martedì 11 marzo 2025

CORRUZIONE. FORSE NON E' DEL TUTTO INUTILE. DE RITA G., E se la corruzione un pochino servisse? Un’indagine controcorrente, tra Bobbio e Cicerone, LA STAMPA, 11.03.2025

 

Pubblichiamo la prefazione di Giuseppe De Rita al libro di Luigi Grassia “Corruzione: e se un po’ servisse? I suoi apologeti da Cicerone a Hamilton (passando per Cavour, Giolitti, Mattei e Craxi”)”, Mimesis Edizioni 2025, pagine 135, 15 euro

La prefazione di Giuseppe De Rita a “Corruzione: e se un po’ servisse?”, un libro di Luigi Grassia che esplora i casi storici in cui le pratiche corruttive e clientelari si sono rivelate utili alla collettività. Con imprevedibili aperture di credito, da Cicerone a Norberto Bobbio

Fiumi di parole hanno descritto, interpretato, condannato la sfuggente realtà della “corruzione”; basta solo riandare alle mi gliaia di pagine a stampa o di ore televisive destinate negli ultimi decenni al fenomeno, specialmente in Italia, patria putativa di molti mariuoli e di pochi nobili spazzacorrotti.

In Italia ha quasi sempre vinto una visione della corruzione da magistrati penali e da titolisti scandalistici, che riempie il dibattito delle opinioni e poi decade, lasciando quasi sempre le cose come erano prima, magari peggiorate. Ma collocare la corruzione esclusivamente in un recinto penale significa non capire che è spesso un elemento interno a più ampi processi (di dialettica sociale, di rivoluzione, di formazione di nuovi Stati, di guerre locali, eccetera). Purtroppo, il riduzionismo etico della corruzione “impedisce di vedere le uniformità so ciali rispetto ai fatti”; frase splendida di Giulio Sapelli, non inferiore alla più famosa affermazione di Joseph Nye che “la corruzione è un fenomeno troppo importante per lasciarlo in mano ai moralisti”.


Basta leggere le pagine di Grassia per avere conferma di quanti fatti (episodi storici, crisi politiche, innovazioni istitu zionali, ecc.) hanno avuto dentro di sé episodi e meccanismi di corruzione: nell’incipt di questo libro si cita l’atto di nascita degli Stati Uniti che coincise con una gigantesca speculazione, “una vera e propria vergogna nazionale”; poi si ricorda come la gloriosa italica impresa dei Mille fosse stata “agevolata da emissari di Cavour che percorsero il Mezzogiorno comprando a peso d’oro le persone più influenti”, così come, ottanta anni dopo, lo sbarco degli americani in Sicilia nel 1943 fu favorito da un tacito ma ben articolato accordo con il mondo mafioso d’Oltreoceano.

Uscendo poi dalle troppo chiacchierate esperienze italia ne, l’autore ricorda che i Romani si difesero da un attacco dei Vandali comprando a peso d’oro gli Alani, alleati dei Vandali, specialmente i capi della loro cavalleria; del resto anche i Gre ci dell’Antichità aveva conosciuto la corruzione, se si dà retta a Plutarco che scrive che Pericle “con donazioni di denaro pubbli co corruppe la moltitudine e ne usò la forza contro l’areopago” (in un’Atene, del resto, in cui le sentenze nei tribunali erano in vendita al migliore offerente).

Ma è naturale anche (e utilissimo) ricordare le pagine che Grassia riserva alle vicende americane: non solo all’iniziale scan dalo finanziario, ma specialmente alla storia e funzione di Tam many Hall, esempio preclaro di un’associazione politico-eletto rale-clientelare che nei suoi 170 anni di vita ha usato manganelli, pistole, ricatti, metodi mafiosi e corruzione, ma ha comunque in tegrato milioni di immigrati nella normale dinamica economica e civile degli Stati Uniti. E passando ad altro continente, Grassia ricorda come la transizione del Sudafrica dall’apartheid alla de mocrazia (che avrebbe potuto scatenare una lotta mortale ben più estesa fra neri e bianchi) fu portata avanti anche con un uso limi tato e ben mirato della corruzione, in base al criterio che sia per i bianchi sia per i neri “era meglio spartire il potere ed ereditare intatto un paese ricco che uccidersi sulle macerie della battaglia etnica”. E tornando in pagine successive all’Europa, Grassia si spinge a stimare che nel primo dopoguerra (1920-‘30) mentre alcune nazioni europee si diedero al fascismo (Italia, Germania, Spagna) altre (Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Belgio) riu scirono ad evitare tale destino, perché il possesso di vasti e ricchi imperi coloniali, con il loro surplus economico, permetteva sia delle valvole di collocazione sociale ed esistenziale degli scon tenti interni (“i più inclini a menar le mani”) sia più generalmente di “comprare l’acquisizione dei potenziali oppositori politici”.

Ho richiamato, quasi con le stese parole dell’autore, gli esempi più noti di corruzione che diventano parti integranti di processi sociali, addirittura di processi storici. E ho visto confermata quella iniziale sensazione che il suo lavoro finisce per essere significativo di verità più profonde, che spesso sfuggono alla facile tentazione di ridurre tutto a una immorale vicenda di comprati e venduti.

Rileggendo le pagine di Grassia si avverte una grande sen sazione di libertà intellettuale, legata verosimilmente alla presa d’atto che la corruzione non è una devianza di un singolo contro la regolarità del sistema, ma è una delle componenti dell’evolu zione del sistema.

Se mi si passa il termine, la corruzione fa parte del “politeismo culturale” (e spesso anche etico) delle società più avanzate, siano esse le società oligarchiche (che tanto piacevano ad Alexander Hamilton) o siano invece le società industrialmente “libertine” in cui ci si concedono più libere dinamiche e dialettiche culturali e politiche (e che tanto attraevano Thomas Jefferson, personaggio mitico anche al di là della sua ambiguità personale: era un pro prietario di schiavi ma ha contribuito a edificare un grande paese moderno).

E qui entra in campo la capacità di Grassia di stagliare i grandi personaggi storici: in primo luogo appunto Jefferson, così intriso di rivoluzione francese; e poi Filippi Mazzei, cui sono destinate le ultime pagine del volume, una “nota biografica” di sconosciuto personaggio della grande storia europea, prima, durante e dopo il picco della rivoluzione francese. Un prefatore dovrebbe astenersi dal consigliare singoli parti di un testo, ma consiglio a tutti le godibili pagine destinate a Mazzei, l’unico italiano che contribuì a scrivere, con la solenne frase “tutti gli uomini sono nati eguali” la grande Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti; sono proprio di “pronta beva” ma di grande retrogusto.

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