sabato 7 dicembre 2013

NUOVI SOCIALISMI. VENEZUELA. G. COLOTTI, Un ministro al servizio della pace, IL MANIFESTO, 6 dicembre 2013

Vene­zuela in fer­mento per le misure con­tro la «guerra eco­no­mica» adot­tate dal pre­si­dente Nico­las Maduro e per le ele­zioni comu­nali di dome­nica, che l’opposizione vuole tra­sfor­mare in un ple­bi­scito con­tro il cha­vi­smo. A Cara­cas, abbiamo incon­trato Miguel Rodri­guez Tor­res, mini­stro degli Interni, giu­sti­zia e pace e mas­simo diri­gente dell’intelligence vene­zue­lana. Tor­res, 49 anni, cha­vi­sta della prima ora, ha accet­tato l’intervista all’uscita dall’aula par­la­men­tare in cui si è appro­vato (tra le pro­te­ste dell’opposizione) il Plan della patria, il piano di governo, ideato da Hugo Chá­vez. Cin­que assi stra­te­gici basati su un nuovo modello pro­dut­tivo che cerca di coniu­gare petro­lio e ambien­ta­li­smo, pro­prietà sta­tale, pri­vata e auto­ge­stita, e punta alla costru­zione di uno stato comu­nale. Tor­res è l’espressione di governo di quell’alleanza civico-militare che ha soste­nuto il defunto pre­si­dente Chá­vez e che con­ti­nua a fun­zio­nare con Maduro. All’insegna del «Socia­li­smo del secolo XXI».



Mili­tare, agente segreto, mini­stro degli Interni. Un’immagine che stride nell’immaginario di molti, a sini­stra, anche in Ame­rica latina. Qual è stato il suo percorso?
Vengo dalle Forze armate, sono Mag­giore gene­rale dell’esercito, mi sono for­mato all’Accademia mili­tare tra l’80 e l’84. Nell’85 ho comin­ciato l’attività di cospi­ra­tore con­tro la Quarta repub­blica, ero nella bri­gata di para­ca­du­ti­smo agli ordini del coman­dante Urda­neta Fer­nan­dez, fon­da­tore del Movi­mento boli­va­riano rivo­lu­zio­na­rio Mbr200 dello stato Zulia. Allora c’erano due tipo­lo­gie di cospi­ra­tori, l’Mbr200 e i movi­menti di resi­stenza popo­lare della sini­stra, legati alla guer­ri­glia degli anni ’60 e ’70. Ci siamo uniti. Nell’Mbr200 ho par­te­ci­pato alla ribel­lione mili­tare del 4 feb­braio ’92 insieme al coman­dante Chá­vez. Ero capi­tano e mi sono occu­pato dell’operazione sulla Casona, la resi­denza pre­si­den­ziale. La ribel­lione è fal­lita e sono andato in car­cere per due anni e un mese. Al Cuar­tel San Carlo, dove poi ci hanno rag­giunto anche altri gruppi arre­stati nel secondo ten­ta­tivo del 27 novem­bre, mi sono messo a stu­diare: il mar­xi­smo e i padri dell’indipendenza, Simon Boli­var e soprat­tutto il suo mae­stro, Simon Rodri­guez. A 28 anni, avevo una for­ma­zione mili­tare, ma nes­suna base teo­rica per tra­sfor­mare in poli­tica la mia inquie­tu­dine, la ribel­lione matu­rata dopo la rivolta popo­lare dell’89, il cara­cazo. Allora l’esercito aveva spa­rato sulla folla, pro­vo­cando migliaia di morti. Quando mio fra­tello mag­giore, un mar­xi­sta, mi ha chie­sto cosa voles­simo fare con la pro­prietà pri­vata se fos­simo andati al potere, non sapevo rispon­dere. A quel tempo siamo stati ripe­tu­ta­mente avvi­ci­nati da gruppi di estrema destra, con­vinti che voles­simo seguire il modello cileno, ma li abbiamo respinti. Poi Rafael Cal­dera vinse le ele­zioni e pro­pose un pro­cesso di paci­fi­ca­zione: se aves­simo rinun­ciato all’esercito, saremmo usciti dal car­cere. Accet­ta­rono in molti, io e altri no. Comin­ciò una trat­ta­tiva. Alla fine rein­te­grai l’esercito, ma comin­cia­rono le per­se­cu­zioni: tra­sfe­ri­menti con­ti­nui, arre­sti e inter­ro­ga­tori prima di ogni evento poli­tico. Senza garan­zia e rispetto per i diritti umani. Chá­vez decise di lasciare la divisa per poter fare poli­tica aper­ta­mente, per­ché ai mili­tari era proi­bito. Mi chiese di accom­pa­gnarlo, ma io pen­savo aves­simo biso­gno di una dop­pia rivo­lu­zione, dal basso e dall’alto, per­ché non ave­vamo le forze per farne una di tipo tra­di­zio­nale. Gli ho detto: Coman­dante, col cari­sma e la dia­let­tica che ha, lei vin­cerà le ele­zioni. Si è scher­mito, ma è andata così, con­tro tutti i pro­no­stici. Dopo la vit­to­ria del ‘98, mi ha chia­mato a diri­gere la Disip, diven­tata Ser­vi­cio Boli­va­riano de Inte­li­gen­cia. E oggi sono anche Mini­stro degli Interni, Giu­sti­zia e Pace. L’esperienza poli­tica me la sono for­mata prima nei Comi­tati boli­va­riani, nuclei di 8–10 per­sone pre­senti di tutti i quar­tieri con i quali man­te­ne­vamo i con­tatti dalla pri­gione, poi con i Cir­coli boli­va­riani che il pre­si­dente Chá­vez mi ha chia­mato a coor­di­nare nel 2001, agli ordini di Dio­sdado Cabello. Pec­cato che abbiamo ceduto al ricatto della destra e alla demo­niz­za­zione dei cir­coli e li abbiamo sciolti. A loro dob­biamo parte della vit­to­ria sul golpe dell’aprile 2002.
La Disip evoca ter­rore, tor­ture e spa­ri­zioni, vi ha ope­rato anche l’anticastrista cubano Posada Car­ri­les. Cos’è cambiato?
La Disip sorge quando comin­cia la lotta con­tro la guer­ri­glia in Vene­zuela. Era un ibrido di intel­li­gence e poli­zia al di sopra della legge in cui imper­ver­sa­rono per­so­naggi come Orlando Bosch e Posada Car­ri­les. Tutto quel che la Cia e il Mos­sad vole­vano fare in Cen­troa­me­rica pas­sava per la Disip. Quando andammo al governo, sco­primmo però che il feno­meno Chá­vez aveva fatto brec­cia anche su alcuni fun­zio­nari che si erano tenuti a distanza da quel ter­rore e ci appog­gia­vano. Ci è costato molto inver­tire la ten­denza, allon­ta­nare quell’ombra nefa­sta, ma abbiamo fatto puli­zia, man­dando pro­gres­si­va­mente in pen­sione quel per­so­nale e for­man­done un altro basato sulla pre­ven­zione, la tec­nica – per­ché tutti gli stati devono pro­teg­gersi – e i diritti umani. Per costruire un modello nostro, pren­diamo il buono un po’ dap­per­tutto, dai russi, dai cubani… Fac­ciamo parte del Foro di intel­li­gence ibe­roa­me­ri­cano ma lì sono osses­sio­nati dal tema del ter­ro­ri­smo isla­mico, dall’Eta, ecce­tera. Noi agiamo sulle cause, e abbiamo il pro­blema del ter­ro­ri­smo di estrema destra, ma da quell’orecchio il Forum non ci sente. Così abbiamo creato Fialba, Forum d’intelligence dell’Alba, l’Alleanza boli­va­riana per i popoli della nostra Ame­rica: per creare mec­ca­ni­smi comuni di pre­ven­zione, per esem­pio con­tro attac­chi finan­ziari alla moneta alter­na­tiva, il Sucre, che fun­ziona nell’Alba. Quello che spa­venta i paesi capi­ta­li­sti non è la nostra forza mili­tare, ma quella di un modello alternativo.
Con la pro­prietà pri­vata com’è andata? Cos’è per lei il Socia­li­smo del XXI secolo?
Il Vene­zuela non è un’isola come non lo è nes­sun paese oggi. La glo­ba­liz­za­zione non è né un bene né un male, è una realtà. Il socia­li­smo che vogliamo costruire, il cam­mino che stiamo aprendo deve tenerne conto e al con­tempo avan­zare con i pro­pri prin­cipi fin­ché il socia­li­smo non rie­sce a esten­dersi a un arco di paesi che abbiano la forza di scon­trarsi fron­tal­mente col capi­ta­li­smo. Per que­sto la nostra costi­tu­zione ha una fles­si­bi­lità nel campo dell’economia che con­sente l’esistenza della pro­prietà pri­vata ma pro­muove anche altri modelli di pro­prietà sociale e col­let­tiva. Sul piano inter­na­zio­nale, lavo­riamo alla for­ma­zione di un mondo mul­ti­po­lare basato su rela­zioni soli­dali e pari­ta­rie, con l’Alba, il Mer­co­sur, Una­sur, la Celac. In campo sociale, por­tiamo avanti una lotta senza quar­tiere alla povertà e all’esclusione. In quello poli­tico, pro­muo­viamo la mas­sima par­te­ci­pa­zione del popolo, per­ché sia sog­getto delle pro­prie deci­sioni ed eser­citi il suo ruolo poli­tico. Oggi abbiamo pre­sen­tato il Plan della Patria, che defi­ni­sce que­sto socia­li­smo. La dif­fe­renza più pro­fonda della nostra rivo­lu­zione con quelle del pas­sato è la scelta di usare gli stessi stru­menti della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva che inten­diamo tra­sfor­mare. Dopo 14 anni e la ven­te­sima ele­zione, il cam­mino è ancora lento, com­pli­cato e rischioso. Ma se sap­piamo lavo­rare bene dando sem­pre più potere e orga­niz­za­zione al popolo e ren­den­dolo cosciente di essere il sog­getto della sua tra­sfor­ma­zione, il cam­bia­mento sarà pro­fondo e dura­turo. Tut­ta­via, non dimen­ti­chiamo le lezioni della sto­ria, e se la destra ci obbliga a pren­dere un’altra strada, non ci faremo sorprendere.
L’opposizione pensa di disco­no­scere anche que­ste ele­zioni e si pre­para a un refe­ren­dum revo­ca­to­rio del pre­si­dente. Quali sono i rischi?
Pur­troppo l’opposizione è diretta da un gruppo come Pri­mero Justi­cia che ha radici fasci­ste, pro­viene da un’organizzazione che si chia­mava Tra­di­zione fami­glia e pro­prietà, con tanto di sva­sti­che e con­torni. Hanno il con­trollo sulle altre forze della Mud come Ad o Copei. Non c’è dia­logo, dob­biamo con­qui­stare un’egemonia su quella parte di popolo che li appog­gia. Il giorno delle pre­si­den­ziali, il 14 aprile, all’approssimarsi dei risul­tati, con il con­senso di Maduro mi sono riu­nito con 2 alti diri­genti dell’opposizione. Ho chie­sto loro di rispet­tare il patto pro­po­sto dal pre­si­dente: rico­no­scere il risul­tato, anche solo per un voto, qua­lun­que fosse il vin­ci­tore. Ma quando hanno visto che ave­vamo vinto noi, hanno abban­do­nato il tavolo, inne­scando le vio­lenze post elet­to­rali. Pen­sa­vano che Maduro cadesse subito, poi hanno visto che così non è hanno rico­min­ciato con i com­plotti, isti­gati dall’esterno come avve­niva con Chá­vez. Nel 2004, abbiamo arre­stato 150 para­mi­li­tari colom­biani venuti a ucci­derlo. Oggi sono in car­cere tre sicari venuti dalla Colom­bia per Maduro. E Leo­poldo Lopez, un lea­der di Volun­tad popu­lar che ha vio­lato tutte le leggi durante il golpe del 2002 insieme a Enri­que Capri­les, ha pro­messo fuoco fumo e piombo anche per l’8 dicembre.

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