“Sì, è vero: adesso ci siamo. Le primarie, almeno così sembra, alla fine si faranno; e noi, quando Pier Luigi Bersani ufficializzerà la sua scelta, saremo pronti a giocarci la nostra partita. Lo faremo per sfidare il segretario, certo, ma soprattutto lo faremo per affermare le nostre idee, per dare una scossa al partito e per provare una buona volta a rivoluzionare, e a innovare, questo Pd. E però, carini, non fatevi illusioni: ché se qui noi siamo in campo non lo facciamo per partecipare, ma solo perché sappiamo che noi, oggi, in questa gara, possiamo vincere davvero”.
Matteo Renzi gioca ancora un po’ con le parole e continua a coniugare la sua discesa in campo con i tempi tiepidi e prudenti della prima persona plurale. Ma questa volta il “noi” utilizzato dal sindaco di Firenze per inquadrare il progetto studiato dalla sua squadra per inseguire e sfidare i vecchi volti del Partito democratico non è più soltanto un piano ipotetico legato a uno scenario indefinito e lontano nel tempo ma è diventato improvvisamente il programma per niente ipotetico di una reale campagna elettorale il cui countdown verrà azionato questa mattina alle dieci in punto nella sede del Pd: quando cioè il segretario del partito, Pier Luigi Bersani, di fronte agli oltre cento delegati della direzione nazionale, ufficializzerà una data che Renzi, come molti altri nel Pd, aspettava da tempo. Una data importante: 14 ottobre, giorno di primarie. “E’ la scelta giusta – dice Renzi in questa conversazione con il Foglio – ed è una nostra vittoria dato che noi le primarie le chiedevamo da tempo. Bersani è stato coraggioso: ha mostrato di avere fegato e intelligenza politica, e finalmente ha capito che sarebbe stato un suicidio per un partito come il nostro, che ha un bisogno disperato di innovazione, rinunciare proprio oggi, proprio in questo momento, al più grande strumento di innovazione di cui dispone il Pd. So che non sarà uno scherzo, naturalmente. So che la sfida sarà aperta e che le primarie non saranno come quelle di Firenze, e che per vincerle sarà necessario conquistare cifre mostruose, più o meno, diciamo un milione e mezzo di voti, ovvero cento volte i voti che ottenni tre anni fa a Firenze. Lo so, ma non ho paura: il nostro progetto è forte, e io ho le idee molto chiare su come poter costruire una piccola impresa”.
La “piccola impresa” Renzi inizierà a costruirla seguendo un percorso composto da quattro tappe. La direzione di oggi è il primo passaggio, poi ci sarà il Big Bang 2.0 (il 22 e il 23 giugno a Firenze), quindi arriverà la ratifica in Assemblea nazionale della data delle primarie (il 6 luglio) e infine, a metà luglio, a cento giorni esatti dalle primarie del 14 ottobre, ci sarà “una grande convention in stile obamiano in cui verrà annunciata la candidatura” e da lì in poi comincerà il viaggio di Renzi e compagnia in cento province italiane. “Vedete – continua Renzi – dico ‘noi’ non perché io ci tenga a fare l’acrobata con le parole ma solo perché so che nei prossimi mesi se dovesse emergere una candidatura più forte della mia io sono pronto a farmi da parte. E qui non si tratta di essere diplomatici: si tratta semplicemente di avere la consapevolezza che a guidare la partita deve essere qualcuno che ha la possibilità di vincere, e non di fare una mezza comparsata, sul modello Rosy Bindi, come è successo nelle ultime primarie del centrosinistra”. Primarie, già. Ma quali primarie? Fino a oggi Bersani si è limitato a parlare di primarie senza specificarne il modello, e lasciando intendere che la formula sarebbe stata quella delle consultazioni di partito. A sorpresa però il segretario sembra sia pronto ad annunciare in direzione una formula diversa, che permetterebbe di partecipare alla competizione non solo a Matteo Renzi ma anche a tutti gli altri leader di partito alleati con il Pd: le primarie aperte di coalizione. “Poco importa la formula. Qui contano i contenuti. E i contenuti della nostra battaglia saranno chiari: sono quelli che abbiamo elencato lo scorso anno alla Leopolda e sono quelli che ribadiremo a fine giugno a Firenze. Non parleremo mai di alleanze, parleremo molto di liberismo, di merito, di Europa, ambiente e proveremo a dimostrare che per essere il principe dell’innovazione il Pd non ha bisogno di ammanettarsi a qualche inutile lista civica”.
Renzi entra nel merito e prova a elencare alcuni punti del programma. Primo “Non faremo una sciocca campagna contro Mario Monti, ma spiegheremo per quale motivo, per la classe dirigente del Pd, Monti è diventato un alibi per non ammettere una verità: che se il Pd perde voti non è perché appoggia Monti ma perché fino a oggi non è riuscito a presentarsi di fronte agli elettori come un’alternativa credibile per guidare questo paese”. Secondo: “Faremo una campagna sul merito, e cercheremo di dimostrare che un partito riformista, di fronte per esempio a riforme suggestive come quella suggerita dal ministro Francesco Profumo, non può permettersi di essere percepito come il partito che si preoccupa di non dare spazio al talento”. Terzo: “Spiegheremo che senza chiarire i problemi legati all’Europa, e senza impegnarci per dare vita agli Stati Uniti d’Europa e dare la possibilità alla Bce di stampare moneta, i problemi del nostro paese, e non solo quelli economici, non verranno mai risolti”. Quarto: “Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore”. Quinto: “Mai più il modello Vasto e mai più coalizioni fatte per vincere, farsi ricattare e naturalmente non governare”. Il cronista fa notare che alcuni tratti del programma coincidono con quelli del segretario ma su questo punto Renzi ha le idee chiare, e sostiene che ora come non mai è il momento di mostrare ed esplicitare qual è “il fallimento più grande di questa classe dirigente”. “E’ qui la vera questione – dice Renzi – Oggi non si tratta solo di rottamare qualcuno. Si tratta di spiegare che c’è un’intera generazione politica che fa parte di una squadra che negli ultimi vent’anni ha contribuito a portare il paese verso l’abisso in cui siamo precipitati. Finora i Bersani, i D’Alema e gli altri mostri sacri del Pd hanno avuto l’occasione di realizzare le riforme che oggi dicono di voler fare un domani. L’occasione l’hanno avuta e non l’hanno sfruttata. Ora tocca a noi: e se si vince bene, e se si perde faremo un sorriso e torneremo a Firenze e nelle nostre rispettive città. Tranquilli, però: se scendiamo in campo non lo facciamo per fare i bischeri: lo facciamo per vincere, e vedrete che ce la faremo”.
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