Nel giorno della bomba che ha ucciso Melissa Bassi, 16 anni, alla scuola di Brindisi intitolata a Francesca Laura Morvillo Falcone, sono arrivata a casa dal Giornale che erano le 22. Ho acceso la tv, Rai Uno. Sull’ammiraglia pubblica dell’informazione ero certa, stracerta di trovare un approfondimento giornalistico su quell’episodio che ha sconvolto l’Italia intera, scesa immediatamente in piazza per indignarsi e allarmarsi e reagire. E invece no. Invece, su Rai Uno c’era la partita. Champions League: il Chelsea batte ai rigori il Bayern Monaco. Alla fine, mi segnala un collega, la cronista fuori dallo stadio dice che “c’è solo dolore, tristezza, pianto, orrore”. Non parla di Brindisi, naturalmente, ma dei tifosi del Bayern.
Ho avuto un conato di rabbia. Mi dicono che sbaglio. Perché i diritti televisivi ormai erano stati pagati, e perché ci sarà tempo per attivare il circo mediatico. Ma io non credo di sbagliare. Io credo che non ci sia tempo. Il giorno stesso in cui accade una cosa di tanta gravità, è necessario, obbligatorio, doveroso riunirsi e ragionare. Non per scavare nel dolore, ma per volgere tutti lo sguardo nella stessa direzione. Su Rai Uno avrebbero dovuto esserci non i professionisti della morbosità, ma osservatori illuminati che insieme agli italiani ragionassero sulle cause e sulle conseguenze, analizzassero dove siamo e dove andiamo, i dubbi, i rischi, lo sforzo collettivo di porsi domande e cercare risposte. Un’attenzione per rispetto ai morti. E un’attenzione per dire che adesso bisogna fermarsi e guardare tutti lì, nello stesso punto. Un’attenzione per ricordarci quali sono le priorità, qual è la scala dei valori. Perché in tempi di politica debole, difficoltà economiche e tensione sociale, la deriva violenta attecchisce facilmente. Ancora di più se siamo distratti. Ancora di più se legittimiamo chi svuota di significato parole come “dramma” e “orrore”, usandole per descrivere lo stato d’animo di chi non ha perso la vita, ma una partita.
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