L’antropologia politica. Il potere e le società contro lo Stato (ombre corte, pp. 79, euro 9, traduzione di Gianfranco Morosato) è un tassello indispensabile che si aggiunge alla sempre più ricca presenza dell’opera e del pensiero di Pierre Clastres in Italia. Il libro è composto da una lucida prefazione di Miguel Abensour e da due interviste dell’antropologo francese – la prima del 1974 con la rivista L’Anti-mithes e la seconda con Raymond Bellour pubblicata nel 1978, un anno dopo la scomparsa del brillante allievo di Lévi-Strauss, che tanta influenza ha esercitato sulla riflessione contemporanea da Deleuze e Guattari fino a Viveiros de Castro.
Si diceva «tassello indispensabile» perché questo agile volume restituisce in poche pagine i nuclei centrali delle dirompenti «scoperte» di Clastres, a cominciare da quella fondamentale: «Le società primitive sono società senza Stato perché sono società che rifiutano lo Stato, società che sono contro lo Stato». Il che significa che «l’assenza di Stato nelle società primitive non è una mancanza», in quanto non ancora sufficientemente evolute o «incomplete»; al contrario, queste società gravitano attorno a strategie scientemente organizzate per prevenire l’insorgenza dello Stato: «Le società primitive sono proprio delle società che impediscono la differenza gerarchica».
DAL CHE DISCENDE che «la prima divisione», quella che va a formare il nocciolo incandescente dello Stato, non è economica, «tra ricchi e poveri», «sfruttatori e sfruttati», ma politica: è «la divisione tra chi comanda e chi obbedisce, cioè lo Stato, perché in fondo esso è questo, è la divisione tra chi ha il potere e chi lo subisce». Clastres ribalta la direzione del vettore tracciato dal marxismo ortodosso: «lo Stato, lungi dall’essere lo strumento di dominio di una classe», è ciò che, attraverso la privatizzazione del potere, «genera le classi». Infatti, poiché «un potere che non si esercita non è un potere», «il primo atto dell’uomo di potere è esigere il tributo, il pagamento del tributo da parte di coloro su cui esercita il potere», potere che per Clastres, con mossa anti-foucaultiana, mossa che segna la parte più discutibile del suo pensiero, è sempre relegato nella sfera della politica classicamente intesa e nulla ha a che fare con «le norme della società», con «la coercizione che assicura la coesione sociale», per usare le parole dell’anonimo e stupito intervistatore di L’Anti-mythes.
A questo punto è allora necessario chiedersi quali dispositivi permettano ad alcune società di bloccare i meccanismi che, tramite una distribuzione asimmetrica del potere, generano lo Stato. Per Clastres, il dispositivo principale è strutturale ed è rappresentato dalla chefferie, ossia da «capi che non hanno potere», da un capo che, occupando il luogo del potere con «il discorso edificante», «gli obblighi» e «la generosità», lo intrappola, lo mette in stato di arresto, impedisce che «questo potere divenga reale» («Ecco il capo è lui, ed è proprio a lui che impediremo di essere il capo»). La chefferie fa sì che «la società primitiva non sia separata dal suo potere, che lo conservi nel proprio corpo»; rendendolo massimamente visibile, essa svuota il luogo del potere e, in tal modo, lo «tiene saldamente in mano», «non lo lascia uscire» da sé stessa, perché «se lo lascia uscire, lì vi è congiunzione tra capo e potere», ossia «la figura minima dello Stato».
A QUESTO DISPOSITIVO se ne aggiungono altri che potremmo chiamare materiali: «affinché una società sia primitiva è necessario che sia piccola» e perché resti tale deve essere pronta alla «scissione» e a mettere in atto «tecniche per controllare la demografia», la principale delle quali è la guerra – «la società primitiva non può funzionare senza la guerra, quindi la guerra è permanente».
Se «la vocazione di ogni macchina statale è di espandersi e, al limite, di diventare planetaria», se le «società con Stato sono dalla parte della crescita, dell’unificazione, dell’Uno» – con le conseguenze che ben conosciamo –, le società primitive «sono dalla parte del piccolo e del multiplo», «sono società senza eccedenza»: non saccheggiano l’ambiente, non accumulano e non producono «oltre i bisogni». Lo Stato, quindi, è un’invenzione recente e, come tale, può essere superato. Come pensare una società contro lo Stato che sia al contempo anche contro la guerra è, forse, il principale lascito politico di quella sfolgorante meteora che porta il nome di Pierre Clastres.
Nessun commento:
Posta un commento