venerdì 20 giugno 2025

IL FUTURO DEL PD. RISPOSTA ALLA LETTERA APERTA DI URBINATI E TRIGILIA. CUPERLO G., Pd, senza sogni non si vola. Ora una nuova promessa per idee più radicali, DOMANI, 20.06.2025

 a lettera aperta di Nadia Urbinati e Carlo Trigilia a Elly Schlein è un’occasione da non sciupare. Cosa aspetta il Pd – questo il senso – a riattivare il circuito tra politica e cultura? A far sì che le proposte sacrosante avanzate negli ultimi anni su salari, welfare, liste d’attesa per curarsi o il diritto all’abitare possano restituire alla democrazia la sua forza vitale fondata su una concezione diversa delle relazioni economiche e sociali?


Una nuova “promessa”, l’hanno chiamata, con una formula carica di magnetismo al punto che alcuni tra noi battezzarono così la mozione al congresso che ha visto, alle primarie, l’affermazione di Elly Schlein. La sua leadership ha posizionato il mio partito su fronti a lungo rimasti sguarniti o, peggio, delegati ad altri. Lo giudico un fatto notevole e per nulla scontato.

La lettera tutto ciò riconosce sollevando però un tema diverso seppure complementare. Come tradurre il tratto di strada percorso in un coinvolgimento delle risorse culturali e civiche capaci di fondare attorno ai singoli traguardi del programma un’idea radicale di società.

Nadia Urbinati e Carlo Trigilia sono convinti che lì fuori vi sia un universo di energie e talenti e disponibilità, associazioni, ricercatori, movimenti, disposti a rispondere all’appello e i dodici milioni di Sì al referendum sul lavoro l’hanno confermato.

Credo abbiano ragione. In passato, del resto, la grande politica questo ha saputo fare: fondere programmi, alleanze, strategie in un disegno di futuro. Decenni fa era stato il tratto del primo centrosinistra: scuola media unificata, nazionalizzazione dell’energia elettrica, la prima programmazione.

O più vicino a noi l’Ulivo prodiano: aggregare il lavoro dipendente e autonomo, l’impresa e il sapere in un’offerta che voleva modernizzare il Paese sotto il profilo dell’integrazione in Europa, della concorrenza, di una scala ambiziosa dei diritti civili e sociali.

Ma ora? A fronte di una crisi dei canali di partecipazione, dove lo sciopero più riuscito è quello delle urne, come si organizza un’alternativa a sfiducia e apatia restituendo a milioni di italiani, giovani e donne in primis perché i più offesi, orgoglio e passione per credere in un’altra realtà possibile? In un’Italia e un’Europa diverse?

Non azzardo una risposta, mi limito a una suggestione. Se siamo in una di quelle fasi dove tra il vecchio che non c’è più e il nuovo che non vive ancora possono crescere “fenomeni morbosi”, la prova è guidare una stagione della politica che riscopra la sua profonda dimensione etica, morale, quella che si concretizza nel fare democrazia e nell’essere comunità.

Vuol dire che a milioni di ragazze e ragazzi disincantati nell’età più bella perché orfani di un avvenire da scegliere bisogna restituire un “senso” del vivere. Che non dipende dalla politica, per l’amor del cielo, ma che la politica deve sorreggere offrendo a ciascuna e ciascuno la certezza di poter disporre e decidere del proprio futuro. Nella scelta di dove vivere, cosa studiare, chi amare, a quale lavoro mirare e poi dedicarsi. E anche – perché no? – come impegnarsi per salvare una natura violentata o regolare una tecnologia disumanizzante.

In fondo, parte del declino della sinistra è dipeso da quanto lo spirito del tempo ha prosciugato fino a essiccarla l’anima potente che mirava a trasformare il mondo. Puntava a farlo persino con quella dose di utopia che ha saputo agire da bussola e motivazione più carica di emozioni rispetto a qualunque decalogo o programma di governo.

Togli questo alla sinistra e dietro l’angolo si affaccerà sempre la soluzione di uno o più “tecnici” dotati del bagaglio per gestire (e non sempre risolvere) le emergenze economiche o finanziarie. Sotto questa lente un’Europa mai così discosta dai sentimenti popolari il campanello d’allarme dovrebbe averlo suonato da tempo. Ma infine, la stessa parabola angosciante sulla pace e la guerra chiede che la politica torni a coltivare non solo criteri di realismo e razionalità, ma alzando lo sguardo su questo tempo drammatico e violento risvegli l’idealità più audace dove la visione stessa del mondo che verrà si riveli all’apparenza tanto impossibile da scoprirsi il giorno dopo assolutamente necessaria.

Nella storia c’è stato chi ha avuto forza e coraggio per crederci. Perché non dovremmo provarci?

Nessun commento:

Posta un commento