Non passa giorno che la maggioranza degli onagroti (riprendendo l’impervia ma bella definizione che dette Benedetto Croce dei dirigenti fascisti) non provi il gusto di togliersi la maschera ed apparire così com’è realmente: un accrocco di reazionari condotti da chi ha ben piena la pancia di “mentalità fascista”. Nel senso di ideali autoritari, illiberali, antimoderni, retrogradi. Il tutto con il contorno di alcuni trasformisti liberaloidi che da decenni viaggiano all’interno della destra saltando qua e là per guadagnarsi alcune briciole là dove si sposta il potere. E molti commentatori cerchiobottisti impenitenti, in ciascuna occasione, si affrettano a dire che le sortite fasciste fanno solo danno a Meloni, che è ben altro…
E invece sbagliano, perché Meloni è arrivata dove è arrivata non solo per l’inscindibile patto di ferro che unisce la destra italiana quando si tratta di accaparrarsi il potere a ogni livello nonché per l’inverosimile “intelligenza” di Salvini che le ha regalato un buon venti per cento dei suoi voti, ma per la scelta strategica di correre contemporaneamente su due binari. Il copyright non è suo, è di Marine Le Pen: consiste nel coprire un immarcescibile fondo reazionario e fascista ostentando un tailleur moderato e benpensante. Non mancando di strizzare l’occhio agli interessi materiali dei “privilegiati al quadrato”.
I primi mesi di governo hanno confermato giorno dopo giorno questa strategia: non ci sono soltanto le improvvisazioni di qualche stolido nostalgico che si veste da nazista, o di qualche parvenu che si sbraccia per fare scandalo e farsi notare, non ci solo nostalgiche “voci dal sen fuggite”, bensì c’è una caparbia riaffermazione di una identità che ha valori e storie ben precise. E una volontà chiara di volere ribaltare non solo il presente, ma tutto il passato del nostro paese. Riscriverlo, partendo da Dante. Ma, purtroppo per loro, pagando l’imbarazzante mediocrità di tutta la cultura di estrema destra italiana, non solo di oggi. Che, pensando al portafoglio, riesce a malapena a balbettare lo slogan vecchiotto: “Dio, patria e famiglia”.
La scelta dei due presidenti delle Camere è stata funzionale a questo disegno. Meloni è coerente, non ripudia nulla, gioca sulle parole e sulle reticenze per portare avanti un programma di governo “moderato”. Ovvio che la sua tattica sia volta a tranquillizzare (atlantismo, filoamericanismo, un sovranismo soft), ma il disegno è molto più ambizioso. Le sparate di La Russa sono funzionali a questo doppio gioco. E semmai servono a distrarre l’opinione pubblica da una politica governativa rigorosamente tutta indirizzata a favorire il privilegio, il corporativismo, l’evasione e la corruzione.
Ma l’obiettivo di questo articoletto non si ferma a una considerazione che è sotto gli occhi di tutti. Perché, in più, assistiamo a un vero scandalo. Mi riferisco alle scemenze periodiche di La Russa? Ma no. La Russa ha sempre detto d’essere fascista, e volete che mandi giù la Liberazione e il crollo delle Repubblica Sociale? Ve lo immaginate lo sguardo severo che gli lancerebbe il busto di Mussolini in salotto? Stesso discorso per Storace.
No, io mi scandalizzo della reazione ipocrita di gran parte della sinistra che scopre adesso che i fascisti sono fascisti, che i reazionari come prima vanto identitario si permettono di varare bizzeffe di condoni e scudi fiscali, aboliscono le gare di appalto, intendono cancellare il reato di tortura, aspirano a portare le armi in classe, amoreggiano con i balneari e con ogni corporazione che pigoli. Mi scandalizzo dello scandalo di quella parte di sinistra (e non solo) che appena qualche mese fa voleva assolutamente le elezioni anticipate, ovvero il “Meloni subito” o che con ancora maggiore incoscienza non sapeva distinguere tra la Storia e la cronachetta politica, e quindi si è affannata solo a garantirsi la fetta più consistente di quello che rimaneva della sconfitta generale.
Quanti politici e commentatori con sussiego hanno predicato: altro che prendersela con un immaginario neofascismo, bisogna confrontare i programmi elettorali (qui c’è scritto questo, lì c’è scritto quest’altro), contestare le promesse fatte, contrapporre demagogia a demagogia, sperare nei dissidi all’interno della destra, non provarci nemmeno a costituire un comitato di difesa costituzionale, non porre proprio la questione fondante dello stato di diritto. E attendere con rassegnazione la sconfitta, anzi preannunciandola in anticipo tanto per demoralizzare ancora di più gli elettori.
Adesso strillano, questi complici volontari e involontari della destra, e assistono inermi, o dietro a un po’ di retorica antifascista, ad uno strisciante cambio di regime. Arriverà l’elezione di nuovi giudici costituzionali, lo sfascio dell’unità nazionale, l’attentato alla separazione dei poteri, il presidenzialismo o comunque un nuovo Presidente della repubblica. Già La Russa sta sul podio. Che ci mette, a fare catastrofi, quella stessa destra che candidò senza vergogna al Quirinale persino un pregiudicato?
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