"La crisi investe invece in toto i professionali, che in sei anni cedono agli istituti concorrenti 4,5 punti di iscritti: qualcosa come 23mila ragazzi. Una situazione che ha indotto l'assessore regionale all'Istruzione della Lombardia, Valentina Aprea, a ipotizzare lo smantellamento dell'intero settore. "L'esperienza degli istituti professionali statali deve essere considerata chiusa e i sessantamila docenti devono essere ricollocati altrove ", ha dichiarato recentemente, caldeggiando l'idea di lasciare il segmento scolastico interamente nelle mani delle regioni." ( Più sport e meno latino: il liceo light conquista tutti, LA REPUBBLICA, 17 luglio 2016)
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Non è la prima volta che si sente di parlare di affidare questi istituti alle regioni. Alla fine degli anni Novanta circolarono voci del genere che produssero effetti catastrofici su famiglie, studenti e scuola italiana. Infatti, le famiglie si sono ritrovate con figli diplomati, ma quale valore reale possono aver avuto quei diplomi conseguiti in corsi ed indirizzi spesso sentiti come estranei alle reali ed effettive vocazioni studentesche? E con quali motivazioni potranno insegnare quei docenti che hanno come loro interlocutori, appunto, ragazzi costretti a ripiegare e ad iscriversi in corsi ed indirizzi a loro non congeniali? Chi dice di occuparsi politicamente di scuola si è mai chiesto dove siano finiti, già in quegli anni, quanti avessero deciso di non scegliere più simili istituti? E quali siano le ragioni per cui non si scelgono più questi "segmenti scolastici"?
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