Infinite informazioni dal web ma ragazzi senza capacità critica e di astrarre. L’antidoto? Tornare a discutere in piazza. La tesi del politologo veneziano Tonello
Non si fa altro che parlare di società dell’informazione, di nativi digitali e mutazione «antropologica » dovuta all’utilizzo delle nuove tecnologie e alla disponibilità illimitata di conoscenza attraverso la Rete. Eppure, più che in una nuova era della conoscenza stiamo vivendo nell’età dell’ignoranza. L’analisi è di Fabrizio Tonello. Veneziano, professore di Scienza politica all’Università di Padova e giornalista, Tonello ha appena pubblicato un libro, «L’età dell’ignoranza» (Bruno Mondadori editore, 160 pagine, 15 euro) che mette sul banco degli imputati la rinuncia a investire sull’istruzione, l’antintellettualismo italiano e un provincialismo tecnologico che vanta le magnifiche sorti e progressive del web. Tutti elementi che concorrono a questa lunga stagnazione, dove la disoccupazione aumenta e la crescita rimane un miraggio. La tesi di fondo è che anche se effettivamente cresce la quantità di conoscenza e crescono i media per accedervi, cala però la capacità nostra e dei ragazzi di maneggiarla.
Con l’evidente paradosso che, complici gli algoritmi che personalizzano i risultati delle ricerche a seconda del profilo dell’utente, le persone finiscono per accedere solo a fonti d’informazione limitate, quelle che già conoscono, e a restringere il proprio cono visivo anziché ampliarlo. «Avere a disposizione miliardi di informazioni - spiega Tonello - non equivale a comprenderle, né a saperle usare correttamente: al contrario, il rumore di fondo può diventare un ostacolo all’uso dell’intelligenza critica. Tra le giovani generazioni serpeggia una pericolosa illusione, quella di non dover imparare più niente perché la cultura viene gentilmente offerta già preconfezionata». Da chi e perché, nessuno ormai se lo domanda nemmeno più. Gli esempi di questa distorsione sono sotto gli occhi di tutti. Tonello ne ha esperienza quotidiana nelle aule universitarie: studenti che entrano in Ateneo sempre meno preparati, ma che soprattutto non sanno studiare, anche mai lo volessero... «Gli studenti del 2012 sono una generazione a rischio, in difficoltà con il pensiero astratto, padroni di un italiano povero e stentato, spesso privi di nozioni di base sul funzionamento delle istituzioni e inclini ad accettare acriticamente stereotipi e cliché veicolati da televisioni e giornali».
Una decadenza frutto di un disprezzo per la cultura che ha radici lontane e cause profonde e globali: «In Italia l’anti-intellettualismo ha avuto un rapido sviluppo dopo l’avvento delle televisioni commerciali attraverso programmi che giustificano ogni comportamento, anche quelli antisociali, in nome della libera espressione delle emozioni, provocando uno spostamento di interessi dalla società all’individuo». Un meccanismo che si è diffuso come una «metastasi in tutti i settori della produzione simbolica, in particolare il giornalismo e la scuola». C’è poco da sorprendersi se gli italiani leggono sempre meno quotidiani. «Solo una minoranza della popolazione è in grado di elaborare dati complessi. Dati di cui i giornali sono zeppi». L’età dell’ignoranza ha pervaso tutta la società, è arrivata fino al sistema di potere. Negli Usa ancor prima che in Europa e in Italia. «Fino a trent’anni fa i George W. Bush non erano apparsi né sarebbero potuti apparire. Per accedere alle classi dirigenti occorreva dimostrare un minimo di competenze. L’incapacità di mettere insieme due frasi sensate è diventata un punto di forza anziché una ragione di esclusione dalla competizione democratica». È questo il clima in cui il web si è innestato. «Internet ha reso possibile la disintermediazione dei giornalisti: televisioni, giornali e siti web si concentrano solo sul fornire notizie tempestive, senza alcun approfondimento ».
Ovviamente c’è il rovescio della medaglia fatto di attivismo e informazione dal basso. Ma il problema di fondo è che «l’integrazione fra canali di sole notizie e i social network sta trasformando la velocità nell’unico criterio giornalistico valido. Si sta consolidando così un consumo fatto di contenuti spettacolari, notizie leggere, frammentate ed effimere ». Gli algoritmi dei motori di ricerca e le news personalizzate sul profilo del lettore fanno il resto. «Internet, da strumento che doveva allargare i nostri orizzonti è diventata in pochi anni, per ragioni commerciali, uno strumento per restringerli». L’unico antidoto? Una pratica sociale quotidiana che torni a riunire cultura e azione ricreando quel senso comune che si è perso. «La capacità di navigare nella rete compenserà le capacità perdute solo se dal virtuale si tornerà alle piazze reali: quelle dove si discute e si impara. E in aule scolastiche con professori motivati, più giovani e pagati meglio, condizione per rianimare anche il mondo dell’economia italiana». Altrimenti? Good night and good luck.
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