martedì 10 maggio 2022

GUERRA IN UCRAINA. P. ERCOLANI, Ucraina, ci siamo ridotti a una guerra delle interpretazioni. Così uccidiamo l’informazione, IL FATTO, 7 maggio 2022

 La nostra epoca cialtrona e sciagurata è idealmente figlia dell’affermazione di Nietzsche: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Abbiamo preso talmente sul serio il filosofo tedesco che, ormai, ci siamo ridotti a una perenne e onnipresente guerra delle interpretazioni in assenza di fatti. Lo vediamo dalla tv ai social: ognuno ha un’opinione su tutto, salvo non conoscere i fatti (bene che vada), oppure cercando palesemente di ometterli, rimuoverli e, al limite, trasfigurarli a proprio esclusivo vantaggio (male che vada). Non è che ci sia molto da stupirsi, in effetti, che nell’epoca della “post-verità” ognuno possa affermare la propria come se fosse quella assoluta.


La ricerca spasmodica dei like e dell’audience fa il resto, spingendo coloro che ne sono affamati (gli opinionisti o influencer su tutti) ad abbracciare la logica binaria del bianco o nero (di qua o di là, like o dislike), più propria di una tifoseria da stadio che di una comunità pensante. La capacità di distinguere, di accettare che torti e ragioni – così come pregi e difetti – ci sono da entrambe le parti è una virtù che è andata a farsi benedire o per la quale sentirsi addirittura in colpa. Il caso della guerra fra Russia e Ucraina (con Usa e Nato annessi) è soltanto l’ultimo di quelli che rivelano la condizione di cui sopra in maniera lampante. La guerra delle interpretazioni sembra avvenire a discapito dei fatti, per entrambe le tifoserie.

I sostenitori di Putin (o i critici della Nato) dimenticano il fatto che se vivessero in Russia (paese che ricorda più l’antico regime medioevale che non una democrazia moderna) non potrebbero esprimere un parere difforme a quello “ufficiale” (come invece fanno tranquillamente in Occidente); omettono i tanti (troppi) morti in quel paese, colpevoli di aver voluto fare informazione o di aver criticato il regime; sminuiscono il fatto che l’invasore è l’esercito russo, che non si fa alcuno scrupolo a colpire popolazione e obiettivi civili; infine sottovalutano le inaccettabili e sciagurate minacce di guerra nucleare e dell’utilizzo di armi “mai viste” avanzate un giorno sì e uno no dal ‘monarca’ russo.

Dall’altra parte si dimenticano le guerre e le persecuzioni condotte da otto anni contro le minoranze russofone in Ucraina; si omette l’impatto di una Nato che si è estesa fino ai confini con la Russia (portando missili e cannoni fino a quei confini); si sorvola sull’imperialismo Usa, disposto a difendere i diritti umani soltanto quando a violarli sono i suoi nemici, ma soprattutto all’origine di guerre dubbie e sanguinose, a cominciare da quelle contro Iraq e Afghanistan (qualcuno se le ricorda, le balle clamorose dei governi Usa e Gb sulle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, proclamate nientemeno che in sede Onu?).

Insomma, quello che per il buon senso è assolutamente normale (la distribuzione, non per forza equanime, di torti e ragioni), per il nostro sistema mediatico e per la nostra società è divenuto inconcepibile. Fino al punto di cacciare i professori, epurare gli opinionisti o stilare delle liste di proscrizione, come peraltro faceva il fascismo e con esso tutti i regimi liberticidi e autoritari.
Scomuniche reciproche, toni violenti, ferma convinzione di possedere la volontà assoluta (mentre gli altri sono dei tonti o, peggio, dei venduti al “nemico”) sono gli immancabili ingredienti di un dibattito pubblico ormai ridotto alla gestione dello sterco. Lo avevamo visto con il Covid, ora lo vediamo con la guerra.

In entrambi i casi, direi, ragionare in maniera obiettiva e saggia potrebbe salvare delle vite, almeno quanto non farlo produce la solita valanga di like ai predatori del web. Pare essere rimasto soltanto Papa Francesco, fra i “grandi”, a rendersene conto e a denunciarlo nel deserto.

Soprattutto – mi viene da dire (tanto per restare in tema di fatti) – vediamo questo scempio mediatico da un paese – l’Italia – che è stato ulteriormente retrocesso nella classifica della libertà di stampa, sprofondando al 58esimo posto, dietro a Gambia e Moldavia. Dovrebbe sembrare evidente a qualunque persona di buon senso: o mettiamo in discussione i criteri con cui viene stilata quella classifica, oppure abbiamo un problema bello grosso.

Forse che troppe interpretazioni, a discapito dei fatti, stanno uccidendo anche l’informazione, oltre all’opinione pubblica, alla politica e al buon senso generale? Mi permetto di formulare la domanda brutale poiché, storicamente, quando sono stati minati i quattro pilastri che ho appena nominato, si è assistito allo scoppio di guerre mondiali e si sono affermati regimi sanguinosi che avremmo sperato di non vedere mai più.

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