ifficile comprendere appieno la crisi del progetto europeo se non se ne colgono le prime radici, di gran lunga precedenti alla crisi internazionale del 2008 e all’ingigantirsi dei flussi migratori. I suoi prodromi iniziano a manifestarsi già in anni apparentemente “trionfali”: dal 1989 del crollo del Muro al 1992 del Trattato di Maastricht, dal 1998 dell’euro al 2004, con l’allargamento dell’Unione a dieci nuovi paesi. Esce appunto nel 2004 “Il sogno europeo” di Jeremy Rifkin: esso «sta lentamente eclissando il sogno americano», scriveva Rifkin, e invece i germi della crisi potevano esser colti da tempo.
1. "L'uomo e la donna che ignorano che cosa sia il mondo, non sanno dove essi stessi si trovino" (M. Aurelio) - 2. “Quel grande | che temprando lo scettro a' regnatori | gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela | di che lagrime grondi e di che sangue” (U. Foscolo)
martedì 14 gennaio 2020
SCUOLA FRA LAVORO E SENSO CRITICO. M. NUCCI, La scuola è il luogo del senso critico. Non solo quello della preparazione al lavoro, L'ESPRESSO, 9 gennaio 2020
Platone a Aristotele, i greci antichi esaltarono con costanza e fermezza la scholè. Solo nel tempo libero dalle necessità materiali, ovvero dagli impegni decisivi a procacciarsi di che vivere, è possibile occuparsi della propria anima, costruire la propria personalità, ragionare, imparare, crescere.
lunedì 13 gennaio 2020
FILOSOFIA POLITICA. DA "L'UOMO A UNA DIMENSIONE" A "REALISMO CAPITALISTA". BOLLETTINO CULTURALE, Nel mondo senza opposizione, SINISTRAINRETE, 9 gennaio 2020
“L'uomo ad una dimensione” di Herbert Marcuse venne pubblicato nel 1964, sotto la minaccia della "catastrofe atomica". Marcuse svela come, nelle società industriali, l'irrazionalità si maschera da razionalità tecnologica e continua descrivendo la cooptazione e il contenimento di tutte le richieste di cambiamento qualitativo alla luce delle "tendenze totalitarie della società monodimensionale". Il famoso libro di Mark Fisher “Realismo Capitalista: non ci sono alternative?” è stato pubblicato nel 2009 all'ombra del tardo capitalismo distopico, della crisi economica globale e del senso diffuso che "non solo il capitalismo è l'unico sistema politico ed economico praticabile, ma anche che ora è impossibile persino immaginare un'alternativa coerente.” Nei quarantacinque anni che separano i due testi, le affinità tra loro sono chiare. Entrambi gli autori si spingono fino al limite del pensiero critico, descrivendo tutto nei termini più severi e rimanendo, nonostante tutto, impegnati a trasformare tutto. In questo modo, quindi, entrambi i testi sono modelli esemplari di scrittura senza speranza, continuando comunque a scrivere. Alla fine di “L'uomo ad una dimensione”, dopo aver notato che "Il vero volto del nostro tempo si vede nei romanzi di Samuel Beckett", Marcuse cita Walter Benjamin che scrive all'inizio dell'era fascista: “È solo per il bene di quelli senza speranza che la speranza ci viene data.” Il testo di Fisher si conclude con un'affermazione altrettanto poetica: "L'evento più piccolo può fare un buco nella cortina grigia della reazione che ha segnato gli orizzonti delle possibilità sotto il realismo capitalista. Da una situazione in cui nulla può accadere, improvvisamente tutto è di nuovo possibile ".
IL CAPITALISMO IN RUSSIA OGGI. F. POGGI, Il ritorno del capitalismo in Russia, SINISTRAINRETE, 10 gennaio 2020
L’atteggiamento di molta pubblicistica di sinistra nei confronti della Russia odierna si divide in due grandi filoni. Da un lato, una perenne venerazione di tutto quanto promani da Mosca, ignorando persino le critiche rivolte al Cremlino anche dai comunisti del KPRF, di cui, pure, spesso ci si fa portavoce. Dall’altro, il completo silenzio su qualsiasi manifestazione dell’opposizione che non sia quella liberal-borghese o confessionale, come se altra non ne esistesse.
Non ci è capitato di leggere nulla, ad esempio, sui duecento dipendenti licenziati dai supermarket SPAR e SemJA di Pietroburgo, caricati il 30 dicembre dalla polizia mentre stavano picchettando gli uffici di Intertorg, chiedendo il pagamento di 10 milioni di rubli di salari arretrati. I lavoratori erano dipendenti di un’agenzia interinale, “scomparsa”; così, i funzionari di Intertorg, ritenendosi estranei alla cosa, hanno chiamato i reparti speciali della milizia per disperdere i manifestanti.
POLITICA E VIOLENZA. ANNIVERSARI. PIAZZA FONTANA 50 ANNI DOPO. E. PELLEGRIN, Piazza Fontana e la psicologia delle masse, SINISTRAINRETE, 10 gennaio 2020
Nell’anniversario del tragico 12 dicembre 1969, mi è capitata sott’occhi un’intervista allo Storico Miguel Gotor, titolata “Non chiamiamola strage di Stato” (1). Come spesso avviene, il titolo ingigantisce le parole dell’intervistato anche oltre il lecito, ma è significativo un passo dell’intervista dell’autore sul punto:
“La Strage di Stato è stato il titolo di un libro che ebbe molto successo all’epoca. Cosa pensa di questo concetto?
Fu un’espressione efficace sul piano politico, propagandistico e militante allora, ma oggi, dal punto di vista storico, la trovo insufficiente e persino ambigua. In primo luogo perché deresponsabilizza i neofascisti che ormai lo usano anche loro in questo senso. Se è stato lo Stato, nessuno è stato. Per capire, invece, bisogna anzitutto fare lo sforzo di distinguere. E poi perché, se è ormai accertato sul piano giudiziario e storico che nei depistaggi furono coinvolti esponenti degli apparati, dei servizi segreti e dell’ “Alta polizia” sopravvissuti al fascismo, vi furono anche magistrati come Pietro Calogero e Giancarlo Stiz o agenti come Pasquale Juliano che imboccarono da subito la strada della pista nera, con coraggio e andando controcorrente. Non erano anche loro esponenti dello Stato? Nella notte della Repubblica, nonostante il fango deliberatamente sollevato, il faro della giustizia e della ricerca della verità rimase acceso e non è giusto dimenticare l’impegno personale e professionale di quegli uomini con formule genericamente autoassolutorie.” (2)
lunedì 6 gennaio 2020
POLITICA E SANITA'. D DE FELICE, Sanità, sono solidale con il medico che ha denunciato l’inefficienza della sua Asl: il nostro compito è questo IL FATTO, 5 GENNAIO 2020
È stato presentato a Roma, all’inizio di dicembre, il 15° rapporto del centro per la ricerca applicata in Sanità (CREAsanità) che ha confermato la carenza dei medici, in particolare negli ospedali pubblici.
TEORIE ECONOMICHE IN CRISI. P. RUDAN, Il risentimento bianco cresciuto dentro il declino neoliberista, CONNESSIONI PRECARIE, 29 novembre 2019
«Macerie del neoliberalismo»: così, nel suo ultimo libro (In the Ruins of Neoliberalism. The Rise of Antidemocratic Politics in the West, Columbia University Press, 2019), Wendy Brown definisce l’emergenza delle politiche antidemocratiche in Occidente, l’ascesa di movimenti e partiti di estrema destra e ultranazionalisti negli Stati Uniti e in Europa, la violenta politicizzazione dei valori della tradizione giudaico-cristiana che sostiene la guerra aperta contro le donne, le minoranze sessuali, i migranti. Per muoversi tra le macerie del neoliberalismo bisogna afferrare il senso del genitivo: la politica «sregolata, populista e brutta» della «destra dura» [hard-right] non è il residuo di un ordine politico e sociale andato in rovina, ma l’effetto di un discorso che radica la libertà del mercato in un sistema morale ostile a ogni pretesa di uguaglianza. È un effetto imprevisto almeno se, come fa Brown, si mettono a confronto la teoria neoliberale e il «neoliberalismo reale». È un effetto Frankenstein – la creatura che si ribella al suo creatore – del quale lei cerca di ricostruire la «razionalità» facendo un passo avanti rispetto al suo lavoro del 2015, Undoing the Demos. Non è più sufficiente considerare come il neoliberalismo «disfa il popolo» universalizzando la figura dell’homo oeconomicus e cancellando dalla scena l’homo politicus, il cittadino democratico. Bisogna dare conto, secondo Brown, del modo in cui esso ha alimentato la «cultura antidemocratica dal basso» che ha legittimato «forme antidemocratiche di potere statale dall’alto». Bisogna ricercare, all’interno dei termini del discorso neoliberale, il processo di «produzione di soggettività» che permette di spiegare la traumatica e insopportabile elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America.
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