martedì 22 luglio 2014

POLITICA E GIUSTIZIA. BERLUSCONI E IL PROCESSO RUBY. R. SAVIANO, Saviano: Ruby, un'inchiesta, due sentenze, LA REPUBBLICA, 22 luglio 2014

Non è questione solo italiana quella di una sovrapposizione tra politica e giustizia. Ma è fuori discussione che il grado di maturità democratica può essere misurato tenendo conto di quante volte e quanto indebitamente i due piani si mischiano. Processare il primo ministro in carica per fatti gravi è possibile e una democrazia matura deve potersi permettere i contraccolpi che ne derivano. Senza berciare al colpo di Stato o senza richiedere l'istituzione di fantomatiche commissioni d'inchiesta, finalizzate non certo a comprendere quanto sotto gli occhi di tutti, ma evidentemente a riscrivere la storia. 



Dopo la sentenza di assoluzione in appello per Silvio Berlusconi è partito un coro meschino di accuse a Ilda Boccassini, il magistrato che ha condotto l'inchiesta che ha dato origine al processo.

Le sentenze vanno accettate ma allo stesso tempo non si può cedere alla logica poco democratica, secondo la quale non potrebbero essere commentate. Come ogni azione umana, come ogni azione pubblica che produce effetti sulla vita di ciascuno, anche le sentenze possono essere commentate. 

La magistratura è un ambito ben più complesso di ciò che si vede, di ciò che si vorrebbe mostrare e il berlusconismo, nei suoi effetti più nefasti, ha reso poco credibile ogni critica al suo operato, poiché ne ha cristallizzato l'idea su un piano di opposizione politica oggi ancor più insostenibile. 

Ilda Boccassini ha gestito con rigore il suo lavoro, mentre il modus operandi di molti era quello di condividere atti di indagine, con l'obiettivo di ottenere in questo modo protezione mediatica. Non è mai stato il suo caso. In una democrazia sempre più marcia, Ilda Boccassini non ha mai occhieggiato alle facili praterie infuocate dell'antipolitica, nelle quali tutte le istituzioni sono schifose e solo la magistratura è sana. Non è necessario ricordare semplicemente la sua presenza a Palermo, la sua vicinanza a Falcone e l'infuocato j'accuse formulato all'indirizzo di colleghi imbelli e poco degni del proprio ruolo, poiché è nella storia recentissima il segno del suo operato, con i fondamentali risultati giudiziari di quella inchiesta "Infinito", che ha mostrato quanto capillare sia il potere della 'ndrangheta in Lombardia. 

È per questa ragione che oggi non mi interessa aggiungere la mia voce a quella di chi ha voluto commentare gli esiti del processo Ruby, tra primo e secondo grado. Mi interessa piuttosto difendere un metodo investigativo che non ha mai cercato le luci della ribalta e che ha portato a quella sentenza di primo grado emessa da un Tribunale, da un collegio di magistrati e non certo dalla Procura della Repubblica. In questi anni ho letto atti relativi a decine, forse centinaia di inchieste, talvolta mediocri, talvolta superficiali, talvolta costruite sin dal principio contando sull'appoggio della stampa. Ilda Boccassini non è questo, poiché non è mai stata questo la tradizione cui si rifà. 

L'interpretazione del diritto non è univoca, altrimenti non sarebbe interpretazione, e dunque il dibattito sul sovvertimento della decisione in secondo grado è legittimo e visto il soggetto coinvolto anche necessario. Detto ciò, voler leggere e contestualizzare politicamente questa sentenza, o peggio, voler giocare, come è sempre accaduto in questi anni, alla sfida tra giustizialisti e garantisti - laddove in Italia questi ultimi, quasi sempre, non sono altro che soggetti diversamente giustizialisti - oltre che inutile è dannoso. Poiché questa incultura allontana ancora di più una seria riforma della giustizia che tenga conto delle difficoltà del sistema, ma che non umili il patrimonio di conoscenza e metodo della magistratura. 

E da questo punto di vista il metodo di lavoro di Ilda Boccassini, la sua capacità di stare alla larga da un rapporto anomalo con i media, tratto distintivo vero della incultura di questo Paese, è un punto di partenza. Un punto di partenza e si spera, nella sua sistematizzazione, un punto d'arrivo. Perché bisogna sempre partire dalle persone serie. Lasciando alla dimensione cabarettistica quei pagliacci, solerti servitori di un padrone ormai alla deriva, che a volte sembrano avere la testa solo per poter indossare parrucche dal colore sgargiante in quel momento di moda.

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