domenica 20 maggio 2012

POLITICA E VIOLENZA. RASTIER F., Neologismi e neonazismo. Note sulla diagnosi di A. Breivik, ALFABETA, 18, aprile 2012


Nel loro referto datato 29 novembre 2011 gli psichiatri Synne Sørheim et Torgeir Husby hanno dichiarato l'omicida di massa neonazista Anders Breivik non responsabile dei suoi atti, diagnosticandogli una schizofrenia paranoide.



I due psichiatri hanno colto, in particolare, il ricorso frequente ai neologismi di Breivik come indice della sua schizofrenia. Ora, i neologismi sono del tutto usuali nel linguaggio dell'estrema destra, e ciò per diverse ragioni rilevanti. Innanzitutto, essi dipendono dallo stile panflettistico che specifica e concretizza linguisticamente la violenza dell'estrema destra. In secondo luogo, i neologismi sembrano rompere le convenzioni, ossia quelle "buone maniere" linguistiche che, depositate nei vocaboli attestati, si propongono come espressioni della doxa, dell'opinione corrente; tale rottura appare allora come la piena realizzazione di un radicalismo "rivoluzionario". In terzo luogo, attraverso dei composti, i neologismi esemplificano spesso degli ibridi, di per se stessi ripugnanti, che il discorso intende denunciare. Si pensi ad esempio all'uso che si è fatto in Francia, da parte dei seguaci di Le Pen, del termine federasta, parola-valigia che sembra unire "l'abominio politico" del federalista con le tendenze "contronatura" del pederasta.
I neologismi, infine, creano un effetto di connivenza che, al di là del settarismo, si estendono al populismo.

Ciononostante, ben si può comprendere perché il manuale diagnostico dell'Organizzazione mondiale della Salute (ICD-10 http://www.who.int/classifications/icd/en/) consideri l'invenzione di neologismi come un sintomo di schizofrenia. Lo schizofrenico può infatti manifestare la sua alienazione letteralmente, ossia attraverso degli usi linguistici idiosincratici (si veda a tal proposito il celebre volume Le schizo et le langues dell'ex schizofrenico Louis Wolfson, libro uscito nel 1970 con prefazione di Gilles Deleuze).
Gli psichiatri che hanno esaminato Breivik hanno certo applicato le indicazioni del loro manuale, citato decine di volte; tuttavia, hanno scambiato dei neologismi idiosincratici con dei perfetti calchi di locuzioni inglesi, di cui nemmeno un elemento interno era originariamente neologistico. Per esempio, in national darwinist, national non è naturalmente un neologismo così come non lo è darwinist; mentre, certamente, il calco nasjonaldarwinist appare come un'espressione inedita in norvegese. Il suo impiego da parte di Breivik non è però un indice d'alienazione, ma al contrario una rivendicazione d'integrazione alla comunità "neonazi" internazionale, in cui l'espressione national darwinist è guarda caso del tutto corrente. Essa ha avuto un'apprezzabile diffusione anche all'esterno e la si trova attestata per esempio nel New York Times (come ci ha recentemente ricordato il giornalista norvegese Anders Giæver sul quotidiano Verdens Gang).
In definitiva, il calco in norvegese di parole e locuzioni inglesi (ad es. nasjonaldarwinist) non appare affatto come un'invenzione idiosincratica che manifesta un tipo d'alienazione. Del resto, quelli che sono apparsi come neologismi di Breivik, almeno durante le sedute periziali tenute in norvegese dagli psichiatri Sørheim et Husby, non erano con evidenza tali se vengono confrontati con le millecinquecento pagine del manifesto in inglese dell'assassino neonazista.
Del resto, l'inglese è a tal punto la lingua del suo attivismo militante che costui firma il suo manifesto anglicizzando il suo nome (Andrew Berwick), indicando con ciò la sua appartenenza a un movimentismo internazionale. Difatti, Breivik si è "formato" al neonazismo durante il suo soggiorno pluriennale in Inghilterra.

Non si può che dar ragione a Breivik quando, alla pubblicazione della diagnosi, ha avuto modo di commentare stizzito che gli psichiatri non capiscono nulla di ideologie. Tutto sommato, questi potrebbero profittare non poco dalla conoscenza di qualche nozione di linguistica prima di utilizzare dei criteri linguistici per le perizie psichiatriche.

Stando al referto diagnostico Breivik non sarebbe responsabile dei suoi atti, sottraendolo così alla giustizia. Ma davvero avrebbe ucciso settantasette persone in un accesso di delirio? A ben vedere, nei suoi scritti pubblicati e nella preparazione minuziosa dei suoi attentati, come nel sostegno che ha ricevuto da certa opinione pubblica radicale (ivi compreso in Francia e in Italia), sembra trovare piena conferma l'appartenenza a un movimentismo internazionale che si arma e si prepara a una guerra "santa" contro gli Arabi (molte delle sue vittime erano d'altronde dei giovani provenienti dal mondo dell'immigrazione).

La diagnosi occulta questa dimensione politica e organizzativa. Cercando delle "ragioni" individuali, essa non può discernere le implicazioni collettive e internazionali. Questo è perlomeno l'effetto di tale diagnosi, benché si possa ragionevolmente pensare non fosse il suo obiettivo.

Non bastasse, gli psichiatri fondano la loro diagnosi sulle "idee bizzarre" di Breivik. Questi convincimenti eccentrici concernono in primo luogo l'idea di contagio, ma non si può certo ignorare che gli argomenti epidemiologici sono uno dei temi più frequentati dal razzismo biologico nazista. Tutti gli scritti di questo movimentismo descrivono l'immigrazione come un'epidemia pericolosa che mette in pericolo la purezza e l'identità stessa del popolo e della razza.
In secondo luogo, le presunte idee bizzarre di Breivik si esplicitano nella convinzione che la Norvegia sia vittima di una "pulizia etnica". Ma anche in questo caso ci si ritrova di fronte a un tema abituale delle organizzazioni neonaziste. In questa guerra civile, foss'anche a uno stadio ancora larvale (lavintensiv borgerkrieg), l'assassinio di massa diviene niente meno che un atto di lotta legittima per la sopravvivenza.
Gli psichiatri sembrano poco avvezzi di storia contemporanea; quando Breivik, per ristabilire la purezza razziale, evoca delle "fabbriche per nascite" (massefabrikker for fødsler), non si tratta di un fantasma personale, dal momento che egli non fa che riprendere il progetto Lebensborn (letteralmente "sorgente di vita", un neologismo all'epoca), un progetto di Himmler che appartiene al nostro tragico passato. Forse nessuno dovrebbe ignorare che in questi luoghi di "monta umana" i neonazisti accoppiavano delle SS selezionate con delle grandi giovani bionde dagli occhi azzurri, catturare proprio in Scandinavia, al fine di migliorare la razza germanica minacciata. Una decina di questi centri furono aperti non a caso in Norvegia. Così, l'eugenetica negativa (sterminio degli allogeni minaccianti) si trova completata per l'eugenetica positiva delle "fabbriche per nascite".

Tra i concetti "inabituali" rilevati dagli psichiatri si trova anche "l'amore per il popolo" e per il "sovrano"; ora, nella politica totalitaria, l'unità biologica tra il popolo e il Sovrano (duce o Führer) trova persino riflesso in una fusione emozionale reciproca (si pensi ad esempio a quanto troviamo scritto in Stato, movimento, popolo di Carl Schmitt, articolo già tradotto in Italia nel lontano 1935 in Principi politici del nazionalsocialismo).

Gli psichiatri si sorprendono inoltre che Breivik impieghi tanto la prima persona singolare (io) quanto la prima persona plurale (noi), vedendo in ciò una progressiva depersonalizzazione e un indebolimento dell'identità. Per contro, in questo discorso militante, il noi afferma un'identità collettiva, quella della Gemeinschaft, in nome della quale l'individuo, parte di un'élite, può combattere per salvare l'intera comunità cui appartiene. È ciò che già si poteva leggere in Mein Kampf.

Infine, gli esperti sottolineano che Breivik impiega molte cifre lungo un discorso tecnico, senza emozioni. Dato che la loro analisi resta pubblicata solo in parte, sarebbe tendenzioso vedervi un'autodescrizione del loro stesso discorso.
Ricordiamo tuttavia che i carnefici, ieri come oggi, sono sempre risultati sorprendenti ai più per la loro assenza di emozioni (dai nazisti Höss a Stangl, fino ai khmer rossi Kang Kek Iew, detto Duch e Noun Chea, braccio destro di Pol Pot). Per di più, il nazismo brillava proprio per la meticolosità del suo discorso tecnico (si pensi a Eugen Fischer e all'Istituto d'igiene razziale). La tecnica è semplicemente evoluta e Breivik può così reclamare la generalizzazione dei test sul DNA per determinare obiettivamente il diritto alla vita.

La separazione di elementi concordanti, così come l'ignoranza deliberata della storia e dell'ideologia a cui Breivik si reclama, rendono effettivamente il suo discorso incoerente; ma ritrova tutto il suo significato politico e organizzativo non appena si riconducano tali "elementi diagnostici" al loro contesto e al loro corpus d'interpretazione.

Come curare dunque un tale "paziente"? Gli psichiatri consigliano, tra i diversi suggerimenti proposti, dei trattamenti medici per sviluppare l'attività dopaminergica, riconosciuta come capace di stimolare il "circuito della ricompensa", in breve per aiutare a vedere tutto rosa e fiori.

Il 22 dicembre 2012, la commissione di esperti presieduta da Karl Heinrik Melle non ha mosso "alcuna obiezione rilevante" rispetto alla perizia presentata dagli psichiatri e con ciò l'ha validata. Se, alla conclusione del processo che si aprirà il 16 aprile 2012 il tribunale seguirà gli psichiatri nel dichiarare Breivik non responsabile dei suoi atti e sottoponibile solo all'internamento psichiatrico, il suo dossier medico sarà riesaminato ogni anno. Così, Breivik verrà liberato non appena sarà dichiarato guarito (ciò in funzione degli stessi criteri che hanno permesso di dichiararlo malato). Per l'assassino di settantasette persone sarà sufficiente esibire un linguaggio alla portata degli esperti, in mondo tale che questi non possano rinvenirvi nulla di bizzarro.

Oggigiorno il discorso degli esperiti si dispiega attorno a noi, in tutti i domini della vita sociale, a cominciare dall'economia: esso moltiplica le cifre, elabora degli indici, applica delle griglie di interpretazione sottratte ad ogni dibattito. Quando addirittura non maschera la verità rendendola illeggibile, la competenza così esibita sembra comunque partecipare di una deresponsabilizzazione generale, o meglio serve a giustificare provvidenzialmente l'irresponsabilità.

(trad. Pierluigi Basso Fossali)

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