Stil novo. La rivoluzione della bellezza da Dante a Twitter
è un libro così complesso e sfaccettato che si fa fatica a credere che Matteo
Renzi abbia potuto scriverlo tutto da solo, senza neanche un aiuto, qualcuno da
ringraziare. Eppure è così: persino la scherzosa cronologia fiorentina che
chiude il libro, dal 59 a .C.
(nascita di Firenze) al 2012 (cinquecentenario della morte di Vespucci), sembra
essere farina del suo sacco. Sindaco di Firenze, padre di tre figli, presenza
ormai famigliare nei talk-show televisivi - uno si domanda, tra ammirato e
perplesso, di quante ore sia fatta la giornata di Matteo Renzi.
Stil novo è
complesso perché Renzi si muove su due piani. Da un lato, illustra episodi
eroici della storia fiorentina - i guelfi e i ghibellini, il tumulto dei
Ciompi, i banchieri medievali che finanziano i re inglesi - e soprattutto
ragguaglia su personaggi esemplari come Dante, Michelangelo, Brunelleschi.
Dall'altro, mostra al lettore come un'adeguata riflessione su quegli eventi e
su quei personaggi lo abbia guidato nella sua attività politica, e possa tutti
guidarci verso un avvenire prospero e felice. Un nodo virtuoso stringe insieme
il passato e il futuro, basta saperlo vedere: «L'uomo può ciò che vuole,
scriveva Leon Battista Alberti, in una frase citata anche da Steve Jobs mentre si accingeva a rivoluzionare il mondo presentando l'iPhone».
Nella visione di Renzi, la storia è maestra di vita non nel senso che se uno la
conosce sarà poi meno propenso a dire o a fare delle sciocchezze, e che insomma
non essere ignoranti è sempre meglio che esserlo, ma nel senso preciso secondo
cui la virtù degli antichi è la pietra di paragone a cui va saggiata
l'esperienza dei moderni. Questa ingenuità un po' scolastica porta a
idealizzare il passato, e l'idealizzazione produce simpatici sfondoni del tipo:
«Secondo i Medici, la qualità dei governanti si misura dalla cultura dei
cittadini … Il Rinascimento si sviluppa a Firenze anche perché i trovatelli
degli Innocenti ricevono la stessa educazione dei figli delle famiglie ricche».
E siamo solo a pagina 14. Per il migliore bisogna arrivare a pagina 138:
«Allora il sistema delle borse di studio premiava il merito davvero». A
commento delle idee di Renzi circa la dialettica tra passato e presente si
potrebbero citare le pagine di Guicciardini sui Discorsi di Machiavelli, quelle
in cui Guicciardini dice che, per capire quel che ci succede intorno, la
«lezione delle cose antiche» non serve poi a molto. Oppure, più breve e
icastico, questo dialogo tra la dottoressa Melfi, analista, e il suo paziente,
e capomafia, Tony Soprano. Melfi: «So, you want to be a
better gang leader? Read Sun Tzu!». Tony Soprano: «You know what? Fuck you». Renzi è un politico, non
un uomo di pensiero. Perciò, tutta l'intelligenza degli uomini del passato si
presenta ai suoi occhi sotto forma di cose: la cupola di Santa Maria del Fiore,
la flotta di Vespucci, il David di Michelangelo. E lo stupore, l'ammirazione
che è giusto nutrire di fronte a queste cose si traduce non - per ipotesi -
nell'esortazione a coltivare silenziosamente lo studio che ha prodotto quelle
opere, bensì in un impulso ad agire. Il pensiero va bene, ma quella che conta
davvero è l'azione. Ne deriva che chi riflette, chi indugia, chi ritarda
l'azione con obiezioni dettate dalla prudenza, chi semplicemente difende lo
stato di cose esistente è, ipso facto, l'Avversario: «c'è chi deve dire di no a
prescindere perché bisogna difendere la malinconia dello status quo».
L'Avversario, come si sa, ha tanti nomi. C'è il Burocrate con le sue
scartoffie; c'è l'Alto Dirigentone Romano (testuale), col suo mega-stipendio;
c'è il Politico, che fa l'interesse del suo partito e non quello del Paese; ma
ci sono soprattutto i loro omologhi nel campo della cultura, e cioè gli
Specialisti («certe cose si devono tacere, altrimenti gli specialisti si
arrabbiano»), i «Custodi dell'ortodossia», i «Sacerdoti delle soprintendenze» e, soprattutto, i «Professoroni». Ora,
mentre il mondo per il quale Renzi si batte è un mondo a colori, aperto alla
curiosità, alla ricerca e alla sorpresa (i tre termini sono, di fatto,
intercambiabili, perché alonati dello stesso senso di novità: vedi
l'impressionante pagina 85), questi baluardi del Vecchio, questi settari al
soldo delle élites (sempre l'incredibile pagina 85) si aggirano con «le loro
cravatte d'ordinanza» in un mondo grigio, malinconico, soporifero:
«Dimenticano, lorsignori, che fosse stato per loro il genio sarebbe stato
sempre tarpato» (sempre la vertiginosa pagina 85). Questo livore nei confronti
degli Avversari rispecchia una piega del carattere di Renzi, della sua
Weltanschauung diciamo, ma reagisce anche a vicende recenti, come la caccia
alla Battaglia di Anghiari di Leonardo dietro gli affreschi del Salone dei
Cinquecento o la proposta di costruire finalmente una facciata alla chiesa di
San Lorenzo: «si indice un nuovo concorso tra gli architetti contemporanei più tosti».
In queste e altre circostanze, Renzi si è «scontrato con la chiusura degli
addetti ai lavori» (in prima fila, e per lungo tratto da solo, Tomaso
Montanari), e questo per il triste motivo che «in Italia, e a Firenze in
particolar modo, le volontà dei sindaci non sono progetti. Sono più
o meno suggerimenti, banali idee da sottoporre a scrupoloso
vaglio della burocrazia». Scandaloso, non è vero? Questo interventismo
culturale si associa a una visione politica anch'essa dinamica, fattiva, ma
dalla quale è bandita ogni idea di conflitto o, se è per questo, ogni idea di
complessità. Le opinioni che Renzi difende sono quelle su cui chiunque
esprimerebbe un accordo di massima durante una conversazione in spiaggia, al
taglio dell'anguria. Ma certo, c'è una burocrazia terrificante, bisognerebbe
snellire tutte le procedure. Ma certo, bisognerebbe licenziare i professori fannulloni
e premiare quelli bravi. Ma certo, tutti devono avere le stesse possibilità,
poi però è chiaro che il chirurgo bravo opera, e l'incapace no. La
conversazione agostana s'incarta di solito sul come. Come fare? Qualsiasi
persona seria trema di fronte a questa domanda. Come evitare, infatti, che la
soppressione della burocrazia dia via libera all'arbitrio? (Ovvero: come
evitare che Matteo Renzi, laureato in Scienze politiche, uno che pensa che la
battaglia di Gavinana abbia avuto luogo nel quartiere di Firenze che porta quel
nome, decida di cambiare la facciata di San Lorenzo?) Chi stabilisce chi sono i
professori da licenziare? Quelli che non piacciono agli studenti? Quelli che
non piacciono ai genitori? Oppure Oppure queste cose «si sanno»? Renzi non trema. Ha un'illimitata fiducia in sé, nei fiorentini e negli esseri umani: in quest'ordine. A giudicare da Stil novo, questa fiducia si fonda soprattutto sulle parole d'ordine dell'infantilismo corrente - Emozioni, Sogni, Eventi - e su slogan farlocchi come (poteva mancare?) Stay hungry, stay foolish. «La vera distinzione per il futuro dell'Italia - scrive - è quella tra coraggiosi e vili». La mia opinione è invece che la vera distinzione - anche questa trasversale e prepolitica, proprio come quella tra coraggiosi e vili - sia tra adulti e bambini: intendendo per adulti quelle persone che meditano su quello che dicono e scrivono, diffidano della società dello spettacolo e dei suoi cascami (gli eventi, la Commedia di Dante «proclamata» nelle piazze), delegano a persone competenti, rifiutano di credere che esista un mondo di buoni da una parte (se stessi e i propri amici) e, dall'altra, un mondo di reazionari con la desinenza in -one. E intendendo per bambini quelle persone che hanno un'opinione su tutto, non ascoltano quelle degli altri e si affidano a scorciatoie demenziali come «la distinzione tra coraggiosi e vili».
Ciò detto sulle idee che contiene, va solo aggiunto che
anche il linguaggio di Stil novo è il linguaggio medio della conversazione da
spiaggia, con quel tono da «si fa pe' scherza'», quella toscanità caricaturale
che anche nei comici veri, come Benigni, suona spesso imbarazzante (un encomio
agli sceneggiatori di Boris, che hanno saputo fermare l'attimo: «… perché con
quella c aspirata e quel senso dell'umorismo da quattro soldi, i toscani hanno
devastato questo Paese»). Non si finirebbe più di citare, ma ecco per esempio
che «Dante era uno ganzo» (e non il parruccone che ci ha descritto la «pubblica
istruzione», facendocelo odiare); ecco, in dittico con Dante, l'arzillo
«Ginettaccio Bartali» e il suo «Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare»;
ecco il detto popolare sempre calzante: «Senza lilleri non si lallera»; ecco la
definizione spiccia, antilibresca: «Ma Cellini era uno sparaballe mica da
ridere»; ecco, vera perla da bar, lo Stato personificato: «Bene. Io, Stato, ti
vengo incontro». Prevedibilmente, Il rovescio di questo registro
basso-colloquiale è il sublime, o il sublime andato storto, cioè il kitsch:
«Firenze è anche questo. Un insieme di attimi che si fanno eternità».
Stil novo contiene i pensieri di un italiano come tanti, articolati nel modo in cui tanti li articolerebbero, e non ci sarebbe niente di male, in questa media sociologica, se Matteo Renzi non aspirasse a dirigere il maggiore partito italiano e, coll'occasione, l'Italia. Se l'impresa gli riuscirà, si realizzerà questo interessante paradosso: andrà al governo, sotto le insegne di un partito di sinistra, un uomo che - come la tradizione della sinistra vuole - fa della cultura uno dei pilastri del suo programma politico, ma che, per le cose che scrive e per il modo in cui le scrive, non sembra avere alcuna dimestichezza coi libri, né con ciò che i libri insegnano veramente. Ben scavato, vecchia talpa.
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