Questa manovra non piace agli italiani, ma la fiducia nel governo - e
soprattutto nel premier - resta ancora alta. È ciò che emerge dai sondaggi
condotti dai principali istituti demoscopici in questa fase. La manovra appare
poco equa, per non dire iniqua, alla maggioranza della
popolazione.
Nell'insieme ma anche nel dettaglio: considerando i singoli
provvedimenti. Soprattutto quelli che riguardano le pensioni, l'aumento dell'Iva
e l'Irpef. Nel complesso: troppe tasse e pochi interventi che favoriscano la
crescita. Le liberalizzazioni, la patrimoniale; anche gli interventi sui costi
della politica e dei politici: rinviati a un secondo momento. Con il dubbio che
il rinvio divenga permanente. Come altre volte - troppe volte - è già successo,
in passato.
Nonostante tutto, però, la fiducia nel "governo dei
tecnici", fra i cittadini, è ancora molto elevata. Intorno al 50%, se si
rilevano solo i giudizi più positivi (come fa l'Ispo di Mannheimer). Superiore
al 60% se si calcolano anche le valutazioni comunque "sufficienti" (secondo le
stime dell'Ipsos di Pagnoncelli). La fiducia "personale" nei confronti del
presidente del Consiglio, peraltro, risulta ancora superiore, di quasi 10 punti
percentuali. Certo: rispetto ai giorni della fiducia al governo l'indice di
soddisfazione è sceso. Ma il sentimento sociale, allora, era condizionato dal
timore - per certi versi, dal panico - suscitato dai mercati. Dall'impotenza
dimostrata dal governo Berlusconi, che ne avevano accentuato ulteriormente
l'impopolarità. Ora le paure persistono. E, in aggiunta, è stata varata una
manovra "costosa", sul piano sociale. Discutibile e discussa. Accolta dalle
proteste del sindacato. Dall'opposizione della Lega e dell'Idv. Sostenuta dal Pd
e ancor più dal Pdl con molte riserve. Senza che la credibilità del governo e di
Monti sia stata compromessa. Anzi.
Provo a indicare alcuni motivi di
questo contrasto.
1. C'è, anzitutto, la percezione del "male
necessario". La manovra non piace, ma i mercati - meglio: i Mercati - e i
governi europei più influenti (Bce compresa) la chiedono. Anzi, la esigono. Va
inghiottita come una medicina amara. Poi, prevale fra i cittadini il sentimento
del "sacrificio finalizzato". Come negli anni Novanta, quando gli italiani
pagarono, senza lamentarsi troppo, finanziarie onerosissime. Per non essere
esclusi dalla Ue. Per entrare nell'Unione monetaria. Amato e Ciampi,
"responsabili" di quelle manovre, non vennero sfiduciati dai cittadini. Perché
erano ritenuti "credibili". Come Monti e i suoi "tecnici", oggi.
2. È
questo il secondo motivo. La "credibilità" riconosciuta a persone ritenute in
grado di mettere gli interessi del Paese davanti ai propri e a quelli di
partito. In grado, anche per questo, di riqualificare l'immagine dell'Italia - e
degli italiani - in Europa (e non solo). Deteriorata fino alla caricatura
dall'esperienza precedente.
3. La "credibilità" dei tecnici al governo è
enfatizzata dal confronto con i soliti noti. Quelli che governavano prima.
Quelli che stanno in Parlamento. I "politici". Mai tanto impopolari come oggi.
Il clima antipolitico che pervade il nostro tempo ha agito, cioè, da fattore
favorevole per il governo Monti. Gli stessi limiti delle scelte effettuate da
questo governo, le marce indietro, i compromessi: vengono imputati ai
"politici". Ai partiti e alle lobbies, che legano le mani ai professori. Le
resistenze del Parlamento nei confronti del taglio dei vitalizi sono
interpretate come un'ulteriore conferma del paradigma antipolitico. Hanno fatto
della "casta" il capro espiatorio ideale della frustrazione sociale. Così,
mentre la fiducia nel governo resta molto alta, la credibilità dei partiti è
scesa ulteriormente. Ai minimi storici. Le stime elettorali, non a caso,
premiano ancora il Pd, ritenuto il partito più "coerente" con l'esperienza del
governo. Ma registrano anche la tenuta della Lega e dell'Idv: collettori del
malumore sociale. A cui sarebbe difficile, però, affidare la missione
"costruttiva" di guidare il Paese.
4. Il dibattito parlamentare sulla
manovra ha allargato il contrasto fra tecnici e politici, agli occhi dei
cittadini. L'immagine del ministro Giarda che legge la dichiarazione del
governo, basito e attonito, di fronte a un Parlamento ridotto a una bolgia dalla
plateale protesta leghista, è emblematica. Come la replica, pedante e
puntigliosa, di Monti. Indisponibile a sentirsi definire "disperato". E
impotente, come chi lo ha preceduto. Questione di stile. Ma anche di sostanza.
In tempi dominati dalla "politica pop", dove per anni - e da anni - i politici
hanno inseguito gli umori sociali, riproducendone vizi e debolezze, in modo
iperbolico. Il governo "tecnico" appare, invece, un'icona della "normalità".
Dove governano persone grigie (anche quando vanno in tivù). Ma competenti. Più
di noi. (Altrimenti perché ci dovrebbero governare?).
Da ciò il paradosso
di un governo che, per ora, non paga il prezzo "politico" delle sue scelte
"politiche". Perché non sono considerate "politiche". Ma "tecniche". E dunque:
ineluttabili. Semmai, condizionate dai "politici". Un governo "premiato" dalla
differenza rispetto agli uomini politici e di governo del passato recente.
Reclutati in base alla fedeltà. Titolari, agli occhi dei cittadini, di privilegi
immeritati. (Se non sono migliori di noi, perché mai dovrebbero godere di
trattamenti particolari?)
Naturalmente, questo "stato di emergenza" non
può durare all'infinito. Questo governo, composto da tecnici, non potrà
"scaricare" a lungo sul Parlamento e sui partiti l'insoddisfazione sociale
sollevata dalle conseguenze della crisi. Né la frustrazione prodotta dalle
politiche economiche e fiscali. Inoltre, difficilmente potrà promuovere
interventi a favore della crescita e delle liberalizzazioni, senza il sostegno
del Parlamento e dei partiti. Particolarmente sensibili agli interessi e alle
pressioni di categorie sociali grandi ma anche piccole. Per la stessa ragione,
gli riuscirà difficile realizzare, se non riforme istituzionali, almeno quella
elettorale. Necessaria per restituire ai cittadini un maggiore controllo sugli
eletti. Questa sorta di "aristocrazia democratica". Non può durare all'infinito.
Ma può servire. Non solo ad affrontare l'emergenza economica. Ma a restituire
fiducia e dignità alle istituzioni. A rivalutare la competenza, i comportamenti,
la credibilità, lo stile come virtù democratiche. E non come meri accessori
"tecnici". Di secondaria importanza per la politica e il governo.
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