In questi mesi critici per l’Europa e per l’Italia, in cui una classe politica assoggettata agli interessi dei grandi gruppi finanziari non riesce a ritrovare consenso e credibilità politica, la parola più gettonata è populismo (se la batte con antipolitica, in realtà. Ma qui diamo per buona, consapevolmente sbagliando, l’ambiguità che vi è nel comune utilizzo di queste parole, spesso usate come sinonimi).
Sono state soprattutto le tornate elettorali di questa primavera ad aver svelato un’ondata populista farsi largo in Italia e in Europa. In Francia il Front National di Marine Le Pen arriva al 17,9% (superando il risultato – già storico – del padre Jean-Marie, che nel 2002 arrivò al ballottaggio con Chirac con il 16%). In Grecia, il partito di estrema destra Alba D’Oro raggiunge il 7%. In Italia, in elezioni amministrative, il Movimento 5 Stelle (M5s) arriva ad essere il secondo partito più votato a Genova e Parma. Risultati che sono accompagnati dall’aumento dell’astensionismo e da un tendenziale crollo delle formazioni politiche al governo negli ultimi anni (facciamo decenni, in alcuni casi).
Molti politici e commentatori, sollecitati nel fornire un’analisi di questi risultati, rispondono bollando il fenomeno come “antipolitica” e “populismo”. Abusando di questi termini, contribuiscono però alla confusione rispetto a cosa effettivamente significhino, quale sia il contenuto di queste parole, e cosa o chi possa essere considerato come “populista”.
Se tutto ciò che si discosta dal proprio modo di vedere e pensare è liquidato come populista e antipolitico, la semantica di questa parola si allarga a tal punto da farla divenire onnicomprensiva, e quindi inutile. Un goffo tentativo di “guerriglia comunicativa” da parte della classe politica soprattutto italiana, illusa di annacquare i risultati politici del M5S con una denigrazione discorsiva del termine con cui è definito. Strategia peraltro fallimentare, visti gli esiti. Considerare come populismo qualunque alternativa al pensiero unico neoliberista (nelle sue diverse sfumature aggressivo o liberal) è un esorcismo al contrario.
Il populismo tende a semplificare lo spazio politico, a ridurre la complessità delle differenze e degli orientamenti in una secca dicotomia, in cui si contrappone da un lato l’avversario politico che si trasforma in nemico, e dall’altro l’attore sociale che si fa unico portavoce delle istanze del popolo. Quest’ultimo, peraltro, è ridotto nel pensiero populista a unica massa granitica ed univoca, con desideri e richieste uniformi. E’ un popolo di cui si conoscono e si interpretano il pensiero e le passioni, cui nulla può essere contrapposto. L’odioso mantra “i politici sono tutti uguali” di Grillo e il M5S è espressione concreta di questa polarizzazione e banalizzazione della politica.
Il populismo è anche il frutto, secondo molti tra cui il sociologo tedesco Ulrich Beck, dell’incapacità delle elités politiche e dominanti di fornire risposte adeguate all’avanzare dei fenomeni globali. Di fatto, concentrandosi a parlare di populismo solamente denunciandone le pratiche piuttosto che a cercare di comprendere le domande da cui scaturisce e a cui la politica non riesce più a rispondere con la sua azione. E, soprattutto, considerare il voto espresso per questo tipo di formazioni sempre e comunque come voto di protesta estemporaneo (Il Front National – tanto per fare un esempio – viaggia su due cifre dal 1984, a parte brevi parentesi) non aiuta ad affrontare con maturità politica le istanze – spesso giuste come l’attenzione all’ecologia e alle rinnovabili, spesso sballate, come l’uscita dall’Euro – sollevate da questi fenomeni.
D’altro canto, le politiche dei governi europei, proni alle direttive della BCE e alla linea imposta dal governo tedesco, non sembrano sottrarsi ad un approccio che – di fatto – nega anch’esso il confronto politico. Al M5s si risponde con un secco “Non ci sono Alternative” (TINA – There Is No Alternatives) di thatcheriana memoria, senza interrogarsi sulle forme e sullo stato della democrazia oggi, in cui effettivamente al popolo non è riconosciuta una vera rappresentanza e la possibilità di riconoscersi nella politica e nelle istituzioni.
Ernesto Laclau, filosofo argentino che ha recentemente scritto un interessante libro su questo tema (La ragione Populista), sostiene a riguardo una tesi che trovo avvincente: fa coincidere il populismo con la forma stessa della politica. Prendendo spunto dalle sue posizioni (complesse, che non è possibile riportare in questo post già troppo lungo) a questo punto c’è da chiedersi: chi è il populista?
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