sabato 20 settembre 2014

GOVERNO RENZI E RIFORMA DELLA SCUOLA. A. ANGELUCCI, Renzi's School, IL MANIFESTO, 16 settembre 2014

Rem tene, verba sequen­tur, si diceva tanto tempo fa. E allora ana­liz­ziamo le parole e rico­struiamo indut­ti­va­mente il para­digma cul­tu­rale sot­teso alla recente pro­po­sta del Governo sulla scuola.



Il docu­mento, da sot­to­porre nei pros­simi due mesi a con­sul­ta­zione online e offline, è tutto un flo­ri­le­gio di angli­smi: la scuola deve uscire dalla com­fort zonee diven­tare l’avamposto del rilan­cio del made in Italy. Dotarsi di inse­gnanti men­torcapaci di pro­porre for­ma­zione online ma anche blen­ded. Pro­durre piat­ta­forme spe­ri­men­tali con un design chal­lenge lan­ciato pre­sto­daun hac­ka­ton mirante alla crea­zione di una app. Attrez­zarsi per sfide di gover­nance policy a colpi di data schoolnazio­nali, design di ser­vizi e ope­ning up edu­ca­tion, ovvia­mente rife­rita alle best prac­ti­ces.
Ma non basta: final­mente arriva la good law e il nud­ging sbarca al Miur per­ché «assi­cu­rare piena com­pren­sione e chia­rezza su quanto il Miur pub­blica è un’azione di aper­tura e tra­spa­renza di pari dignità rispetto all’apertura dei dati».
La buona scuola pro­muove il CLIL, cioè il Con­tent and Lan­guage Inte­gra­ted Lear­ning, e alle ele­men­tari inse­gna il coding attra­verso la gami­fi­ca­tion. Valo­rizza ilpro­blem sol­ving, il deci­sion making e, ove neces­sa­rio, poten­zia l’agri-business. Gli stu­denti diven­te­ranno digi­tal makers, si supe­rerà il digi­tal divide e riu­sci­remo a intrat­te­nere gli early lea­vers, ovvero quei «gio­vani disaf­fe­zio­nati» (sic) che la scuola oggi non rie­sce a tenere con sé. Per fare que­sto adotta il BYODbring your own device, ovvero «por­tati il tuo pc da casa». Ma, non paga, la buona scuola del governo pro­porrà school bonusschool gua­ran­teecro­w­d­fun­ding, emet­tendo all’occorrenza social impact bonds a bene­fi­cio dei pri­vati che vor­ranno appro­fit­tare del suc­cu­lento ban­chetto dell’istruzione imban­dito da Renzi. Good appe­tite.
Ma l’anglofilia del docu­mento non si esau­ri­sce nella patina les­si­cale e nel regi­stro lin­gui­stico. La buona scuola di Renzi è quella ame­ri­cana, auto­noma nell’organizzazione, nella didat­tica e nei finan­zia­menti. È la scuola intesa non come isti­tu­zione della Repub­blica, costi­tu­zio­nal­mente garan­tita a tutti e che offre pari oppor­tu­nità di accesso cri­tico alla cono­scenza e al sapere, bensì come espres­sione dif­fe­ren­ziata, cul­tu­ral­mente mar­cata e com­pe­ti­tiva, delle realtà e delle comu­nità locali: la scuola che si fa il suo pro­getto for­ma­tivo e si cerca sul mer­cato qual­cuno che abbia inte­resse a pagarlo.
La scuola, in Ame­rica, è nata prima degli Stati Uniti, quando i coloni strap­pa­vano le terre ai Nativi e costrui­vano pri­gioni e saloon. Comi­tati locali le orga­niz­za­vano, spesso in case pri­vate, si pro­cu­ra­vano gli inse­gnanti, met­te­vano a dispo­si­zione i libri e la Bib­bia non man­cava mai. Oggi i comi­tati si chia­mano Con­si­gli Diret­tivi, sono com­po­sti da cit­ta­dini eletti e man­ten­gono gli stessi com­piti: adot­tano pro­grammi didat­tici e gesti­scono il bilan­cio. L’autonomia sco­la­stica con­sente alle fami­glie ame­ri­cane il con­trollo sui con­te­nuti dell’insegnamento — in Lou­siana e nel Ten­nes­see, la lobby crea­zio­ni­sta osta­cola tena­ce­mente l’insegnamento dell’evoluzionismo — e per­mette ai fun­zio­nari eletti di imporre con­te­nuti e metodi di inse­gna­mento nei loro distretti scolastici.
La fram­men­ta­zione della scuola pub­blica ame­ri­cana ha pro­dotto e pro­duce risul­tati sco­la­stici così sca­denti da indurre oggi il Con­gresso a forme di con­trollo cen­tra­liz­zato ex post. Stan­dard e obiet­tivi di appren­di­mento nazio­nali da misu­rare con bat­te­rie di test dai cui risul­tati dipende la soprav­vi­venza o la chiu­sura delle scuole. Un rime­dio peg­giore del male, per­ché tra­sforma l’insegnamento in adde­stra­mento e, soprat­tutto, non sol­leva gli stu­denti ame­ri­cani dalle ultime posi­zioni nelle clas­si­fi­che inter­na­zio­nali. La buona scuola di Renzi è quella di un paese, l’America, in cui le scuole migliori sono pri­vate e costo­sis­sime; un paese in cui anche le scuole pub­bli­che, finan­ziate con la fisca­lità muni­ci­pale, pos­sono avere rette molto ele­vate e dove le più acces­si­bili si tro­vano nei quar­tieri depri­vati e accol­gono i poveri, gli svan­tag­giati, i discri­mi­nati. Un paese in cui la dispa­rità eco­no­mica è diret­ta­mente pro­por­zio­nale alla dispa­rità educativa.
C’è un pas­sag­gio, nel docu­mento, in cui si dice che «ogni scuola dovrà avere la pos­si­bi­lità di schie­rare la squa­dra con cui gio­care la par­tita dell’istruzione», ossia la libertà di sce­gliere i docenti che riterrà «più adatti» per rea­liz­zare la pro­pria offerta for­ma­tiva. La meta­fora cal­ci­stica di ber­lu­sco­niana memo­ria, rivela esat­ta­mente qual è la dire­zione del governo: por­tare a com­pi­mento il pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione della gestione della scuola intra­preso da Ber­lin­guer con la legge sull’autonomia e, con­tem­po­ra­nea­mente, com­ple­tare il per­corso di arre­tra­mento dello stato inau­gu­rato da Tre­monti, fino alla com­pleta dismis­sione della scuola pub­blica. Il preside-manager, costan­te­mente in cerca di spon­sor per finan­ziare la sua scuola, sce­glierà e licen­zierà discre­zio­nal­mente i suoi docenti, affian­cato in que­sto da un nucleo di valu­ta­zione in cui la pre­senza di esterni garan­tirà forme di con­trollo politico-culturale ma soprat­tutto il ritorno eco­no­mico degli inve­sti­menti pri­vati. L’esperienza di Chan­nel One, che in Ame­rica ha un con­tratto con 12.000 scuole, impo­nendo a milioni di stu­denti in classe dosi quo­ti­diane della sua pro­gram­ma­zione tele­vi­siva e pub­bli­ci­ta­ria, dovrebbe indurre i cit­ta­dini ita­liani a una rifles­sione seria.
Il resto del docu­mento è pura dema­go­gia. La pro­po­sta del ser­vi­zio civile a scuola, la col­la­bo­ra­zione con il terzo set­tore, l’ingresso del volon­ta­riato: un omag­gio dell’esecutivo a certa cul­tura scou­ti­sta e demo­cri­stiana; il rife­ri­mento alla sus­si­dia­rietà, una striz­zata d’occhio a Com­pa­gnia delle Opere e a Comu­nione e Liberazione.
E infine, l’impegno di assun­zione di 150.000 pre­cari nel 2015, accom­pa­gnato dall’ignobile ricatto a milioni di inse­gnanti di ruolo che impone di rinun­ciare al loro attuale sta­tus giu­ri­dico e di restare inchio­dati fino alla pen­sione al loro mise­re­vole sti­pen­dio ini­ziale. Un impe­gno spac­ciato come scelta e come testi­mo­nianza della volontà del governo di inve­stire nella scuola, in realtà ine­lu­di­bil­mente impo­sto dalla pro­ce­dura d’infrazione avviata a Bru­xel­les con­tro l’Italia per la vio­la­zione della nor­ma­tiva comu­ni­ta­ria sulla rei­te­ra­zione dei con­tratti a termine.
Una pro­messa da far tre­mare i polsi in tempi di tagli dra­co­niani e di riforme feu­dali impo­ste dalla Troika: ma forse, l’ennesima vel­leità di chi, assai peri­co­lo­sa­mente, «vuo’ fa’ l’americano».
* Asso­cia­zione Nazio­nale Per la Scuola della Repubblica

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