Esiste una concezione minimalista delle
democrazie liberal-costituzionali: elezioni libere, diritti politici, governi
che si formano e cambiano in Parlamento, luogo nel quale si esprime la
sovranità popolare. Se coloro che si dichiarano liberali, in Italia,
conoscessero anche soltanto questo essenziale principio, si risparmierebbero
gli strafalcioni nei quali incorre furiosamente Piero Ostellino (Corriere
della sera del 16 aprile). Alquanto ritrita e del tutto sbagliata è la
tiritera sul governo Berlusconi eletto dal popolo, il quale, al massimo - e i
liberali dovrebbero esserne preoccupati e combattere una vigorosa battaglia per
la riforma elettorale - aveva messo una crocetta sul simbolo di un partito. Un
po' poco per esprimere la sovranità popolare: peccato che Ostellino non se ne
sia accorto.
Dovendo scegliere non ho nessun dubbio da che
parte stare. Le cronache della politica nazionale le leggo sul Corriere.
La mia parte politica alla quale Ostellino nella sua furia cieca attribuisce le
mie elaborazioni che hanno, invece, fondamento in quella conoscenza comparata
dei sistemi politici che a lui manca del tutto, sono chiaramente le
socialdemocrazie nordiche. Poiché il liberalismo non va affatto confuso con il
liberismo, le socialdemocrazie nordiche sono, dal punto di vista delle loro
istituzioni, democrazie liberal-costituzionali. Il loro grande apporto è stato
quello di combinare le politiche economiche del liberale Keynes con elementi di
welfare anch'essi di solida impronta liberale. È il liberalismo del
filosofo politico John Rawls. Purtroppo, Ostellino non è riuscito ad andare
oltre la mia introduzione. Difficile negare che la «società giusta» di Rawls
sia l'esito che le istituzioni liberali intendono produrre. Facile, invece,
spiegare perché i liberali italiani siano quattro gatti senza collare (qualcuno
anche senza pudore). Troppi fra loro credono che essere antisocialisti sia
sufficiente per definirsi liberali. Anche i conservatori e i reazionari sono
antisocialisti ma questo non serve loro per comprarsi il biglietto d'ingresso
nel giardino del liberalismo politico e del costituzionalismo. Poiché i
liberali sanno che «provando» si può anche sbagliare e che la storia impartisce
dure repliche, concluderò suggerendo a Ostellino di «provarci» ancora a
confutare il liberalismo dei liberali classici da Montesquieu a Kant, da
Tocqueville a Mill, magari dopo avere letto anche soltanto gli articoli loro
dedicati da Paradoxa .
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