domenica 12 ottobre 2014

RENZI VISTO DA A. ASOR ROSA. Matteo Renzi un politico postdemocratico, IL MANIFESTO, 17 giugno 2014

Il dato più rile­vante di que­sta breve ma inten­sis­sima fase sto­rica resta, senza ombra di dub­bio, l’affermazione elet­to­rale (soprat­tutto in ter­mini per­cen­tuali) di Mat­teo Renzi. Il gio­vane lea­der è arri­vato a que­sta affer­ma­zione, come non mi stanco di ripe­tere, senza nes­suna delle tra­di­zio­nali inve­sti­ture “demo­cra­ti­che” in uso nel sistema poli­tico ita­liano dal 1945 in poi. Renzi ha ini­ziato la sua con­qui­sta del potere arri­vando con le pri­ma­rie dell’8 dicem­bre 2013, d’un balzo solo, alla segre­te­ria del Pd. Da lì spicca la sua rapida ascesa al governo, con mezzi (e for­za­ture) par­la­men­tari, anche in que­sto caso fon­da­men­tal­mente fuori della con­sue­tu­dine e ampia­mente discutibili.


Tutto ciò, però, ha rice­vuto subito dopo il con­senso, che suona appro­va­tivo, di un numero (per­cen­tual­mente) impen­sa­bile di elet­tori fino a qual­siasi con­sul­ta­zione pre­ce­dente. Que­sto cur­sus e que­ste coin­ci­denze andreb­bero inter­pre­tati meglio di quanto finora non sia stato fatto.
Un’ipotesi pos­si­bile (del resto tutt’altro che sor­pren­dente): Renzi “carica” di aspet­ta­tive il vec­chio elet­to­rato “demo­cra­tico”, fino a pro­spet­tar­gli la con­creta pos­si­bi­lità di una vit­to­ria, con­si­de­rata gene­ral­mente fino a quel momento del tutto irrag­giun­gi­bile (que­sta por­zione più tra­di­zio­nale dell’elettorato Pd pensa: «almeno una volta voglio vin­cere»); e vi aggiunge un quo­ziente piut­to­sto ele­vato di elet­tori pro­ve­nienti da altre aree (centro-destra, gril­lini, cen­tro democratico…).
Met­tendo insieme i due fat­tori, si spiega per­ché le avan­zate più con­si­stenti si siano veri­fi­cate nelle ex regioni rosse (Toscana, Emi­lia, Umbria). Insomma, il vec­chio elet­to­rato, invece di scio­gliersi nell’astensionismo, si con­so­lida pre­su­mi­bil­mente intorno al 23–24%; di suo Renzi vale il resto, ossia il 17–18%, più o meno quanto val­gono nei rispet­tivi par­titi quelli che ne sono fin dalle loro ori­gini i “padroni” (Ber­lu­sconi e Grillo), così come Renzi inne­ga­bil­mente lo è diven­tato del suo dopo que­sto suc­cesso elet­to­rale.
Dun­que il con­flitto poli­tico in Ita­lia diventa sem­pre di più, non solo come ho scritto altre volte, una gara tal­volta molto acca­nita, ma non fra “avver­sari” bensì fra “con­cor­renti”, data la cre­scente omo­ge­neità dei loro com­por­ta­menti e delle loro parole, ma più esat­ta­mente fra “con­cor­renti” che sono i veri e pro­pri “padroni” dei par­titi che si sono tro­vati, con moda­lità diverse, a guidare.
E cioè: non solo Renzi è diven­tato extra legem segre­ta­rio del pro­prio par­tito, e poi, subito dopo, con moda­lità alquanto discu­ti­bili, Pre­si­dente del Con­si­glio: ma, vin­cendo con un risul­tato indu­bi­ta­bile le ele­zioni, ha posto le pre­messe (di cui già si scor­gono gli svol­gi­menti) per­ché le gare interne a quella for­ma­zione poli­tica e in quell’area di governo in cui ha scelto di cor­rere fos­sero rapi­da­mente e per sem­pre liquidate.
Cer­care di capire per­ché abbia scelto di cor­rere in que­sta for­ma­zione e non in una delle altre in cui, vero­si­mil­mente, con­si­de­rando il suo pro­filo politico-culturale, avrebbe potuto tran­quil­la­mente farlo, sarebbe un altro inte­res­sante discorso, che però si potrebbe affron­tare solo con una migliore cono­scenza dei fat­tori in causa. Com’è riu­scito a farlo?
La rispo­sta a que­sta domanda sarebbe essen­ziale per impian­tare il “che fare”, di cui, con un minimo di chia­rezza, avremmo biso­gno. Io avanzo due ipo­tesi, stret­ta­mente col­le­gate fra loro.
La prima è che Renzi non smette di pro­met­tere urbi et orbi di avere in mano (oppure di essere in grado di avere, prima o poi, ma la dif­fe­renza fra il “certo” e il “pro­ba­bile” non è mai avver­ti­bile nel suo elo­quio som­ma­rio) gli stru­menti per far fronte alla crisi economico-sociale del paese: da que­sto punto di vista non rispar­mia le ras­si­cu­ra­zioni e, come anti­cipo, allunga un po’ di soldi alla povera gente.
La seconda, meno visi­bile ma più pro­fonda, è che Renzi, non meno di Grillo e di Ber­lu­sconi, ma in que­sto momento più cre­di­bil­mente degli altri due, punta sull’innegabile crisi di tenuta demo­cra­tica del paese, — lo scarso fun­zio­na­mento degli orga­ni­smi rap­pre­sen­ta­tivi, il degrado dei vec­chi par­titi e del vec­chio ceto poli­tico, la cor­ru­zione dila­gante, ecc., — per dire: con i miei metodi, che vanno e pro­met­tono di andare sem­pre di più nella dire­zione di un radi­cale supe­ra­mento dell’antiquato, ormai inser­vi­bile maci­nino demo­cra­tico, si andrà avanti molto meglio. Così lui tra­sforma la sfi­du­cia e tal­volta la rab­bia nei con­fronti della “demo­cra­zia”, che è un dato reale, dif­fuso ovun­que in que­sto paese, in un for­mi­da­bile stru­mento di con­senso. Lui è già di per sé un poli­tico post-democratico: basta che lo dica o anche si limiti a farlo capire, per susci­tare un moto di sim­pa­tia anche da parte di quelli che sono stati edu­cati ad un rispetto sacrale nei con­fronti della democrazia.
Il gioco per ora fun­ziona benis­simo, anche per­ché tutta la mac­china dei media è schie­rata come un sol uomo die­tro que­sta pro­spet­tiva (e anche que­sto sarebbe da inter­pre­tare meglio e da capire).
Del resto, non è la prima volta, in Ita­lia e altrove, che un’investitura di tipo auto­ri­ta­rio s’impone regi­strando un con­senso ple­bi­sci­ta­rio di massa. Quando lui ipo­tizza e pro­pu­gna, al posto di un one­sto, magari medio­cre, par­tito di centro-sinistra, che rap­pre­senta una parte per armo­niz­zarla con il tutto (ovvero, per armo­niz­zarla con il tutto, restando però a rap­pre­sen­tare quella parte), il cosid­detto Par­tito della Nazione, a nes­suno viene in mente che un obiet­tivo e una defi­ni­zione di tale natura avreb­bero potuto con­farsi anche al Par­tito Nazio­nale Fasci­sta o al Par­tito (appunto) Nazio­nal­so­cia­li­sta. Certo, non è la stessa cosa, ma ogni qual­volta si evoca la Nazione (con la maiu­scola, per giunta), sarebbe d’obbligo che i pre­ce­denti ven­gano alla mente.
Ma veniamo alla pra­tica spic­ciola, quella che fa vedere meglio le cose come sono: l’obiettivo prin­ci­pale, comun­que chia­ris­simo, con­si­ste nell’assoggettare al nuovo mec­ca­ni­smo di potere quanto, poli­ti­ca­mente e strut­tu­ral­mente, gli può risul­tare incon­gruo o resi­stente. Per cui facile pre­vi­sione: il pub­blico, anzi il Pub­blico, nella sua acce­zione più vasta, e cioè buro­cra­zia, magi­stra­tura, scuola, uni­ver­sità, sanità, beni cul­tu­rali, sovrin­ten­denze, ecc. ecc., e cioè quanto è stato costruito nel corso di decenni per avere una sua pro­pria auto­no­mia nel con­certo gene­rale degli organi dello Stato, verrà sot­to­po­sto ad un attacco senza esclu­sione di colpi. Non a caso, anche in que­sto caso, organi di stampa e media sono impe­gnati in una vibrante cam­pa­gna di mora­liz­za­zione per cogliere e san­zio­nare le colpe dei “siste­mati”: gua­da­gnano troppo, lavo­rano poco, sono lenti, ral­len­tano, si oppon­gono al “fare”, ecc. Il fatto che in molti casi, ovvia­mente, que­sto sia anche vero non toglie rile­vanza la fatto che l’obiettivo della cam­pa­gna non sia far fun­zio­nare meglio il sistema, ma assog­get­tarlo del tutto al comando del Sovrano.
Ho seguito con grande atten­zione, — ma forse un po’ troppo da lon­tano, le vicende della lista Tsi­pras, la cui affer­ma­zione, pur con molti limiti, dimo­stra che un punto di par­tenza ancora esi­ste. Ho pole­miz­zato con Bar­bara Spi­nelli prima del voto, per­ché essa, in un’intervista al mani­fe­sto (14 mag­gio) addi­tava nei gril­lini il punto di rife­ri­mento fon­da­men­tale post votum della nuova espe­rienza («ci sono molte posi­zioni di Grillo com­ple­ta­mente con­di­vi­si­bili e fra l’altro simili se non iden­ti­che alle nostre»). La posi­zione, pro­fon­da­mente erro­nea, è stata por­tata avanti fino a un momento prima che il Movi­mento 5 Stelle siglasse l’accordo con gli xeno­fobi e para­fa­sci­sti di Nigel Farage. La scelta della Spi­nelli di andare a Bru­xel­les in barba alle dichia­ra­zioni pre­ce­denti, chiude un po’ malin­co­ni­ca­mente la que­stione, e ne ria­pre una grande come una casa. Ora, infatti, sap­piamo con asso­luta chia­rezza che Grillo e il gril­li­smo sono avver­sari nostri non meno, e forse più, di Mat­teo Renzi (il che non esclude, che fra i gril­lini ce ne siano molti per bene e con cui si può com­bi­nare qual­cosa insieme). E allora?
In Ita­lia, altra grande ano­ma­lia nazio­nale, — non esi­ste, e dopo la defi­ni­tiva (ripeto: defi­ni­tiva) uscita di scena in que­sto senso del Pd non esi­ste più, una decente for­ma­zione di centro-sinistra, — magari la più mode­rata che si possa imma­gi­nare, la meno viru­lenta, ben radi­cata for­ma­zione di estrema sini­stra. Non esi­ste nean­che, — si potrebbe dire così, — una seria, decente, respon­sa­bile for­ma­zione di sini­stra. Per que­sto ber­lu­sco­ni­smo, gril­li­smo e ora ren­zi­smo hanno dila­gato e dilagano.
Hic Rho­dus, hic salta. Ossia: se non si prova ad affron­tare que­sto pro­blema, meglio dedi­carsi alle parole cro­ciate. Quando la defi­ni­sco, prov­vi­so­ria­mente, una seria, decente, ben radi­cata for­ma­zione di sini­stra, non intendo la spon­ta­nea con­ver­genza di una serie di for­ma­zioni spon­ta­nee, come in fondo è stata, — e per la parte migliore che ha rap­pre­sen­tato e rap­pre­senta, — la lista Tsi­pras. Sono l’unico appena pro­fes­sore, certo, di sicuro non pro­fes­so­rone, che ha avuto con­tatti diretti con la realtà vivente dei Comi­tati (gli altri, sovente, ne hanno par­lato per sen­tito dire). Sono stato coor­di­na­tore per molti anni della “Rete dei Comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio”. Insieme con altre pre­ziose espe­rienze, ne ho rica­vato que­sto con­vin­ci­mento: nes­suna realtà poli­tica nuova potrà fare a meno della linfa vitale che i Comi­tati spri­gio­nano; ma nes­sun insieme di Comi­tati, — una Rete, ad esem­pio, — potrà mai da sè, e spon­ta­nea­mente, met­tere in piedi una realtà poli­tica gene­rale. Que­sto sog­getto poli­tico una volta si chia­mava par­tito. Pos­siamo cam­biar­gli nome. Ma la sostanza è quella.
Detto così, può sem­brare un appello a fare ricorso non alla cabala ma alla Lam­pada di Ala­dino. Fac­cio una pro­po­sta. Da dove si comin­cia per comin­ciare la costru­zione di una realtà poli­tica nuova? Dall’alto, dal basso, dall’esistente o dal futu­ri­bile, dagli spez­zoni resi­dui del grande disa­stro o da quelli, più imma­gi­nati che reali, della rete in via di costru­zione? Io comin­ce­rei dal pro­gramma. Dieci, dodici punti che spie­ghino per­ché si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove. Aspet­tare che la riforma ren­ziana della poli­tica, dello stato e dell’economia vada avanti è pro­fon­da­mente auto­le­sio­ni­stico. Chi non ci sta, lo dica ed esca allo sco­perto. E lavori per­ché le idee, se non le mem­bra, tutte le mem­bra, emer­gano final­mente dal guaz­za­bu­glio uni­ver­sale. Non so se la pro­po­sta abbia un senso. Ma so che è così che si fa se si vuole che ne abbia uno. In fondo, all’inizio, non si tratta che di fare una cosa sem­pli­cis­sima e alla por­tata di tutti: pensare.

Nessun commento:

Posta un commento