sabato 3 settembre 2022

ELEZIONI 2022. TERZO POLO E TERZA VIA. L. RICOLFI, Sulla Terza via il Terzo polo sbanda, REPUBBLICA, 26 agosto 2022

 Ci sono parecchie idee interessanti nel programma e negli intenti del cosiddetto Terzo polo di Calenda e Renzi. Personalmente apprezzo la posizione garantista in materia di giustizia, la proposta di elezione diretta del premier, l’attenzione ai problemi della scuola e della sanità, l’impegno a ridurre la pressione fiscale senza pianificare imposte patrimoniali o inasprimenti della tassa di successione. E poi una cosa su tutte: nessuna delle misure proposte è chiaramente insostenibile (anche se, a mio parere, la loro somma lo è). E tuttavia, al di là degli apprezzamenti, mi è difficile non sollevare alcuni interrogativi.



Innanzitutto, quale maggioranza potrebbe realizzare un simile programma? Una “maggioranza Ursula”, possibilmente guidata da Draghi, rispondono Calenda e Renzi. Ma che significa una maggioranza Ursula? Letteralmente significa la maggioranza che ha permesso di eleggere Ursula von der Leyen al vertice della Commissione europea. Dunque: popolari, socialisti, liberali e Cinque Stelle. Tradotto in italiano: Forza Italia, Pd, Terzo Polo, Movimento Cinque Stelle. Ma la chiusura totale verso i Cinque Stelle non era un pilastro irrinunciabile di Calenda? Dobbiamo allora ripiegare verso un’altra interpretazione: “maggioranza Ursula” potrebbe voler dire la medesima maggioranza che ha sostenuto il governo Draghi, depurata dei cattivi Cinque Stelle, che hanno impallinato super-Mario. Dunque: Lega, Forza Italia, Terzo Polo, Pd. In breve: un nuovo governo Draghi, solo spostato più a destra, che lasci fuori i “populisti” Giorgia Meloni
e Giuseppe Conte. Quest’ultima credo sia l’interpretazione più plausibile del concetto di “maggioranza Ursula”. Assumo che sia così, e passo al secondo interrogativo: per fare quale politica? Come è possibile immaginare che Lega e Pd possano — senza paralizzarsi a vicenda — cooperare in un nuovo governo draghiano, con o senza Draghi?


A Renzi e Calenda l’ardua risposta... Ma lasciamo perdere gli interrogativi sulla maggioranza che potrebbe sostenere un nuovo governo Draghi, e veniamo alla sostanza. Complessivamente il programma del Terzo polo sembra ispirato ai principi della “Terza via” di Tony Blair, teorizzata alla fine degli anni ’90 dal sociologo inglese Anthony Giddens. Non è una sorpresa, Renzi non ha mai nascosto di ispirarsi all’esperienza del “New Labour” di Tony Blair, e Tony Blair non ha mai fatto mancare a Renzi il suo sostegno e il suo apprezzamento.
Proprio perché la Terza via è il riferimento ideale del Terzo Polo, stupisce l’assenza di una riflessione critica (e autocritica) su quella esperienza. Tanto più che i limiti teorici di quel tipo di riformismo sono ormai riconosciuti piuttosto ampiamente. Lo stesso Anthony Giddens, ad appena sette anni dall’uscita del suo libro La terza via, ebbe a tracciarne un severo bilancio critico in un’intervista a Repubblica del 2015, un anno dopo l’insediamento del governo Renzi.
Quali sono i limiti della Terza via?

È un discorso doloroso per chi, come me, aveva molto sperato nella nascita di una sinistra liberale, moderna e radicalmente riformista. Ma è un discorso che occorre fare. Ebbene, il succo del discorso è che la Terza via era fondata su una sopravvalutazione delle virtù del mercato, dei benefici della globalizzazione, e del ruolo positivo degli organismi sovranazionali. E, contemporaneamente, su una sottovalutazione delle diseguaglianze nei punti di partenza, dei rischi della divisione internazionale del lavoro, delle tensioni indotte dai processi migratori, del lato burocratico e paralizzante di tante normative europee. Soprattutto, riconosce Giddens, avevamo sottovalutato la velocità del progresso tecnologico e l’impatto che tale velocità avrebbe esercitato sui nostri sistemi sociali. È accaduto così che, accanto ai vincenti della globalizzazione, si formasse una ampia schiera di perdenti, spesso relegati nelle periferie, a contatto diretto con i problemi dell’immigrazione. E, di conseguenza, che in buona parte dell’occidente montasse una domanda di protezione che i governi in carica (per lo più progressisti, nei primi anni del XXI secolo) non erano in grado di cogliere, né tanto meno di soddisfare. Il tutto aggravato dal ciclo di attentati terroristici di matrice islamica del decennio 2004-2014 e, dopo il 2007, dalla crisi finanziaria che per diversi anni avrebbe squassato le nostre economie. È triste riconoscerlo, ma il populismo — in Europa come in America — è anche una reazione ai limiti del mercatismoun’ideologia che dalla metà degli anni ’90 ha accomunato la destra liberista e la sinistra riformista. Ecco perché, prima di riproporre, come se niente fosse, le ricette di fine Novecento, forse urge una riflessione più profonda. E più coraggiosa.

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