Le polveri ultrafini peggiorano ulteriormente la salute della pianura padana. A rivelarlo i risultati del progetto Upupa (Ultrafine Particles in Urban Piacenza Area) del Laboratorio Energia e ambiente Piacenza (Leap) - centro di ricerche del Politecnico di Milano - presentati il 22 gennaio e incentrati sul particolato delle polveri sottili. Tre anni di ricerca, sostenuti dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, per dimostrare la minaccia rappresentata da quelle componenti ultrafini (migliaia di nanoparticelle come, per esempio, solfato e nitrato di ammonio e tracce di metalli presenti nella massa delle polveri) che non solo attualmente non trovano posto in nessuna normativa, ma che proprio per la loro ridottissima dimensione (inferiore di cento volte a una particella di Pm10) sono estremamente pericolose per la salute umana. Peggiorando un quadro già di suo non certo piacevole.
Le polveri ultrasottili soffocano la pianura padana
PERICOLO IN PIANURA PADANA - Era già caos, infatti, quando le polveri sottili e sottilissime (le note Pm10 e Pm2,5 per cui si fanno i blocchi del traffico e le domeniche a piedi) incoronavano il bacino padano, secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia comunitaria, come la zona più inquinata d’Europa. Con una presenza di polveri sottili così fuori controllo che, lo scorso dicembre, è riuscita a fare da volano a un inedito accordo tra governo, regioni e provincie autonome del bacino padano per riuscire a contrastarne, su vasta scala, la presenza nell’aria. Partendo dalla «sfortuna climatica» del territorio padano per arrivare anche a nuovi decreti. Ma anche al monitoraggio e azioni condivise tra Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano con i ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico, dei Trasporti, delle Politiche agricole e della Salute. Come, per esempio, la certificazione dei piccoli impianti domestici alimentati a biomassa legnosa. Oppure la revisione dei limiti di velocità sulle autostrade e le grande arterie che attraversano la pianura padana. E per cui i primi gruppi tecnici di lavoro dovrebbero partire proprio da gennaio per riuscire a formulare proposte operative entro la metà del 2014.
LA RICERCA - Una situazione già delicata a cui ora si aggiungono i risultati sulle polveri ultrafini, portati oggi alla luce dai ricercatori del Leap, resi possibili dopo una lunga campagna di campionamento dell’aria. Condotta non solo con le postazioni fisse in diverse luoghi di città e provincia, ma abbinata anche a rilevamenti in movimento - effettuati con sofisticati macchinari che i ricercatori portavano in uno zainetto - fatti lungo i percorsi cittadini. Confrontando l’esposizione umana alle polveri ultrafini, a seconda del mezzo di trasporto (piedi, bici, autobus e macchina) utilizzato. Dati che ora, nel clima già di ripensamento urbano del territorio, potrebbero rivelarsi una valida chiave di partenza.
POLVERI ULTRAFINI - «Grazie alle nanotecnologia», spiega Michele Giugliano, direttore delle ricerche e docente d’inquinamento atmosferico del Politecnico di Milano, «ora abbiamo a disposizione dei dati anche sulle componenti nanoparticellari delle polveri e sulla loro concentrazione nei vari ambienti». Quantità, infatti, che cambia parecchio non solo a seconda del contesto, ma anche da una stagione all’altra. Come, per esempio, in inverno. «Si tratta», prosegue Giugliano, «della stagione peggiore, non solo per il traffico, le emissioni industriali e l’inquinamento ulteriore prodotto dai sistemi di riscaldamento, ma anche perché le polveri ultrafini non sono immesse da nessuna fonte esterna ma si trasformano nell’atmosfera. Ad esempio, con la condensa» . Tutte condizioni che creano un ambiente perfetto per il moltiplicarsi delle polveri ultrafini. Per cui, visto la dimensione, si fa più evidente la loro connessione con le patologie polmonari e cardiovascolari. «Queste particelle piccolissime», osserva il professore, «potrebbero, ad esempio, riuscire a bypassare anche il sistema di protezione degli alveoli, avendo più possibilità di penetrare rispetto a quelle sottili».
AZIONI MIRATE - Un problema per cui, osserva il ricercatore, andrebbero pensate azioni a 360 gradi. «È praticamente inutile», afferma Giugliano, «prendere misure su aree ridotte a tempo limitato». Ossia non basta non usare l’auto una domenica per vedere un risultato o per sperare di cambiare le cose. «Per quello», conclude il professore, «serve davvero un impegno nazionale e lo stanziamento di importanti fondi per ripensare, in una zona così climaticamente svantaggiata, ai mezzi di trasporto, alle emissioni industriali e al sistema di teleriscaldamento».
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