Berlusconi deve dimettersi? Lo dice il diritto, la politica, il buonsenso e il mondo. Infatti le accuse sono per reati infamanti, uno dei quali prevede l’esclusione dai pubblici uffici. Il rinvio a giudizio ha già avuto luogo, e almeno una delle due accuse riguarda un fatto non solo ammesso e riconosciuto dall’imputato, ma votato come verità dal Parlamento: il presidente del Consiglio italiano ha effettivamente ingannato la polizia italiana dando notizie false e ordini che non poteva dare.
La politica non può avere per protagonista istituzionale e politico un persona, Silvio Berlusconi, che è sotto processo mentre il Paese è sotto possibile, forse imminente, forse inevitabile attacco finanziario. E la politica non può funzionare se il partito di maggioranza è in mano a un imputato – e fra poco protagonista di un processo – per fatti gravi che comportano l’esclusione dai pubblici uffici. Ovvio che il buon senso suggerisca un autoesonero per evitare pericolo per il Paese e ridicolo infamante per la persona.
Non è propaganda, è cronaca e tutta la stampa libera del mondo lo dice, i commentatori più amici dell’Italia lo chiedono. I precedenti di fatti simili (in genere assai meno gravi) in altre democrazie indicano un comportamento unico: dimissioni, per impossibilità evidente di continuare nel proprio compito. Questo tipo di dimissioni non dipende dalla presunzione di colpevolezza o dalla probabilità di condanna, ma dalla necessità di evitare due rischi: coinvolgere il prestigio dell’istituzione nel processo che riguarda la persona; e l’impossibilità di funzionare sovrapponendo i due ruoli di primo ministro e di imputato.
Qui nasce il caso Italia, che persino agli occhi di osservatori vicini e coinvolti come tanti di noi, mantiene, oltre a ragioni squallide e (direbbe il ministro Giulio Tremonti) “mercatiste”, o a clamorosi errori politici, fatti più difficili da capire, e certo difficilmente spiegabili senza imbarazzo ai colleghi (giornalisti o parlamentari) di altri Paesi. Tenterò di elencare i protagonisti della strana scena.
Cominciamo da una constatazione realistica: quasi mai qualcuno prova da solo, e di sua iniziativa, un irresistibile impulso a dimettersi. Però, se usiamo per confronto scene politico-giudiziarie simili alla storia italiana (dunque soprattutto gli Stati Uniti di Richard Nixon e di innumerevoli senatori e deputati americani, e le vicende di Israele, il processo al presidente della Repubblica e al primo ministro, quasi nello stesso tempo e senza alcun risentimento politico o di opinione pubblica) notiamo che la richiesta pressante di dimissioni viene sempre esercitata sul personaggio istituzionale divenuto imputato, dal suo partito, dalla stessa gente, leadership, politici ed elettori della stessa parte politica dell’imputato. L’Italia sta meravigliando il mondo per il caso inverso, che non è tipico delle democrazie: il partito si mobilita intorno al leader imputato, dichiara immediatamente “politica” la chiamata in giudizio del loro leader. E crea le condizioni per un assedio alla magistratura attraverso una rivolta di popolo.
Siamo notati nel mondo per una situazione che non ha precedenti e non si lascia spiegare da normali teorie politiche. Non possiamo dire che questa situazione durerà, ma intanto dura. Pensate alla frase, detta in conferenza stampa dal premier italiano: “Conto che fra poco saremo almeno venti di più nel nostro schieramento”. Non si stanno aspettando i risultati di nuove elezioni. Si sta parlando delle trattative apertamente in corso sotto il cielo dell’illegalità più sfacciata, ma anche sbandierata come un successo.
Negli stessi giorni, nelle stesse ore, le stesse fonti – che includono quasi tutte le televisioni e, dopo un poco, persuadono anche i maggiori quotidiani allo stesso linguaggio – iniziano a sostituire le imputazioni del tribunale e la decisione del processo immediato (che vuol dire prove certe) con la dizione “gogna mediatica”. A tutto ciò si aggiunge il militantismo fervido con cui si uniscono al cerchio stretto di difesa di Berlusconi quei dirigenti del Pdl che non solo si presentano come “cattolici” ma lasciano trapelare legami profondi, che qui funzionano come garanzia e come imprimatur: Compagnia delle Opere e Comunione e liberazione.
Lo strano e anomalo quadro della situazione italiana che salda la vita pubblica italiana in un unico blocco (ormai diciassette anni di governo diretto o indiretto, quasi ininterrotto, di Berlusconi) ha altri pezzi da esibire. Pezzi unici, come l’inaspettato e clamoroso sostegno di un importante magistrato che è stato presidente della Camera e fra i leader storici (teoricamente anche adesso) della sinistra, o almeno dell’opposizione italiana. La voce è di Luciano Violante: “La pubblicazione degli atti giudiziari è un atto abnorme, una distorsione dei diritti. Credo che l’Italia sia un caso unico in cui i media dedicano tanto spazio alle trascrizioni”. Evidentemente Violante non ha mai sentito parlare dei Pentagon Papers o delle trascrizioni delle registrazioni nella Casa Bianca di Nixon che hanno tenuto impegnati i grandi giornali americani per mesi mentre si preparava l’impeachment del presidente.
Ma ascoltate, lo stesso giorno (17 febbraio), ciò che ha da dire, sul quotidiano Libero, lo scrittore e giornalista “di sinistra” Giampaolo Pansa: “È iniziata la lunga vigilia dell’imputato Berlusconi. Sarà una guerra nauseante che obbliga a una domanda: non ho mai votato per il Cavaliere. Ma adesso, se si andrà a votare, sarei propenso a diventare un suo elettore. Una nauseante guerriglia faziosa costringe anche me a dire basta!”. Resterebbe da chiedere: che cosa è nauseante, l’incriminazione (che per la legge italiana è obbligatoria) o la notizia dell’incriminazione, dunque il lavoro dei media che in qualunque democrazia è considerato l’indispensabile garanzia dei diritti dei cittadini? E quale è il rimedio, il silenzio spontaneo o la censura, come proposto alla commissione di Vigilanza Rai dalla maggioranza berlusconiana?
La vera meraviglia che occupa tanto spazio nella stampa e nelle tv del mondo non è più Berlusconi. È l’Italia. Non è in catene, benché privata di una parte importante delle sue libertà. I giudici non hanno ceduto. Perché sono inclini a cedere tutti gli altri? Non sentite che c’è già nell’aria una certa stanchezza, un “lasciamo perdere” che fa spazio alla “nausea” di Pansa e alle riserve giuridiche di Violante? Siamo sicuri che l’opposizione disponga soltanto di brevi ed educate dichiarazioni di dissenso (questa volta anche di condanna) nell’aula della Camera e del Senato, e poi si ritorna al lavoro? Quale lavoro, con un imputato di prostituzione minorile e di connesso abuso di potere, e con tutti i suoi complici?
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