Non facciamo che parlare di Matteo Renzi, e specialmente quelli che non lo amano.
Lo chiamano l’Arrogantino, dicono “ah, quando scopriranno che è Berlusconi in sedicesimo io mi godrò lo spettacolo” e ora questa fazione si contrappone all’eterno partito del “lasciamolo lavorare!”, quelli del “ma l’avete visto quanto è bravo”. La corrente del rancore, sebben minoritaria, invece vibra di rumorosa indignazione, dorme con un occhio solo, e quando Renzi ha detto quella cattiveria – “Fassina chi” – s’è slanciata in un moto di soddisfazione così profondo come di chi si stiracchia dopo una bella dormita: “Ecco, che v’avevo detto?” Il partito del rancore si crogiola nella sconfitta, non abbandonarmi sofferenza, “ah quanto mi manca Berlinguer! “qua ci vorrebbe un discorso di D’Alema”, e ripete a se stessa “a febbraio in fondo abbiamo vinto”. Renzi ha una visione - piaccia o meno i renziani rappresentano un ceto nuovo – anche se si comporta come quando spuntava all’oratorio con il pallone, “o gioco io o non gioca nessuno”, con la scusa dei tre milioni di voti tratta tutti come scolaretti, è segretario-premier-sindaco-presidente della Fiorentina, dice “ a fine gennaio avremo la legge elettorale”, “otto mesi per il Job Act” e subito dopo aggiunge soave “e io posso aspettare anche fino al 2018 per fare il premier”. Ed è proprio questo vento, questa ribalderia, che piace agli italiani del “lasciamolo lavorare”, l’italiano del merito (sempre a parole), l’italiano dinamico. Come finirà? Renzi o non Renzi ho davanti agli occhi la bella signora intervistata da Ballarò che mentre andava a Cortina diceva di non avere fiducia in nessun politico, e si vantava platealmente di fare del nero, “ma per sopravvivere eh”. Continuo a pensarci, e mi assale un pessimismo senza rimedio.
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