Le origini
autenticamente democratiche del leader
L’autore
esordisce sostenendo che “l’idea di leader ha fatto la sua comparsa con l’ascesa della
democrazia moderna. Esso si riferiva all’elezione, da parte di un partito
politico, di persone a cui veniva data l’autorità di agire e di parlare a nome
di quest’ultimo e che auspicabilmente fossero capaci di guidare la base
attraverso l’argomentazione razionale” (181).
L’erosione
della leadership e della democrazia in direzione autoritaria
E’ a
partire da un testo della sociologia politica del primo Novecento (Robert Michels, La sociologia del partito politico nella
democrazia moderna) che avrebbe inizio la
progressiva erosione della democrazia e della figura del leader così come si
erano venuti configurando nella versione datane da Rousseau. Un serie di motivi
starebbe alla base di questo processo: l’aumento dei partiti; la loro
dipendenza da interessi concentrati nelle mani di pochi; la riduzione della
pratica democratica al meccanismo del voto; l’allontanamento dalla base; i
tratti autoritari dei leader come hanno mostrato gli esempi del fascismo e del
nazismo. Alcuni di questi meccanismi, scrive Adorno, sono stati descritti da Freud in “Psicologia di massa ed analisi
dell’Io” (1921), specie quelli
dell’identificazione e della introiezione autoritaria (Freud ne parla a
proposito dell’organizzazione dell’esercito e della Chiesa). Il momento
attuale, continua Adorno, dimostra il perdurare di queste tendenze cosicché continuo
è il rischio che “la democrazia allevi dentro di sé forze e movimenti anti-democratici” (182).
Come recuperare
l’autentico senso della democrazia: verso l’illuminismo democratico
Che cosa
non va delle pratiche democratiche attuali? In primo luogo il fatto evidente a
tutti “che la maggioranza delle persone spesso agisce in cieca conformità con
il volere di istituzioni potenti o di figure demagogiche andando contro sia ai
concetti di base della democrazia che ai propri interessi razionali. Applicare
l’idea di democrazia in modo semplicemente formalistico, accettare la volontà della maggioranza di per sé, senza riflettere
sul contenuto delle decisioni
democratiche, può portare ad una completa distorsione
della democrazia stessa ed, in ultima istanza, alla sua fine. Oggi, forse più
che mai, il compito della leadership democratica è rendere i soggetti,
democratici, le persone, coscienti delle proprie necessità e bisogni, di contro
alle ideologie che vengono martellate
nelle loro teste dagli innumerevoli messaggi tesi a favorire interessi
personali. I cittadini devono giungere a comprendere che, se i principi della
democrazia vengono violati, l’esercizio dei loro diritti viene, a rigor di
logica, reso impossibile; essi vengono ridotti, da soggetti capaci di
autodeterminazione, a oggetti di
torbide manovre politiche. In una epoca come la nostra, in cui l’incantesimo di una cultura di massa
in grado di controllare le coscienze è diventato pressoché universale, la
comprensione di un simile postulato assume caratteri quasi utopistici” (183).
Come contrapporsi, allora, a questo incantesimo mistificatorio? Per Adorno
esistono i mezzi per sottrarsi a questa presa incantatoria e mistificante; essi
sono i mezzi che la cultura illuministica, razionale, scientifica e, come tale,
demistificante, ha messo, da tempo, a disposizione di tutti: “Ciò che va perseguito è l’emancipazione delle coscienze, non un
loro ulteriore asservimento. Un leader veramente democratico dovrebbe astenersi
da ogni calcolo di tipo psico-tecnico,
da ogni tentativo di influenzare le masse o gruppi di persone facendo
riferimento sull’irrazionalità. In nessuna circostanza i soggetti dell’azione politica
e sociale vanno trattati come oggetti a
cui vendere idee (…) gli esseri umani non sono semplice materia grezza da
plasmare a piacimento” (184).
Dalla
propaganda alla pratica della verità
Un errore
che l’illuminismo democratico dovrebbe evitare è quello di imitare, copiare le
pratiche propagandistiche così diffuse anche nel modo di fare politica. Adorno
ricorda l’esempio di una organizzazione politica tedesca, la Reichsbanner Schwarz-Rot-Gold che, nel
tentativo di contrastare il nascente movimento nazista, finì per copiarne, ma
in modo ridicolo e fallimentare, le simbologie e le tecniche propagandistiche.
Una autentica leadership democratica “non dovrebbe mirare ad una migliore e più estesa
propaganda, ma sforzarsi di superare lo spirito stesso della propaganda
attraverso una stretta adesione al principio della verità. Nella sua lotta
contro Hitler, la leadership degli alleati riconobbe questo principio e
contrastò la propaganda tedesca attraverso la semplice enunciazione dei fatti” (185).
Certo l’obiettivo
non è semplice. Adorno ricorda i meccanismi di cui si serve la propaganda e su quali leve psicologiche
essa poggi: la propaganda “si pone al livello dei più stupidi, non è razionale e fa
presa sulle emozioni”. Questa formula ha
funzionato sia nei regimi totalitari che in quelli “commerciali” il cui esempio
più evidente è rappresentato dagli USA: “Anche qui la propaganda è oggetto di
forti pulsioni libidiche. In una cultura commerciale in cui la pubblicità è
diventata una istituzione pubblica di dimensioni spaventose, le persone sono
emozionalmente legate non solo ai contenuti che vengono reclamizzati, ma agli
stessi meccanismi propagandistici” (186).
Le masse
possono respingere le strategie propagandistiche
Adorno
ripete spesso, nel saggio, l’idea secondo cui le masse non sono immature o
irrazionali come, invece, molti sostengono. C’è un potenziale, in esse, di
autonomia e spontaneità enorme; inoltre oggi si vive in una epoca in cui il
progresso tecnologico ha reso le persone “razionali, attente, scettiche,
resistenti ad imbonitori di ogni tipo”. Per cui non è il caso di disperare:
esistono forti controtendenze rispetto ai “modelli ideologici che pervadono il
nostro clima culturale” (183).
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