L’autonomia è figlia della Costituzione. Il nostro progetto non è frutto della ricerca di cavilli o di divagazioni giuridiche, perché la nostra Carta fondamentale è limpida a riguardo. Lo era fin dalla sua promulgazione nel 1947 e ancora più chiara si presenta dopo la modifica del titolo V del 2001. Tutt’oggi, però, la gestione del Paese è centralista e quindi inadempiente nei confronti dei dettami messi nero su bianco dai padri costituenti. È la Carta costituzionale che prevede si possa concretizzare l’autonomia differenziata che, come dice lo stesso termine, rappresenta un federalismo su misura, un «abito sartoriale», che possa adattarsi alle esigenze di ogni Regione che desideri adottarlo. Prevede, infatti, la possibilità per tutte le Regioni di sottoscrivere un’intesa propria con lo Stato in cui possono chiedere di gestire fino a ventitré materie, elencate in maniera puntuale nella Carta.
Finora il lavoro da parte nostra per costruire l’autonomia è stato incessante. Lo abbiamo portato avanti insieme ad altre Regioni e in cinque anni abbiamo elaborato tutto quanto è di nostra competenza per raggiungere quello strumento flessibile che i cittadini si attendono per la loro regione.
Dal referendum veneto del 2017 sono passati cinque anni e cinque governi differenti a Palazzo Chigi e, nonostante da febbraio del 2020 la pandemia ci abbia imposto un impegno straordinario su molti altri fronti, abbiamo fatto diligentemente tutti i compiti, dagli approfondimenti giuridici alla valutazione degli aspetti fiscali, sempre con la convinzione che per noi si tratta di un obiettivo vitale. Un progetto «a saldo zero», perché non porta via soldi a nessuno, che accorcerà le distanze tra cittadini e amministrazione e assicurerà maggiore efficienza, garantendo con il medesimo impegno finanziario le competenze che al momento lo Stato gestisce sul territorio.
Il percorso è oggi giunto alla redazione della bozza di una legge quadro; questa sarà il punto di partenza per il lavoro da portare avanti con il nuovo governo. Un’evoluzione perfettamente aderente alla Costituzione e rispettosa del ruolo del Parlamento che sarà chiamato a valutarla. Questa legge, una volta approvata, fisserà i limiti e definirà l’ambito all’interno del quale ogni singola Regione potrà redigere la sua intesa con lo Stato.
È il momento di una presa di coscienza generale. Il vero nemico dell’autonomia è la disinformazione che in alcuni casi la dipinge come una minaccia per il Paese. Autonomia significa federalismo, un obiettivo di modernità che contraddistingue oggi i Paesi più efficienti, mentre l’Italia continua a vivere arroccata nel suo modello centralista che, come diventa ogni giorno più palese, è uno dei grandi limiti che ne frenano il progresso. Impegnarsi per un futuro del Paese basato sull’autonomia regionale non vuol dire contrastare l’identità nazionale o svilirla. Ci sono realtà squisitamente federali, come la Germania o gli Stati Uniti, in cui le identità territoriali non confliggono con quella nazionale, anzi, la rafforzano.
Nella stessa Gran Bretagna, che in occasione della morte della regina Elisabetta è assurta a immagine planetaria di un radicatissimo sentimento di comunità, le autonomie sono una realtà indiscutibile.
Il federalismo è centripeto e il centralismo è centrifugo; il primo rafforza gli Stati, il secondo li disgrega. I pessimisti non fanno fortuna. E io sono, per natura, portato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Ascoltando le dichiarazioni di tanti esponenti politici, anche tra quelli più scettici, riguardo il nostro progetto, ho l’impressione che nessuno senta di poter opporre un no categorico e assoluto all’autonomia. Sono poche le posizioni contrarie senza se e senza ma, forse frutto di convinzioni ideologiche particolarmente ottuse e soprattutto non fondate su approfondimenti o analisi. Eccetto queste ultime, colgo una maggiore disponibilità generale a comprendere le opportunità che offre un progetto degno di essere considerato la vera rivoluzione pacifica che i cittadini attendono e di cui c’è davvero bisogno. Un atteggiamento che fa ben sperare, perché significa che in quel progetto non si vede un pericolo per nessuno, ma se ne coglie il valore di grande opportunità per tutti.
Il timore della contrapposizione tra autonomia e identità nazionale, infatti, è anacronistico. Il vero tema su cui ci si deve confrontare è se siamo o non siamo d’accordo nel disegnare un Paese federale. Oggi la storia sta offrendo su un piatto d’argento al nuovo governo, emerso dalle elezioni del 25 settembre 2022, l’opportunità di segnare una tappa fondamentale per il futuro del nostro paese: scegliere tra il medioevo del centralismo e il rinascimento del federalismo, scongiurando l’alternativa di un disastro annunciato. Dovrà essere questo esecutivo a dimostrare di saperla cogliere fino in fondo. L’autonomia, infatti, prima o poi si raggiungerà e diventerà una realtà. Quel giorno decisivo passeranno alla storia sia coloro che, pur avendone avuto l’occasione, non saranno riusciti a dare compimento a un simile obiettivo, sia coloro che si saranno resi capaci di concretizzarlo, per la lungimiranza e, soprattutto, per aver consegnato al paese quella che è la vera grande opportunità affinché possa costruire una prospettiva di ripartenza.
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