S’intitola Il pericolo del doppio populismo, ha come tema la crisi della rappresentanza politica, e si preoccupa di mettere il mondo democratico in guardia nei confronti di un “fenomeno molto preoccupante”, “quello dei movimenti sociali dal basso”. È un editoriale di Nadia Urbinati, uscito su “Repubblica” il 3 ottobre 2011.
Esso cristallizza finalmente in modo efficace un’atmosfera ideologica che da parecchio aleggiava nel dibattito politico. Lo si potrebbe considerare un’editoriale-matrice: da esso, per ricombinazione e variazione, si possono trarre buoni editoriali per gli incerti tempi a venire. E, d’altra parte, la matrice è a sua volta sintesi produttiva di qualcosa già presente, che ha avuto modo di sedimentarsi. (Un editoriale-matrice non scandalizza o propone inedite visuali: formalizza un’opinione condivisa.) La tesi è semplice e subito deducibile mettendo assieme titolo e frase d’inizio: “Le prime pagine dei maggiori quotidiani del mondo propongono ripetutamente immagini dell’aria di rivolta che si respira nelle capitali di quasi tutti i Paesi democratici mescolata a quella dei lacrimogeni”. Fino a ieri, ci dice l’autrice, esisteva un solo pericolo per la democrazia: “il populismo di destra”. Noi tutti lo conosciamo bene, è quello che ha avuto un grande successo per quasi un ventennio, con il binomio Berlusconi-Lega, sperimentandone tutte le sfumature. Da oggi, però, c’è una “nuova forma di populismo dal basso e senza leader, che si fa network e fa rimbalzare ai quattro capi del paese e del globo il grido contro la democrazia elettorale”. L’operazione ideologica è compiuta: lineare e grosso modo efficace.
Ciò a cui si assiste, nelle piazze, nelle mobilitazioni spontanee, nei movimenti trasversali ai gruppi e alle categorie sociali, non è la reazione tardiva, ma sana e giusta, di una democrazia malata, corrotta, sull’orlo del tracollo economico e sociale. No, quello che si vede è una minaccia per la democrazia. Le classi dirigenti, e chi parla a loro e in nome loro, hanno sempre brillato nella capacità di delegittimare un’azione di natura politica. Si tratta di un’operazione meramente discorsiva: si prende una certa cosa e la si cambia di nome. Ciò che davvero inquieta sempre e comunque le classi dirigenti, e i loro portavoce, sono i gruppi di persone poco disponibili a farsi dirigere. Oggi sappiamo che le classi dirigenti più che dirigere qualcuno, esortano soprattutto a non fare nulla, come a seguito di un violento incidente. “Non toccate nulla, non spostate nulla. Aspettate sul posto. (Qualcosa succederà.)”
Le classi dirigenti hanno contribuito a sfasciare le istituzioni di quello stato democratico di cui erano responsabili, e adesso predicano clemenza, calma, e silenzioso patimento, a coloro che, in prima persona, ogni giorno soffrono per le conseguenze di questo sfascio. Dal momento, però, che non vi è nessun ragionevole motivo per rimanere inermi e paralizzati in una situazione di grande pericolo, le persone si muovono. E si muovono per prime quelle più esposte, i giovani.
In passato, le operazioni discorsive erano diverse a seconda delle circostanze e più o meno crudeli, ma sempre prendevano un certa cosa e le affibbiavano un nuovo nome. Prendevano una rivolta di disoccupati e la trasformavano in un’azione criminale, in vandalismo. Prendevano una rivolta di persone senza partito e la trasformavano in un gruppo di anarchici. Prendevano un gruppo di anarchici e li trasformavano in fuorilegge. Prendevano dei fuorilegge e li trasformavano in terroristi. Le vie della delegittimazione politica sono infinite.
La delegittimazione sancita dall’editoriale di Nadia Urbinati non è neppure delle più crudeli. Trasforma qualcosa di sano e vitale in qualcosa di malato e pericoloso. Trova modo di creare un parallelo tra cose antitetiche: il populismo della destra, che è una delega ancora più incondizionata e cieca all’uomo forte e falsamente vicino al popolo, e la revoca della delega parlamentare, attraverso una sorta di servizio attivo nei confronti della democrazia.
Certo, questi movimenti scarseggiano di capi che possano essere facilmente cooptati. Certo, si respira un’attitudine libertaria, poco propensa all’indottrinamento gerarchico, caro anche a tanta tradizione leninista. Certo, usano forme di democrazia partecipativa che non piacciano ai sostenitori della democrazia liberale. Stranamente poi, ma questo Nadia Urbinati non lo dice, molti di questi movimenti entrano nel merito delle questioni, portano avanti rivendicazioni precise, vivono una fase di discussione ed elaborazione propriamente politica. Ma l’unico ritornello sui cui potrete contare nell’editoriale-matrice è quello relativo alle nuove tecnologie della comunicazione. Il medium da solo riassume un programma politico, un dibattito, una ricerca collettiva. Non si parla mai dei contenuti politici dei movimenti, ma sempre dei social network utilizzati.
Comunque ora lo sappiamo. Siamo avvisati (studenti, sindacati autonomi, immigrati, precari, no TAV, donne, TQ, ecc.). Il nome che ci daranno è questo: “populisti”. E con questo vorranno dire: “Dietro la vostra urgenza di cambiare, non c’è nulla di nuovo: solo un vecchio rifiuto, sterile e improduttivo”.
Nadia Urbinati, però, a bene guardare, non è riuscita ad approntare fino in fondo un oliato e coerente editoriale-matrice. E questo immagino per sua onestà intellettuale.
Dopo aver, infatti, compiuto la delegittimazione politica dei movimenti, definendoli come pericolosi fenomeni populisti, rimane incagliata, nella seconda parte dell’articolo, ad elencare tutti quei diversi (e ormai noti) fattori che hanno portato a questa crisi della rappresentanza politica. Finisce anche con lo scrivere: “Si assiste così alla trasformazione dei parlamenti in assemblee di oligarchie elette”. E dopo un compendio di tristissime notizie sullo stato dell’odierna democrazia parlamentare, l’autrice conclude così il suo articolo: “È però necessario e urgente che al voto politico sia restituita efficacia, anche per impedire che il populismo anti-partitico resti l’unico movimento rappresentativo dell’opposizione e tuttavia senza un collegamento costruttivo con le istituzioni”.
Purtroppo manca lo spazio per un’ulteriore colonna di 6000 battute, dove magari avrebbero potuto essere delineate le costruttive proposte della Urbinati, per realizzare questa benedetta “Restituzione dell’Efficacia” del voto democratico.
Ma anche l’Urbinati, in perfetto stile classe dirigente inizio XXI secolo, preferisce dire: “Non funziona un tubo, dovrebbe invece funzionare tutto. Ma state tutti tranquilli. Non spostate niente.”
Sinceramente, con tutto il rispetto per la competenza degli editorialisti di “Repubblica”, tra il pericolo del “pensiero-zero” – “Tutto crolla, ma voi state fermi” – e quello dell’opposizione “senza collegamento costruttivo con le istituzioni”, preferisco di gran lunga quest’ultimo. Almeno la gente si muove. E qualcosa d’imprevisto, addirittura di democratico, potrebbe accadere.
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