Il sindaco di Firenze: basta vivacchiare, bisogna avere le idee chiare. Riuniamo i gruppi e lanciamo una proposta forte
Matteo Renzi, cosa dovrebbe fare il Pd? Un governo con il Pdl, o no?
«Il Pd deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure Berlusconi è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti. Non è possibile che il noto giurista Migliavacca un giorno proponga ai grillini di votare insieme la richiesta di arresto per Berlusconi, che tra l'altro non è neanche arrivata, e il giorno dopo offra al Pdl la presidenza della convenzione per riscrivere la Carta costituzionale. In un momento si vagheggia Berlusconi in manette, in un altro ci si incontra di nascosto con Verdini. Non si può stare così, in mezzo al guado. Io ho tutto l'interesse a votare subito. Ma l'importante è decidersi».
Se si torna a votare subito con Bersani candidato premier, lei che fa?
«Guardi, non nego che fino a qualche settimana fa la mia valutazione passava dal capire cosa potevo fare da grande. Ma in questo momento è secondario quel che fa Renzi o quel che fa Bersani. Qui c'è una crisi talmente profonda che una sola cosa conta davvero: quel che fa l'Italia. Io parlo contro il mio interesse. In tanti mi dicono: "Matteo stai buono, non fare interviste, stai zitto, tanto la prossima volta tocca a te". Ma io non ragiono in questo modo. Non voglio stare buono così qualcosa mi tocca. Non voglio essere cooptato da altri. Non voglio essere l'ultimo di quelli che c'erano prima. Semmai vorrei essere il primo di una fase nuova. E mi stupisco quando sento dire da alcuni dei nostri: "Non possiamo fare questa cosa perché gli italiani non ci capirebbero". Non sono gli italiani che non ci capiscono; siamo noi che non capiamo loro. Come se gli italiani fossero meno capaci di noi di intendere o di volere....».
Quindi il Pd secondo lei dovrebbe fare un accordo con Berlusconi.
«Non necessariamente. Deve smettere di fare melina. Non parto dall'accordo con Berlusconi. Parto dal fatto che si devono avere idee chiare. O si va a votare, e la cosa non mi spaventa; anche se, ad andare in Parlamento, non trovi un deputato convinto in cuor suo che si debbano sciogliere le Camere, per quanto nessuno abbia il coraggio di dirlo fuori. Altrimenti si fa un patto costituente da cui nasce la Terza Repubblica. Qui invece si punta a prendere tempo e a eleggere un capo dello Stato che ci dia più facilmente l'incarico di fare il nuovo governo».
Lei chi vedrebbe al Quirinale?
«Si figuri se mi metto a fare dei nomi. L'importante è che sia una personalità autorevole, scelta pensando ai prossimi 7 anni, non alle prossime 7 settimane».
Ma il Pd deve scegliere il capo dello Stato con Grillo o con Berlusconi?
«Non si deve partire dagli equilibri tattici, ma dalle persone. Si trovi una candidatura forte; poi chi ci sta ci sta. Allo stesso modo, per il governo si deve partire dalle cose da fare».
Quali cose?
«Anziché vivacchiare, rendiamo utile questo tempo. Bersani riunisca fin dalla prossima settimana i gruppi parlamentari. Non l'ennesima direzione che diventa una seduta di autocoscienza; i gruppi parlamentari, che tra l'altro sono quasi tutti bersaniani. Giovani in gamba, persone di valore, che però si sono riuniti finora, credo, solo tre volte. Lanciamo una proposta forte. Il sindaco d'Italia: una nuova legge elettorale, grazie a cui si sa subito chi ha vinto. Abolizione del Senato, che diventa la Camera delle autonomie, con i rappresentanti delle Regioni e i sindaci delle grandi città che vanno a Roma una volta al mese e lavorano senza ulteriori indennità; così il Parlamento è più efficiente e costa la metà».
Sono leggi costituzionali. Ci vuole tempo.
«In sei mesi si può fare. Come anche l'abolizione delle Province; per davvero però, non per finta come si è fatto finora. Se invece riteniamo che lo spazio per parlare con il centrodestra non ci sia, allora andiamo a votare. Ma in fretta».
Comunque il patto costituzionale passa attraverso un accordo di governo con il Pdl. Proprio quello che Bersani esclude.
«Andare al governo con Gasparri fa spavento, lo so. Non a caso io sono pronto a votare subito. Ma se il Pd ha paura delle urne deve dialogare con chi ha i numeri. Il Pd avanzi la sua proposta, senza farsi umiliare andando in streaming a elemosinare mezzi consensi a persone come la capogruppo dei 5 Stelle, che hanno dimostrato arroganza e tracotanza nei nostri confronti».
Che impressione le ha fatto quella diretta?
«Mi veniva da dire: "Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così!". Ho pensato a cosa doveva provare una volontaria che va a fare i tortellini alla festa dell'Unità: credo ci sia rimasta male nel vedere il suo leader trattato così, alla ricerca di un accordicchio politico».
Grillo è il vero vincitore delle elezioni, con lui si dovrà pur parlare.
«Se avessimo fatto ciò che dovevamo fare Grillo non arrivava a doppia cifra. Se un marziano fosse arrivato in Italia il 25 febbraio, avrebbe visto tre leader tutti e tre convinti di aver vinto o comunque di essere andati bene, più un quarto, Monti, che diceva: in pochi giorni non potevo fare di più. Nel frattempo l'economia attraversa una crisi drammatica. E noi passiamo le giornate a farci spiegare dalla Lombardi, con un'arroganza che non si vedeva dai tempi della Prima Repubblica, cosa siamo e cosa non siamo? Rivendico il diritto alla dignità della politica, che è una cosa seria. Noi non dobbiamo inseguire Grillo. Facciamo noi i tagli alla politica, aboliamo il finanziamento pubblico ai partiti e poi vediamo chi insegue».
Ci sono i dieci saggi al lavoro.
«Cosa ci possono dire di nuovo Violante e Quagliariello? Non sono certo la soluzione, al più possono essere concausa della crisi. Lo dico con grande rispetto per il presidente Napolitano: dare la colpa a lui per l'impasse è come dare la colpa al vigile se in città c'è traffico. Ma ora il Pd deve avere un sussulto di orgoglio: via il Senato, via le province, legge elettorale dei sindaci. Una gigantesca operazione di deburocratizzazione, con una grande scommessa sull'on line. E un piano per il lavoro, che dia risposte al dolore delle famiglie e alle sofferenze delle imprese. Vedo invece che hanno ancora rinviato il decreto per pagare i debiti della pubblica amministrazione, e mi chiedo: ma questi da quanto tempo non vanno in un'azienda?».
Ce l'ha con Monti?
«Monti ha fatto un lavoro importante, soprattutto all'inizio. Ora deve proseguire, fino a quando non avremo un nuovo governo».
E Berlusconi? Come sono in realtà i vostri rapporti? E' vero che le ha proposto di fare un partito insieme?
«Macché. L'ho visto quattro volte in vita mia. Ad Arcore, com'è noto. All'inaugurazione dell'alta velocità. In prefettura a Firenze nel 2006. E, nel novembre 2011, a San Siro, dove lui era per il Milan e io per il mio amico Pep Guardiola. Non lo vedo da allora. L'accusa di intelligenza con il nemico è tipica di una parte del nostro schieramento. Io non voglio Berlusconi in galera. Voglio Berlusconi in pensione».
E intanto va da Maria De Filippi.
«La polemica su Amici è emblematica di un astio ideologico verso gli italiani che non sopporto. Rivendico il diritto e il dovere di parlare ai ragazzi che seguono Amici, che non sono meno italiani dei radical chic che mi criticano. Io voglio cambiare l'Italia mentre una parte della sinistra vuole cambiare gli italiani. Sono due cose diverse...».
Ma perché andarci proprio con il "chiodo"?
«Chi mi rimprovera di aver scelto un abbigliamento alla Fonzie forse si sente un po' Ralph Malph».
Se si torna a votare, lei chiederà al Pd nuove primarie?
«Sì. Non posso essere legittimato dal gruppo dirigente che intendo cambiare. Ma in questo momento non mi pongo il problema. Certo non posso dimettermi da italiano. Voglio bene al Pd, ma prima ancora voglio bene all'Italia. E non riesco a restare in silenzio di fronte allo spettacolo di una politica che continua a pescare la carta "tornate al vicolo corto". Dobbiamo dare un orizzonte al Paese, perché anche le aziende che vanno bene o i privati che potrebbero consumare oggi sono rannicchiati, impauriti».
Lei vorrebbe una politica finanziata solo da privati. Ma così, dice Bersani, la faranno soltanto i ricchi. Gli imprenditori che la finanziano non le hanno mai chiesto qualcosa in cambio?
«A Firenze ho varato un piano regolatore a volumi zero: non si può più costruire, solo restaurare; non mi sono certo fatto condizionare da interessi privati. E poi in Italia abbiamo il più grande finanziamento pubblico ai partiti dall'Occidente; non mi pare che questo abbia dissuaso i ricchi dal fare politica».
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