laudio Pavone in un libro monumentale, Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza (1991), definì la nostra guerra, quella che ci liberò dai nazifascisti e ci conferì dignità nella sconfitta, una «liberazione nazionale» o «patriottica» contro l'invasore tedesco, una guerra «civile» fra italiani fascisti e antifascisti e una guerra «di classe» fra forze rivoluzionarie e classi borghesi.
Oggi, i rappresentanti delle due massime cariche dello stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si impongono a noi come a dimostrazione della verità della lettura di Pavone.
La “guerra civile” ci fu e lo si vede proprio dall’atteggiamento vendicativo dei due leader istituzionali.
La “guerra civile”, lo insegna anche la storia statunitense, è vinta da una parte ma mai completamente.
Chi resta dell’altra parte (poiché nessuna guerra fratricida finisce con l’annientamento totale del nemico) resta come minoranza, politica ed esistenziale.
I fascisti sono l’altro, per sempre. Fino a quando ci sarà questa Costituzione. E questa alterità ha nei decenni alimentato una delle più tremende passioni, il risentimento: che non si supera mai e genera voglia inesauribile di vendetta.
Nella generazione alla quale appartiene Ignazio Benito La Russa, la memorie della sconfitta del 1945 era nelle cose prossime.
Nella generazione alla quale appartiene Giorgia Meloni, le memorie di quella sconfitta sono arrivate filtrate dalle lotte di piazza tra movimenti giovanili (e meno) della destra estrema e della sinistra, non solo extra-parlamentare.
Tutto questo a dimostrazione che nella mente degli affiliati alle formazioni che si sono avvicendate dalla fine del Movimento Sociale Italiano, fondato e diretto dall’ex fascista della Repubblica di Salò, Giorgio Almirante, resta un residuo mai sciolto e risolto: l’odio contro i connazionali che li hanno atterrati nel 1945.
E che, soprattutto, hanno scritto le regole fondative del loro vivere civile e politico, in modo che mai loro potessero - con i loro stendardi e il loro nome originario - presentarsi davanti ai cittadini e chiedere consenso.
Hanno dovuto cambiare nome, camuffare la loro identità. E nulla può essere più umiliante di non potere essere liberamente se stessi, a causa di una guerra civile persa.
Oggi, La Russa e Meloni celebrano la loro vendetta. E dai ruoli più alti della Repubblica democratica antifascista affermano quello che da decenni avevano in cuore: la Resistenza è stata una guerra minore, una ragazzata trasformata dai libri di storia e dai partiti che l’hanno fatta in un’epopea.
La Resistenza come una battaglia di paese, senza eroici vincitori.
Non si può restare in silenzio e neppure concionare sull’interpretazione della storia, poiché quelle orecchie non sentono.
Non resta che “ricombatterla” quella guerra di Resistenza, senza spargere sangue: con le parole e la voce, con le manifestazioni e le bandiere, e la difesa delle istituzioni.
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