Le indagini partono a Milano a fine 2009. I pm indagano su una rete di società che emettono fatture false. Emerge così "il sistema Sesto". Affari e mazzette intorno alla riqualificazione dell'area delle ex Falck. I testimoni parlano di pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo, di soldi dati per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell'area. Le tangenti pagate ammonterebbero a 5,7 miliardi di lireÈ l'inchiesta che scopre "il peccato originale" del centrosinistra milanese: quello degli "ingenti finanziamenti percepiti durante il duplice mandato di sindaco" e che "condiziona tuttora le decisioni di Filippo Penati indipendentemente dal tempo trascorso e dal ruolo ricoperto". L'indagine della procura di Monza, chiusa nei giorni scorsi, diventa uno spaccato sugli affari di un pezzo di partito che - al momento della discovery dell'inchiesta, un anno fa, con le perquisizioni negli uffici e abitazioni di Penati e del suo entourage - si propone ancora come risposta allo strapotere di Formigoni e del berlusconismo al Nord. Le indagini dei pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia, mettono sotto tutt'altra luce l'operato di Filippo Penati, ex sindaco di Sesto ed ex presidente della provincia di Milano e dei suoi uomini piazzati nei gangli del potere locale, definiti il "direttorio finanziario democratico" lungo "un quindicennio di sfruttamento della funzione pubblica a fini di arricchimento privato".
Da Santa Giulia al "Sistema Sesto"
Le indagini partono a Milano a fine 2009. I pm di Milano Laura Pedio e Gaetano Ruta indagano su una rete di società che emettono fatture false a favore di Luigi Zunino, ex proprietario dell'area Montecity-Santa Giulia, al centro di un'inchiesta per la mancata bonifica del sottosuolo, e da qui arrivano a Piero Di Caterina, il grande accusatore di Penati. Tra le società cartiera c'è anche la sua Caronte. Di Caterina inizia a svelare ai magistrati "il sistema Sesto", gli affari e le tangenti intorno alla riqualificazione dell'area delle ex Falck. Racconti confermati poco dopo dal costruttore Giuseppe Pasini, ormai ottantenne, primo proprietario di quell'area dismessa. Anche lui parla di pressioni ricevute dagli esponenti del Pd lombardo, di soldi dati per ottenere le varianti al Piano regolatore necessarie alla lottizzazione dell'area, quantifica in circa 5,7 miliardi di lire le tangenti pagate per poter vedere sbloccato il piano di riqualificazione. Da qui partirà l'indagine che conta oggi una trentina di indagati per corruzione, concussione, illecito finanziamento ai partiti, fatture false, tra politici, imprenditori, banchieri, costruttori, manager delle coop rosse, faccendieri.
Le tangenti con l'elastico e la finta caparra
Agli atti dell'inchiesta c'è l'ormai famosa mail con la quale Di Caterina chiede a Penati la restituzione dei soldi che gli avrebbe anticipato con l'accordo di vederseli restituiti quando Penati avrebbe incassato i pagamenti di Pasini. Di Caterina, mette a verbale che Penati si recava personalmente nella sede della Caronte, la sua società di trasporti locali, per ritirare le buste di banconote preparate dalla sua fedele segretaria. Soldi che lui era convinto che sarebbero ritornate in contanti o appalti. Da qui la definizione di "tangenti con l'elastico". Ma quei denari non tornavano mai indietro. E infatti la procura sequestra la durissima mail del 2008, che il proprietario della Caronte invia a Penati e Binasco, 66enne manager del gruppo Gavio. "Nel corso degli anni, a partire dal 1999 - scrive - ho versato a vario titolo, attraverso dazioni di denaro a Penati, notevoli somme" di cui "il sottoscritto ha cercato di tornare in possesso, ma salvo marginali versamenti senza successo. Penati ha promesso di restituire dopo estenuanti mie pressioni, proponendomi nel tempo varie opzioni che si sono rivelate inconcludenti fino a quando ha proposto l'intervento del gruppo Gavio".
Nasce così - è questa l'ipotesi della procura - una compravendita con la finta caparra tra Bruno Binasco e Di Caterina. Un contratto che in realtà serve solo a far incassare a Di Caterina i due milioni di finta caparra. Una restituzione di denaro da parte di Penati tramite il gruppo delle autostrade, perché Binasco non esercita l'opzione d'acquisto. Un marchingegno che costa all'ex presidente della provincia di Milano l'imputazione per illecito finanziamento ai partiti.
La supervalutazione della quota di Serravalle
Ma perché il gruppo Gavio doveva accettare di dare quei soldi a Di Caterina per conto di Penati? Nell'inchiesta compare la vendita alla provincia di Milano della quota del 15% della Serravalle da parte del gruppo Gavio. Un'operazione con cui Penati garantisce al gruppo di Tortona una plusvalenza di 179 milioni. Il Nucleo di polizia tributaria di Milano si presenta una mattina di settembre nella sede di Tortona della società per capire le ragioni di quella vendita - 8,83 euro per azione contro i 2,9 a cui aveva acquistato Gavio - e se ci sia un nesso con il successivo investimento di circa 50 milioni di Gavio nella scalata Bnl da parte di Unipol. Un'operazione su quel 15% che i periti definiscono senza "un senso da un punto di vista pubblico" pur avallandola dal punto di vista formale.
Le coop nell'affare Falck
Nell'affare della riqualificazione dell'area Falck devono entrare per forza le coop. Lo racconta ai magistrati di Monza, Pasini. Secondo l'immobiliarista, la presenza del Consorzio cooperative costruttori di Bologna era la condizione per "compiacere la controparte politica nazionale". E Pasini mette a verbale che accetta le coop perché le riconosce come "snodo fondamentale per il buon esito dell'affare" e per il "loro rapporto organico con i vertici nazionali del Pds". "Stupisce - scrivono i pm - come a fronte delle inadempienze del socio emiliano (la Ccc non pagherà la quota per rilevare i terreni) Pasini riconosca loro il diritto di entrare in ogni caso nell'affare senza chiedere indennizzi, ma anzi pagando mediazioni per prestazioni inesistenti" fino a 3, 5 milioni di euro ai due professionisti Francesco Agnello e Giampalo Salami che - stando agli atti dell'inchiesta - ricevettero quattro pagamenti da 620mila euro senza realizzare nulla". Pasini è chiaro. "Non potevo contraddire le coop se non rischiando di affossare tutta l'operazione, perché sono il braccio armato del partito".
Banca Intesa, "complice"
Non c'è solo la riqualificazione delle Falck. C'è anche quella della Marelli. E le due operazioni vanno messe insieme perché entrambe finanziariamente legate con Banca Intesa. I pm accendono un faro sull'istituto chiedendosi "se Banca Intesa non avesse un interesse proprio da perseguire oltre alla normale attività di erogazione del credito". La risposta la offre Pasini: "Contestualmente alla decisione della banca di costruire la nuova sede a Sesto, Baraggia (di Banca Intesa n. d. r.) mi chiese di rilevare l'area Falck, facendomi presente che sarebbe stato un ottimo affare sia per me, sia per loro che volevano impedire lo sbarco della Banca di Roma a Milano per ragioni di prestigio". La Banca è insieme ai soggetti politici l'elemento di continuità nella riqualificazione dell'area Falck. È Banca intesa, insieme con Penati, a spingere Pasini all'acquisto ed è sempre Banca Intesa a sostituirlo - come nuovo proprietario dell'area - prima con Zunino nel 2005 e con Davide Bizzi nel 2010". Scrivono i pm nell'appello contro la decisione del gip di negare l'arresto di Penati: "Appare significativo il ruolo di Banca Intesa nella costituzione della provvista per "la stecca" in Lussemburgo", ovvero i 4 miliardi che l'imprenditore Piero Di Caterina riceve da Pasini per conto di Penati. Per i pm, "la celerità nell'accredito della somma e la successiva movimentazione di denaro inducono a ritenere che la Banca, nella persona di Baraggia, come sostiene Pasini, fosse assolutamente consapevole e complice nell'illecito".
Fare Metropoli, la fondazione da 400mila euro
Gli investigatori scavano anche nei conti di Fare Metropoli, la fondazione creata da Filippo Penati, che - è la convinzione dei pm Mapelli e Macchia - non ha mai organizzato nemmeno un convegno o un evento politico ma si è rivelata solo un contenitore dove affluivano i soldi per Penati. La procura ha sequestrato nel pc dell'architetto Renato Sarno, beneficiario di diversi milioni di consulenze dalla provincia guidata da Penati e dal Gruppo Gavio, un file excel con un elenco di nomi e cifre per un totale di un milione 398mila euro, corrispondente al biennio 2008-2009. Nomi di società e singoli che hanno finanziato Fare Metropoli o direttamente l'architetto come tramite di Penati. È un'ipotesi che dovrà superare il vaglio del processo, ma che per la procura è la conferma di quanto sostenuto da Di Caterina, che aveva indicato ai pm proprio Sarno come "il collettore di tangenti di Penati".
Proprio i finanziamenti a Fare Metropoli portano nell'inchiesta gli ultimi sei indagati (per finanziamento illecito ai partiti). Tra loro Massimo Ponzellini, ex presidente della Banca Popolare di Milano, (cinquemila euro), e Enrico Corali (nominato da Penati in Expo 2015), presidente della Banca di Legnano (controllata da Bpm), che ha versato alla fondazione, nel giugno 2009, diecimila euro. Ma tra i nuovi indagati, anche due imprenditori considerati vicini al Pd pugliese e a Massimo D'Alema: Enrico Intini, indagato a Bari per turbativa d'asta nella sanità e legato a Gianpaolo Tarantini, l'uomo che procacciava le escort per Berlusconi, e Roberto De Santis che condivideva con D'Alema la proprietà del veliero Ikarus. Intini e De Santis - insieme all'architetto Renato Sarno, sono soci in MilanoPace, un'immobiliare molto attiva nella ex Stalingrado d'Italia, che ha versato 20mila euro a "Fare Metropoli". Proprio nell'attico di un palazzo costruito da MilanoPace a Sesto San Giovanni, vive Giordano Vimercati, per anni uomo ombra di Filippo Penati, suo capo di gabinetto in Comune e provincia, oggi "in rapporto professionale" come risulta alla Finanza - proprio con Intini, e indagato con le stesse accuse di Penati.
Gli oneri conglobati
Il sistema di corruzione coinvolge anche il comune di Sesto San Giovanni, dove Filippo Penati fu sindaco prima del grande salto in provincia. Nell'inchiesta risultano indagati anche l'ex sindaco Giorgio Oldrini e l'assessore ai lavori pubblici Pasqualino Di Leva, finito in carcere insieme all'architetto Marco Magni, nel cui studio venne assunta proprio la figlia dell'assessore. È proprio l'archittetto - a cui la procura ha bloccato diversi conti all'estero - ad aver escogitato gli "oneri conglobati", un sistema rivelato agli investigatori ancora da Di Caterina. "Magni in più occasioni - riferisce Di Caterina - mi ha detto che sugli interventi edilizi da lui progettati venivano pagati corrispettivi all'assessore Di Leva". Il denaro veniva mascherato con la "formula degli oneri conglobati, lui ha detto che servivano per far girare la macchina"
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