Siamo il quinto Paese al mondo per aspettativa di vita alla nascita, ma gli anni trascorsi in buona salute sono in media solo 58,1 (nel 2023: erano 59,1 anni). Circa un over 75enne su due soffre di più malattie croniche e ha gravi limitazioni funzionali, cioè non è autonomo nelle attività quotidiane, come lavarsi, vestirsi, preparare i pasti, prendere le medicine.
La longevità, però, dipende anche dal luogo di residenza: chi nasce al Sud (e non studia) - soprattutto in Campania, Sicilia e Calabria - vive fino a tre anni in meno.
Disuguaglianze che si registrano anche in altri ambiti sanitari, come certificano i dati del ministero della Salute sul rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
A fronte di difficoltà del Servizio sanitario nazionale a garantire prestazioni e servizi definiti per legge essenziali, crescono gli italiani che rinunciano alle cure necessarie: l'anno scorso una persona su dieci ha rinunciato a visite o esami specialistici a causa di lunghe liste di attesa (6,8%) e difficoltà a pagare le prestazioni sanitarie (5,3%).
Chi, invece, può permetterselo paga per curarsi: nel 2024 gli italiani hanno speso di tasca propria 41,3 miliardi per prestazioni sanitarie.
Sono alcuni dati evidenziati dal Rapporto di Salutequità - Organizzazione che valuta la qualità delle politiche per la Salute -, presentato al terzo Summit «Equità e Salute in Italia», che quest'anno si è soffermato sulla programmazione sanitaria, in vista del nuovo Piano Sanitario Nazionale.
Di cosa soffrono gli italiani
Nel Rapporto si fa il punto, tra l'altro, sulle malattie più diffuse nel nostro Paese, su quelle «dimenticate», ma anche sulle conseguenze della mancata prevenzione e delle difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
Se da un lato le malattie dell’apparato circolatorio e i tumori rimangono le principali cause di morte in Italia, dall'altro la salute del cervello rappresenta una priorità crescente per il Servizio Sanitario Nazionale, con circa 7 milioni di persone che soffrono di emicrania, 2 milioni che hanno disturbi del sonno, 1,2 milioni di persone con demenza (di cui circa 700 mila con Alzheimer), 800 mila italiani con esiti di ictus e 400 mila persone con malattia di Parkinson. Si aggiunge, poi, un quinto della popolazione con disturbi psichici, in prevalenza ansia e depressione.
Diverse malattie, rileva il Rapporto di Salutequità, non hanno un riconoscimento in atti di programmazione sanitaria, nonostante interessino numeri considerevoli di persone, come nel caso della psoriasi (1,8 milioni di malati) o dell'emicrania (circa 7 milioni) o abbiano un impatto notevole sulla mortalità e i costi sanitari e sociali, come le cardiomiopatie.
Per fare qualche esempio: se una malattia cronica invalidante o rara non è riconosciuta tale e non è inserita nei rispettivi Allegati al DPCM sui Lea, (elenco malattie croniche invalidanti ed elenco malattie rare esenti) non si ha diritto all'esenzione dal ticket per patologia, come pure ad altre tutele sanitarie e sociali. Per cercare di «sanare» queste discriminazioni tra pazienti, segnala il Rapporto, a volte interviene il Parlamento provando a dare risposte con proposte di legge.
Malattie «evitabili» ma prevenzione scarsa
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, si possono prevenire fino all’80% dei decessi per malattie cardiache e ictus attraverso controlli regolari, corretti stili di vita e accesso tempestivo alle cure ma, ricorda il Rapporto, nel nostro Paese persistono marcate disuguaglianze da una Regione all'altra. Per esempio, la mortalità è più elevata nel Mezzogiorno, soprattutto per cause cardiovascolari e diabete.
La mortalità evitabile (prevenibile e trattabile) presenta situazioni più critiche in Campania, seguita da Molise, Sicilia, Puglia e Lazio, dove i tassi di mortalità, sia prevenibile sia trattabile, sono più elevati della media nazionale.
Lea non garantiti ovunque. Il caso degli screening oncologici
L'ultimo monitoraggio del ministero della Salute sul rispetto dei Livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni e i servizi che vanno garantiti a ogni cittadino a prescindere dal luogo di residenza, evidenzia che otto Regioni non garantiscono i Lea sul proprio territorio, in particolare nelle aree dell’assistenza distrettuale (territoriale) e della prevenzione.
Rispetto alla prevenzione per esempio, segnala il Rapporto, nel 2024 sono state invitate 17.908.724 persone a sottoporsi agli screening oncologici gratuiti (si legga qui) per individuare precocemente tumore della mammella, del collo dell’utero e del colon retto, però hanno aderito all’invito solo 7.370.106 con notevoli differenze tra Nord e Sud: si arriva a 27,5 punti percentuali per il programma di screening mammografico e 24,7 punti percentuali per quello della cervice uterina. Per lo screening del tumore del colon retto, la copertura è in media pari al 33,3% (nettamente inferiore al valore raccomandato del 50%), con percentuali del 45,8% al Nord, del 32,1% al Centro e del 17,8% al Sud e nelle Isole.
«Reti oncologiche»: se non funzionano i pazienti migrano
Rimanendo ai tumori e alla loro cura, come ricorda Salutequità, «la rete oncologica ha un ruolo centrale per assicurare efficienza, qualità, sicurezza e innovazione delle cure», ma l’indagine sullo stato di attuazione delle Reti oncologiche regionali fatta da AGENAS-Agenzia Italiana per i Servizi Sanitari Regionali nel 2024 (dati riferiti al 2023), evidenzia che, se alcune Regioni sono ben organizzate (Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte/Valle d’Aosta, Veneto e Lazio), in altre l’organizzazione dipende dalla capacità produttiva dei singoli Centri che soddisfano la domanda interna ed esterna alla rete (Lombardia e Friuli Venezia Giulia); ci sono, poi, Regioni che migliorano rispetto all'anno precedente ovvero Campania, Umbria, Abruzzo, Puglia, Friuli-Venezia Giulia; invece, Calabria, Molise, Marche, Basilicata e Sardegna ancora non riescono a soddisfare la domanda interna dei pazienti, che sono costretti a migrare in altre Regioni per curarsi.
PDTA fondamentali per la presa in carico ma non per tutti
La presa in carico e un’assistenza più efficiente ed efficace passano per una definizione dei percorsi di cura e per una conoscenza affidabile delle condizioni di salute e cliniche dei pazienti. In particolare, evidenzia Salutequità, i PDTA- Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali rappresentano la risposta organizzata per le patologie croniche e rare.
Ebbene, in Italia sono stati censiti 910 PDTA regionali approvati dalle Regioni e dalle Province autonome a dicembre 2024; nel 2022 erano 776.
Le aree su cui si concentrano sono prevalentemente quella oncologica, neurologica e cardiologica per le patologie croniche ad alta prevalenza.
Fse: meno di un italiano su due non ha dato il consenso
Quanto al Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), il Rapporto di Salutequità evidenzia che meno della metà dei cittadini assistiti (43%) ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti clinici da parte di medici e operatori del Servizio sanitario nazionale; inoltre, soltanto un assistito su quattro usa il Fascicolo.
C’è di più: oltre un medico specialista di aziende sanitarie pubbliche su dieci non è abilitato alla consultazione del Fascicolo sanitario elettronico. Tra le possibili cause della diffidenza e dello scarso utilizzo di questo strumento potrebbe esserci la percezione o la convinzione dei pochi vantaggi del FSE per come è oggi. Infatti, sottolinea Salutequità, la Cartella clinica è disponibile nel FSE solo in 4 regioni: Provincia autonoma di Trento, Veneto, Emilia Romagna, Calabria; il Piano di Assistenza Individuale è presente solo in Lombardia; il PDTA-Percorso diagnostico-terapeutico assistenziale soltanto nel Lazio; il Bilancio di Salute in Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta; solo in sei Regioni si può effettuare la richiesta/variazione dell'esenzione per patologia tramite FSE (Sardegna, Molise, Basilicata, Piemonte, Lombardia, Provincia autonoma di Bolzano).
La Calabria è l’unica Regione che ancora non prevede nel fascicolo la possibilità di scegliere o revocare il medico di famiglia.
A che punto è la programmazione sanitaria
Il Piano Sanitario Nazionale è il principale documento di programmazione sanitaria. Si tratta di un «adempimento previsto dalla legge ma è fermo al 2006-2008», rileva il Rapporto. Anche un altro strumento di pianificazione non risulta aggiornato poiché c'è stata «una proroga del Patto per la Salute 2019-2021, che non affronta i problemi epidemiologico-demografici e quelli del post-pandemia».
Per ricostruire un quadro sulla programmazione nel Paese, Salutequità ha scelto di partire dal livello intermedio - quello regionale - e di verificare come fosse evoluta l’attività a partire dall’ultimo Piano Sanitario Nazionale. Per questo ha realizzato una ricognizione dei Piani Sanitari e/o Socio-Sanitari delle Regioni.
Regioni in ordine sparso
Dalla ricognizione di Salutequità è emerso che:
- 10 Regioni hanno un piano sanitario integrato sociosanitario;
- 16 Regioni hanno un Piano Sanitario o Sociosanitario approvato prima della pandemia;
- 4 Regioni sono al lavoro per l’aggiornamento: Basilicata e Piemonte sono impegnate nell’iter approvativo del loro nuovo piano regionale; l’Umbria sta lavorando all’aggiornamento del proprio piano sanitario regionale; l’Emilia-Romagna ha attivato un percorso partecipativo per la redazione del nuovo piano sociale e sanitario regionale;
- Abruzzo e Puglia hanno lavorato a programmi operativi regionali (POR) 2025-2027; Calabria e Molise rispettivamente a quelli del 2022-2025 e 2023-2025; il Molise sta lavorando al nuovo POR 2025-2027 (in consultazione pubblica);
- il Friuli Venezia Giulia è l’unica Regione che provvede, in base a una legge regionale, a un aggiornamento annuale della pianificazione sociosanitaria con legge regionale;
- la Provincia autonoma di Trento si distingue per aver realizzato una pianificazione di più ampio respiro con durata decennale; per la costruzione e realizzazione del «Piano per la salute del Trentino» è stato attivato un processo partecipato e il Piano include indicatori di esito (legati a 5 macro-obiettivi) per il monitoraggio e la rendicontazione pubblica del suo andamento.
Perché è urgente il Piano sanitario nazionale
Stando all’Osservatorio attivato da Salutequità «esistono esperienze regionali e locali che, in diversi ambiti, anticipano le risposte a bisogni diffusi in tutto il Paese e rappresentano « incubatori di innovazione».
Commenta Tonino Aceti, presidente di Salutequità: «Il nostro Rapporto evidenzia un quadro complesso e frammentato della programmazione sanitaria in Italia caratterizzato da disuguaglianze territoriali, sociali ed economiche che compromettono l’equità e la tempestività nell’accesso ai servizi sanitari. La mancanza di un nuovo Piano Sanitario Nazionale e la disomogeneità dei Piani sanitari regionali dimostrano una carenza di visione strategica, unitaria e di coordinamento tra livelli istituzionali di governo del Servizio sanitario nazionale. A oggi però – fa notare Aceti – nessun testo è stato ancora pubblicato né trasmesso alla Conferenza delle Regioni. Inoltre, scrivere un testo non basta. Investire nel 2026 oltre 142 miliardi di euro senza una visione chiara e lungimirante del SSN e una vera e leale collaborazione istituzionale Stato-Regioni – conclude il presidente di Salutequità – sarebbe un'opportunità persa per ammodernare e rafforzare il nostro Servizio Sanitario Pubblico».
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