'idea che faccia parte di un esecutivo sostenuto dai voti pd un uomo che considera inopportuno che l'aeroporto di Palermo sia dedicato a Falcone e Borsellino mi amareggia molto».Chi ha fatto fuori Prodi?«Non sono in Parlamento. Ma la ritengo una delle pagine più gravi non della storia del Pd, ma della storia di un campo politico. È come la caduta del governo Prodi del '98; in peggio, perché c'è la reiterazione. Certo, la candidatura doveva essere promossa in un altro modo. Prodi è uomo delle istituzioni, la sua non doveva essere una candidatura di partito; andava costruita assieme a Scelta civica, con un discorso rivolto anche ai 5 Stelle. Ma quelli che si sono alzati in piedi per applaudire avevano il dovere di votarlo».Bersani ha fatto bene a dimettersi?«Si è formalmente dimesso. Ma il ritardo nella formazione di un nuovo gruppo dirigente ha creato imbarazzo per lui e per una segreteria dimissionaria, per larga parte oggi all'interno del governo. Sento dire che, siccome c'è Letta presidente del Consiglio, bisogna che il nuovo segretario sia espressione della sinistra sociale. Ma in questa argomentazione c'è l'annientamento del Pd. Io non penso che Letta sia un democristiano. Questa storia degli ex dc e degli ex pci deve finire. Quello non è il Pd. Il Pd non può essere l'amalgama tra eredi di grandi storie finite con il '900, senza mai creare quell'identità nuova per la quale abbiamo fatto il Pd. Il problema non è avere due leader che parlano a due pezzi di elettorato; il problema è avere il Pd. Ogni volta che il Partito democratico ha smesso di essere se stesso e ha oscillato verso l'una o l'altra opzione, si è perduto. Compreso l'ultimo, catastrofico risultato elettorale».Chi deve fare il segretario allora?«Qualcuno che rappresenti tutto il Pd. Non uno che rappresenta mezza mela, come se Letta dovesse rappresentare l'altra. Un partito è fatto di inclusione, non di esclusione. Non parlo per me, che da 4 anni sono fuori da qualsiasi ruolo o luogo di decisione. Ma può un partito saggio fare a meno di persone come Arturo Parisi, Sergio Chiamparino, Pierluigi Castagnetti, Marco Follini, Giuliano Amato? E dico anche Stefano Rodotà, con il quale il Pd aveva e ha il dovere di mantenere un filo di relazione».Renzi le direbbe: tutti rottamati. Oggettivamente, non sono proprio volti nuovi.«Ma l'innovazione è fatta di idee e politiche. Certo, anche di carta d'identità; ma non solo carta di identità. Il Pd tiene ai margini uomini che hanno idee. Stiamo sempre a parlare di persone; ma la bellezza di un partito sono le parole. Invece non si discute più e i partiti tendono a trasformarsi in macchine spietate di potere; poi non restano che briciole avvelenate».Il futuro è Renzi?«Renzi è il talento più evidente sulla scena. Se dovessi dargli un consiglio, gli direi di coltivare la profondità. Di apparire non una figura di questo veloce, bulimico, leggero dibattito politico, ma una risposta solida e profonda a uno smarrimento che nella società italiana ha dimensioni eccezionali».Si parla di separare la figura del segretario da quella del candidato premier. È d'accordo?«Sono contrario. Il leader che abbia vinto le elezioni può decidere poi che ci sia un segretario diverso; ma solo a elezioni vinte, e in una logica di sintesi. Non per perseguire due linee politiche diverse nello stesso tempo».Perché Berlusconi non può fare il presidente della Convenzione, visto che avete appena fatto un governo con lui?«Non vorrei passassimo sei mesi per istituire la Convenzione e altri sei mesi per decidere il presidente. Ci sono le proposte dei saggi e altre giacenti in Parlamento: si parta da quelle, in primis dalla legge elettorale. Se proprio si vuole fare la Convenzione, deve essere guidata da un uomo che abbia caratteristiche di equilibrio e terzietà. Non mi pare il profilo di Berlusconi».Il presidenzialismo si può fare?«È uno dei temi centrali del mio libro, che esce tra due settimane. Titolo: E se noi domani. L'Italia e la sinistra che vorrei. Idee per discutere, nulla di più. E nulla di meno».
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