domenica 3 febbraio 2019

POLITICA E SCIENZE STATISTICHE. V. MALAGUTTI, Chi è Gian Carlo Blangiardo, l'ultrà leghista che Salvini vuole al vertice dell'Istat, L'ESPRESSO, 3 dicembre 2018

Quando la Lega chiama, Gian Carlo Blangiardo risponde. L’ultima volta è successo tre settimane fa, l’11 novembre, per un dibattito sull’immigrazione promosso dalla scuola di politica del partito di Matteo Salvini. Quella domenica mattina, il vicepremier ha improvvisato un piccolo comizio per scaldare i cuori di studenti e militanti. Subito dopo è toccato a Blangiardo, professore di demografia all’università Bicocca di Milano, ospite d’onore sul carro sovranista lanciato alla conquista delle poltrone di vertice dello Stato. Un carro affollato. Tra i passeggeri ricordiamo il neo presidente della Rai, Marcello Foa, e Giuseppe Valditara, l’ex senatore di An, ora leghista tutto d’un pezzo, sbarcato al ministero dell’Istruzione come capo dipartimento per l’università e la ricerca.



Per Blangiardo, 70 anni da compiere tra pochi giorni, è pronto il posto di presidente dell’Istat, l’ente pubblico chiamato a elaborare i dati che raccontano il nostro Paese, a disegnare, con rigore scientifico, le previsioni sul futuro prossimo dell’economia nazionale. Non era mai successo che il prestigioso incarico pubblico andasse a un docente universitario specializzato in demografia. In passato, la poltrona di presidente era stata assegnata a studiosi di statistica applicata soprattutto ai temi economici.

Blangiardo non può neppure vantare quell’esperienza internazionale che pure, a norma di legge, è richiesta a chi dirige l’Istat. Nel suo curriculum consultabile in rete, l’unico incarico fuori dai confini nazionali è la partecipazione al “Gruppo di esperti in questioni demografiche” della Commissione europea di Bruxelles. Il documento segnala anche la cattedra di “Metodologia della ricerca empirica su popolazione e famiglia” alla Pontificia università lateranense, ma in verità sembra difficile catalogare quest’ultima docenza in un’istituzione vaticana alla voce “esperienza internazionale”.

Infine, anche l’anagrafe gioca a sfavore del candidato scelto dall’esecutivo gialloverde. Con i suoi 70 anni, il cattedratico milanese è prossimo alla pensione da professore universitario e se davvero riuscirà ad approdare al vertice dell’istituto di statistica sarebbe di gran lunga il presidente più anziano nella storia dell’ente. Dei suoi quattro predecessori, Alberto Zuliani, Luigi Biggeri, Enrico Giovannini e Giorgio Alleva, il solo Biggeri aveva più di 60 anni, per la precisione 62, quando si insediò.

Il demografo preferito da Salvini, che ne rilancia gli interventi sui social, è un accademico vecchio stampo, dal piglio autorevole e la parlantina sciolta, a volte fin troppo. Come quando, a fine luglio, si lasciò sfuggire che la sua nomina era ormai cosa fatta («mi trasferirò presto a Roma», disse). Peccato che il governo dovesse ancora avviare la procedura prevista dalle norme europee per designare il nuovo capo dell’istituto nazionale di statistica.
Questione di tempo. La selezione ha infine dato il risultato atteso. L’8 novembre, su proposta del ministro della Funzione pubblica, Giulia Bongiorno, il Consiglio dei ministri ha proposto il nome di Blangiardo per la presidenza dell’Istat. Nelle speranze dell’esecutivo, l’iter di nomina dovrebbe concludersi entro fine anno con la firma del presidente della Repubblica, preceduta dal via libera (con voto a maggioranza dei due terzi) delle commissioni affari costituzionali di Camera e Senato. L’intera procedura è stata «un’operazione di facciata», ha denunciato nei giorni scorsi il sindacato Flc-Cgil. In effetti, il governo non ha mai reso noto chi fossero gli altri pretendenti alla prestigiosa poltrona e neppure i criteri con cui si è arrivati a incoronare Blangiardo. L’impressione è che l’esecutivo puntasse fin dall’inizio su Blangiardo e che sia stato costretto a una frettolosa retromarcia per mettersi in regola con le norme europee.

Al momento, quindi, l’accademico milanese sponsorizzato da Salvini resta il candidato unico alla presidenza dell’Istat, incarico vacante da quando, a metà luglio, è scaduto il mandato quadriennale di Giorgio Alleva, nominato ai tempi del governo di Matteo Renzi. Anche allora ci furono polemiche. In una lettera aperta, un gruppo nutrito di economisti, tra cui Tito Boeri e Luigi Zingales, prese posizione contro la nomina di Alleva, definito «non all’altezza, in termini di pubblicazioni scientifiche».

Adesso invece sono gli stretti rapporti tra Blangiardo e un partito, nel caso specifico la Lega, a creare imbarazzi e perplessità nella comunità scientifica.

Nessuno si illude che l’Istat possa rimanere un’isola lontana dalla politica. A questo proposito basta citare i casi di Enrico Giovannini e Pier Carlo Padoan. Il primo diventò ministro del Lavoro nel governo di Enrico Letta dopo quattro anni al vertice dell’Istat. Padoan invece, designato da Letta per sostituire Giovannini, non fece in tempo a insediarsi perché venne chiamato al ministero dell’Economia da Renzi, nel frattempo diventato presidente del Consiglio. Questa volta, però, la vicinanza di Blangiardo a un leader di partito come Salvini (mai smentita dai diretti interessati) è diventata di dominio pubblico ancora prima della candidatura del demografo targato Lega alla poltrona di comando di un istituto come l’Istat che, almeno sulla carta, dovrebbe operare in totale autonomia.

Viene il sospetto, a questo punto, che le parole pronunciate qualche mese fa dal viceministro dell’Economia, Laura Castelli, fossero qualcosa di diverso da un’ ingenua gaffe, una tra le tante, peraltro, dell’esponente di governo. Il 25 giugno, reduce da un incontro con l’allora presidente Alleva, la giovane Cinque Stelle parlò dell’Istat e della «sinergia necessaria da mettere in atto con la politica per il raggiungimento degli obiettivi del contratto di Governo». Travolta dalle critiche, Castelli si affrettò a precisare che il termine sinergia era in realtà da interpretare come «rapporto trasparente di collaborazione».

Incidente chiuso, dunque. Se non fosse che la lunga frequentazione di Blangiardo con il mondo leghista finisce per alimentare nuovi sospetti. Già a ottobre del 2015 il professore dell’università Bicocca fu uno dei protagonisti del convegno “Nutrire la famiglia per nutrire il futuro”, una sorta di grande adunata del movimento cosiddetto anti-gender organizzata dalla regione Lombardia del governatore Roberto Maroni.

Risale invece a luglio dell’anno scorso la conferenza programmatica della Lega convocata da Salvini per individuare i temi forti del programma del partito in vista delle elezioni politiche. «Facciamo squadra», questo il titolo della convention. Blangiardo era sul palco, chiamato a illustrare il tema che gli è più caro: il calo delle nascite che mette in pericolo la stabilità e la crescita economica del Paese. Come invertire la rotta? «Gli immigrati non sono la soluzione», ripete da anni il candidato al vertice dell’Istat. Il suo bersaglio polemico sono innanzitutto gli studiosi che vedono nell’afflusso degli stranieri, e dei relativi contributi pensionistici, il modo migliore per garantire la sopravvivenza del nostro sistema previdenziale, a rischio crack per l’aumento esponenziale del numero degli anziani in rapporto ai giovani. Secondo Blangiardo, invece, per scampare al disastro «bisogna rimettere al centro la famiglia». In altri termini «rilanciare la natalità», con una serie di norme che aiutino le coppie con figli.

E i migranti? Il fenomeno va governato, sostiene il professore, all’occorrenza anche usando le maniere forti. E cioè espulsioni e porte chiuse. «Qui non ci stanno, è un fatto», dichiarò al quotidiano “La Stampa” in un’intervista del luglio scorso. L’anno scorso, intervenendo alla convention leghista “Facciamo squadra”, il demografo dell’università Bicocca segnalava l’esigenza di passare «dalla fase dell’accoglienza solidale alla valorizzazione di un’immigrazione socialmente inserita e sostenibile». Belle parole. Nel frattempo però i barconi provenienti dall’Africa vanno tenuti ben lontani dalle nostre coste. E anche il cosiddetto business dell’accoglienza deve essere strettamente controllato, perché i fondi pubblici destinati alle Ong non fanno altro che alimentare una vera e propria «lobby del soccorso», come si legge in un libro del 2017 firmato da Blangiardo insieme al sovranista Valditara e a Gianandrea Gaiani, esperto di difesa e sicurezza vicino alle posizioni della Lega. L’anno prima gli stessi tre autori avevano dato alle stampe un altro volume che va per la maggiore tra i militanti leghisti. Il titolo: “Immigrazione, tutto quello che dovremmo sapere”.

Strada facendo, le uscite pubbliche del candidato governativo alla presidenza dell’Istat hanno finito per allinearsi ai toni e agli argomenti della campagna leghista contro le Ong. L’analista che con toni moderati discettava di immigrazione “sostenibile” ora se la prende con le organizzazioni umanitarie.

Chissà che cosa ne pensano in Vaticano, dove il cattolico Blangiardo, già consulente della Commissione episcopale italiana, ha sempre vantato ottime entrature. Non per niente il demografo dell’università Bicocca si batte da tempo contro la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. A tal punto che cinque anni fa, in un articolo del quotidiano Avvenire, ipotizzò l’impossibilità di calcolare la speranza di vita partendo dal concepimento e non dalla nascita. In questo modo anche i feti abortiti sarebbero stati inseriti nelle statistiche sulla popolazione. Vecchi discorsi, questi. Parole del passato.

Adesso Blangiardo non teme di prendere posizioni opposte a quelle della Chiesa in materia d’immigrazione e di accoglienza. La nuova dottrina è quella di Salvini, che peraltro non si vergogna di esibire il rosario durante i comizi. E così, nei mesi scorsi, il cattedratico milanese è andato all’attacco anche della legge sullo ius soli, quella proposta dal precedente governo di centrosinistra e mai approvata in Parlamento dopo interminabili dibattiti e false partenze. «Abbiamo tanto sentito parlare dei poveri bambini stranieri che non possono andare in gita scolastica», ha detto Blangiardo con tono canzonatorio l’11 novembre alla scuola di politica della Lega. E invece, sostiene il professore, l’attuale normativa nel solo 2016 ha permesso a oltre 70 mila immigrati minorenni di diventare italiani insieme ai loro genitori. Lo ius soli non serve, quindi. Meglio che tutto resti com’è. Parola di Blangiardo. E anche di Salvini, naturalmente.

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