Il proscioglimento di Silvio Berlusconi dall'accusa di corruzione nel caso
Mills, per prescrizione del reato, ha sollevato, inevitabilmente, polemiche. E
un sottile senso di inquietudine. Non solo perché, in questo modo, il Cavaliere
è riuscito a sottrarsi, di nuovo, al giudizio.
Ma soprattutto perché ha
rammentato a tutti che Berlusconi non se n'è andato, ma è sempre lì. Anzi, qui.
Con gli stessi vizi di sempre. Da ciò l'altro motivo di preoccupazione (o, per
alcuni, di speranza). Potrebbe rientrare in scena. Da protagonista. Visto che il
ruolo di comprimario al Cavaliere non si addice. D'altronde, Berlusconi resta il
leader del Pdl. Tuttora il primo partito in Parlamento. E, insieme, la
principale forza politica della maggioranza che sostiene il governo Monti.
Tuttavia, anche questa vicenda suggerisce che il vento è cambiato. Che
il tempo di Berlusconi e del berlusconismo è finito.
Anzitutto,
l'attenzione intorno al caso appare meno accesa rispetto al passato. Quando
Berlusconi era il capo del governo o dell'opposizione. Quando era il dominus
della scena politica. Il conflitto di interessi che si portava - e si porta
dietro - appariva, allora, insopportabile, sul piano pubblico. Oggi è
altrettanto intollerabile, ma la posizione politica del Cavaliere, passato dalla
ribalta al retroscena, ha sdrammatizzato le tensioni. Peraltro, i principali
attori politici (e istituzionali) che sostengono il governo temono episodi e
fratture che possano minare la tenuta della legislatura.
Un'eventualità
avversata, per primo, da Berlusconi. Al quale conviene che Monti governi almeno
fino alla scadenza naturale della legislatura. E magari oltre. Per una ragione
su tutte le altre: se si votasse oggi, il centrodestra non avrebbe speranze. Il
Pdl (citiamo le stime di Ipsos dell'ultima settimana) galleggia intorno al 22%.
L'alleanza con la Lega, inoltre, appare complicata, logorata dal sostegno di
Berlusconi al governo Monti. E, comunque, i partiti del centrodestra (Pdl, Lega
e Destra), tutti insieme, sono accreditati di poco più del 33% dei voti. Quattro
punti meno del centrosinistra (Pd con Idv e Sel).
Ma in una competizione
a tre, con il Terzo Polo in campo (stimato intorno al 20%), la distanza fra i
due poli principali salirebbe a 10 punti percentuali. Troppi per rischiare il
ricorso anticipato alle urne in questo momento. Tanto più perché, da quando ha
avuto avvio il governo Monti, il divario fra centrodestra e centrosinistra si è
stabilizzato e, anzi, un po' ridotto. Morale: l'esperienza del governo tecnico
non fa male a Berlusconi. Gli permette di riorganizzare le fila. In un periodo
politicamente difficile, per lui e per il Pdl.
Ma il ritorno di
Berlusconi è improbabile soprattutto perché è cambiato il clima d'opinione. Il
berlusconismo è fuori moda, inattuale. Come Berlusconi. Verso il quale il grado
di fiducia dei cittadini è basso quanto mai, in passato. Poco sopra il 20%. Come
i consensi verso il Pdl. Il suo partito "personale".
È arduo, d'altronde,
distinguere e dissociare il destino del partito da quello dell'inventore. Lo
testimoniano le difficoltà del Pdl in questa fase congressuale. Lacerato da
tensioni e accuse interne: di corruzione, tessere false, condizionamenti. A Sud
e a Nord. D'altronde: quale identità può assumere un partito identificato "da" e
"in" Berlusconi senza Berlusconi alla testa?
Il mutamento del clima
d'opinione riflette, a sua volta, il mutamento sociale. Berlusconi ha
interpretato e impersonato una fase "affluente" della società italiana. A cui ha
imposto, con l'amplificatore dei media, la propria biografia e la propria
immagine come riferimenti e modelli. Ha, così, accompagnato e segnato una fase,
lunga quasi vent'anni. Ben raffigurata dall'infotainment televisivo. I programmi
che mixano informazione e intrattenimento, nei quali ogni distinzione di ruoli è
saltata. Politici, cuochi, personaggi della fiction, ballerine, calciatori,
veline, criminologi e criminali. Tutti insieme. Appassionatamente. A parlare di
tutto.
Quella stagione è finita. La crisi ha spezzato il legame tra
immagine e realtà. Ha reso l'immagine in-credibile. Il mondo rutilante e
a-morale espresso da Berlusconi è divenuto troppo lontano rispetto al senso
comune. I suoi valori: in contrasto con gli interessi degli elettori.
Soprattutto e tanto più per quelli, fino a ieri, attratti da Berlusconi. In
larga misura appartenenti ai ceti popolari. Si pensi alla crescente impopolarità
dell'evasione fiscale, socialmente tollerata, negli anni scorsi - e giustificata
dallo stesso Berlusconi. Ma guardata - oggi - con ostilità. Perché la crisi ha
trasformato la furbizia in un vizio dannoso: per i conti dello Stato e per i
bilanci delle famiglie.
La crisi ha, inoltre, delegittimato il modello
del politico-senza-qualità. Non migliore di noi ma come noi. Anzi: peggio di
noi. Reclutato per meriti estetici, piuttosto che etici. O per fedeltà al
capo.
Per questo è difficile - a mio avviso improponibile - un ritorno di
Berlusconi. Il quale è, semmai, alla ricerca di uno spazio nel quale
"difendersi". Negli affari ma anche nelle questioni giudiziarie in cui è ancora
coinvolto.
Il Paese, d'altronde, ha voltato pagina. L'esperienza di Monti
- "promossa" da Napolitano - ha rivelato e trainato una domanda di
rappresentanza politica diversa. Non parlo dei contenuti della sua azione di
governo - per alcuni versi discutibili, a mio avviso. Parlo, invece, dello
"stile". Che in quest'epoca, è "sostanza". Monti esprime un nuovo modello: il
Tecnico che fa Politica. E viceversa: il Politico Competente. Che si misura con
i partiti ma non ne fa parte. Ne è fuori e, al contempo, al di sopra. Monti
annuncia e interpreta il post-berlusconismo, che si traduce in una sorta di
"Populismo Aristocratico". Dove il premier si rivolge e risponde agli elettori
direttamente, attraverso i media. In modo sobrio. Mentre i partiti - e i loro
leader - restano sullo sfondo. Defilati. Monti: è un leader di successo, i cui
consensi appaiono in continua crescita. Oggi superano il 60%.
Berlusconi
non tornerà: perché il berlusconismo è finito. Ma anche l'antiberlusconismo lo
è. Il che induce a spostare le nostre preoccupazioni "oltre" Berlusconi.
In questo Paese: dove i partiti - privi di credito - contano molto meno
dei leader. E dove i leader dei partiti dispongono di un livello di fiducia
molto scarso. La questione vera è se sia possibile una democrazia
rappresentativa senza partiti.
Io ne dubito. Anzi: lo escludo. Neppure
se al berlusconismo succedesse il montismo.
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