lunedì 16 maggio 2016

BERTINOTTI. DAL COMUNISMO ALLA COMUNIONE. C. ZAPPERI, Bertinotti: il movimento operaio è morto, in CL ho ritrovato un popolo, CORRIERE DELLA SERA, 18 aprile 2016

MILANO «L’eutanasia del movimento operaio ha disperso la memoria di cosa è stato il dialogo con il mondo cattolico». Fausto Bertinotti parte da qui, rievocando il Togliatti del discorso ai cattolici a Bergamo nel 1963 e le esperienze post conciliari degli anni Sessanta, per spiegare in quale contesto nasce il rapporto con Julián Carrón, leader spirituale di Comunione e liberazione. L’ex segretario di Rifondazione comunista, marxista non pentito, la scorsa estate è intervenuto al Meeting di Rimini e in queste settimane ha partecipato in diverse città (le ultime Imola e Cremona) alla presentazione del libro del successore di don Giussani, La bellezza disarmata.


Da cosa nasce il suo interesse per il mondo cattolico?
«Bisogna affacciarsi sull’abisso per scongiurare il pericolo. Oggi il rischio di una catastrofe è avvertito solo dalle coscienze più radicali, sociali e religiose. La politica, invece, si è chiusa in una corazza di ovatta che le impedisce di vedere. Quella che avanzo è una nuova istanza di dialogo con un mondo che ha tanto da dirci».
Quale è stato, per dirla alla don Giussani, il suo «nuovo inizio»?
«Due anni fa scrissi un libro, frutto di una conversazione con don Roberto Donadoni (direttore editoriale di Marcianum), che intitolammo Sempre daccapo. La mia parabola parte da quel libro, che aveva la prefazione del cardinal Gianfranco Ravasi, e arriva a una settimana fa con un dibattito con l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, un incontro tra posizioni radicali, avvenuto, pensate un po’, dentro un palazzo occupato…».
Ma c’è stato anche altro.
«Sì, ho accettato l’invito da parte di alcuni vescovi, come quelli di Nola e Ascoli, a parlare dell’enciclica Laudato sii».
Il rapporto più stretto è nato con Comunione e liberazione. Perché?
«L’incontro è nato nel quadro della crisi di civiltà di cui ho detto, con una economia che spinge sempre più l’acceleratore sulla disumanizzazione del lavoro. Per uscirne serve un dialogo tra diverse fedi. Il problema della politica, se vogliamo vederla da questo versante, è che, distrutte le ideologie si è ritrovata depredata, priva di riferimenti. Il dialogo con chi ha una fede può essere la scintilla che ridà speranza».
Tra lei e Cl chi ha preso l’iniziativa?
«Il primo contatto è avvenuto con i referenti di Cl di Sestri Levante, tre anni fa, per un dibattito estivo. Sembrava uno dei tanti incontri e invece…».
È arrivato l’invito a Rimini.
«Dove ho trovato molto di più e di diverso di quel che mi aspettavo. Anzitutto, il popolo. Ricordo che per Gramsci l’intellettuale può pensare di rappresentare il popolo solo se con questo vi è quella che lui chiamava “una connessione sentimentale”. Lì l’ho trovata».
E cos’altro l’ha colpita?
«La capacità di prevedere il futuro. Valeva per don Giussani ieri (memorabile la sua denuncia della crisi del rapporto tra Chiesa e popolo pur quando le chiese erano piene) come per don Carrón oggi».
I suoi ultimi richiami sono stati forti.
«Anche nel recente intervento sul Corriere (24 marzo), ha ricordato che il cattolico non si deve far scudo del potere temporale ma far prevalere la testimonianza, quella che papa Francesco chiama misericordia. Trovo elementi di similitudine con la crisi del movimento operaio. Anche la sinistra deve riqualificarsi nella società senza far leva sul Parlamento o il governo. Carrón e il Papa mettono l’accento sull’abbandono della corazza del potere. Proprio il rapporto sbagliato con il potere e le istituzioni è causa ed effetto dello smarrimento dell’identità di cui soffre la sinistra».
Forse Carrón è arrivato a queste conclusioni dopo gli scandali che hanno investito uomini vicini a Cl.
«Le sue parole, che a qualcuno non sono piaciute, ci costringono a riflettere sulla natura del potere. E del resto, cosa sta facendo Bergoglio con la Curia? È il movimento operaio che non si interroga per niente. La distanza tra questi due mondi è drammatica».
Sinistra l’è morta?
«Sì, la sinistra politica è morta. Come istanza di uguaglianza continua a vivere nella cultura e nel sociale. E riaffiora nel campo delle nuove forme di organizzazione comunitaria della società (associazioni, movimenti, autogoverno del lavoro). Qui e là rivedo esperienze che mi ricordano quelle delle società di mutuo soccorso e delle leghe territoriali. Segno che un terreno da coltivare c’è».
Si sente folgorato dalla fede religiosa? 
«No, questo sarebbe la negazione del dialogo che deve essere tra diversi. Se uno pensa di farsi cooptare vuol dire che non ha identità».

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