domenica 31 maggio 2015

RIFORMA DELLA SCUOLA E COMPETIZIONE. L. ILLETTERATI, Merito e valutazione avanti, a destra, IL MANIFESTO, 28 maggio 2015

Sulla sua pagina Face­book Maria­pia Vela­diano, che oltre a essere scrit­trice è anche una diri­gente sco­la­stica, ha ripor­tato que­ste parole, rivolte da uno stu­dente a una docente che lo rim­pro­ve­rava per un lavoro non con­se­gnato: «Ma lo sa che l’anno pros­simo siamo noi a valutarvi?».


Forse non c’è rispo­sta più con­vin­cente ad alcune con­si­de­ra­zioni pro­ve­nienti (per così dire) da sini­stra. Mi rife­ri­sco all’arti­colo di Marco Lodoli (anch’egli scrit­tore e inse­gnante) uscito su Repub­blica il 22 mag­gio e ad alcuni com­menti del diret­tore del Post, Luca Sofri.
L’articolo di Marco Lodoli, il quale ha par­te­ci­pato all’elaborazione del Ddl la buona scuola (“con­fessa” anzi di essere lui l’autore del nome) muove dalla schietta con­sta­ta­zione di non essere riu­scito a spie­gare ai pro­pri col­le­ghi cosa c’è di dav­vero buono in quel testo che ora la Camera ha appro­vato; di essersi scon­trato con una sorta di muro di gomma dovuto, dice, a una sfi­du­cia che si è incro­stata negli anni, a un irri­gi­di­mento frutto di troppe delu­sioni, ma anche – e lo si coglie nelle descri­zioni che pro­pone di que­sti per­so­naggi stram­pa­lati che sareb­bero i col­le­ghi di Lodoli – da una sorta di volontà pre­con­cetta che fa da osta­colo all’accettazione di quelle tra­sfor­ma­zioni che potreb­bero ridare invece fiato a una isti­tu­zione sfian­cata, rimet­tere ener­gia den­tro un corpo esan­gue, por­tare una qual­che luce den­tro ai cor­ri­doi ammuf­fiti delle nostre scuole.
Insomma se Lodoli il 5 mag­gio, il giorno dello scio­pero della scuola, si trova a scuola solo con il pro­prio diri­gente, è per­ché l’epoca è quella che è, il mondo è inca­ro­gnito, la gente è stufa.
Lodoli richiama, in qual­che modo, un argo­mento uti­liz­zato di fre­quente da Mat­teo Renzi, il quale, facendo sfog­gio di umiltà, dice di avere effet­ti­va­mente sba­gliato sulla scuola, e che il suo errore è stato quello di non essere riu­scito a comu­ni­care la cosa nel modo giu­sto. Dove dicendo que­sto si tende a far pas­sare l’idea che chi non si rico­no­sce nella buona scuola non è tanto per­ché ha un’idea diversa, quanto per­ché, delle due l’una, o non ha capito bene (e infatti per costoro il pre­mier si è messo alla lava­gna con i ges­setti) o è tal­mente ideo­lo­gico che non c’è niente da fare.
Sulla que­stione dell’ideologia insi­ste anche Luca Sofri, che cerca evi­den­te­mente una strada che non sia quella dell’adeguamento ai par­titi presi: pro o con­tro. E nel ten­ta­tivo di capire rife­ri­sce di una dif­fi­coltà di molti a orien­tarsi den­tro una dop­pia reto­rica, quella del governo e quella dei suoi oppo­si­tori. E’ l’argomento clas­sico del cer­chio­bot­ti­sta o del ter­zi­sta, il quale, quando non è in cat­tiva fede, ha dalla sua l’onestà di chi vuole pro­vare a com­pren­dere al di là degli sguardi pre­con­fe­zio­nati. Però è peri­co­loso e a sua volta, se posso dire, ideo­lo­gico, con­si­de­rare le due reto­ri­che come equi­va­lenti. Non solo per­ché una ha mezzi e potere che l’altra non ha, ma anche per­ché in que­sto modo si asse­conda l’idea che il con­flitto non riguardi la cosa, ma la sua rap­pre­sen­ta­zione, esat­ta­mente come vuole la reto­rica governativa.
In realtà basta leg­gere inter­venti fra loro molto diversi come quelli di Mauro Piras e Chri­stian Raimo su Inter­na­zio­nale per vedere come il mondo della scuola abbia posto que­stioni con­crete, che hanno a che fare pro­prio con la sostanza della cosa e non, come si vor­rebbe, con la sua rap­pre­sen­ta­zione. Que­stioni alle quali le rispo­ste sono quasi sem­pre state la neces­sità del cam­bia­mento, l’esigenza di cam­biare verso, il biso­gno di ripar­tire e poi, come logico corol­la­rio, l’accusa di con­ser­va­to­ri­smo o anche di leso patriot­ti­smo a chi pensa che si stia pren­dendo una strada sba­gliata (si veda l’articolo a dir poco imba­raz­zante e imbat­ti­bile quanto a reto­rica da mar­ke­ting pub­bli­ci­ta­rio del sot­to­se­gre­ta­rio Faraone pub­bli­cato il 9 mag­gio scorso su Il Foglio).
È chiaro che Renzi e il suo governo stanno lavo­rando – e in parte ci sono anche riu­sciti – per fare pas­sare l’idea che chi si oppone alla buona scuola è un con­ser­va­tore, che nel peg­giore dei casi vuole difen­dere pri­vi­legi, nel migliore tratta la vita dei nostri figli e il loro futuro come una ver­tenza sin­da­cale cor­po­ra­tiva invece che come una que­stione deci­siva per il paese.
C’è però ancora un punto nell’argomentare di Sofri che vale la pena richia­mare: que­sta di cui si discute non è una cosa che si possa chia­mare «riforma della scuola», dice; e aggiunge: «una riforma della scuola è un pro­getto com­ples­sivo e più esteso, di mag­giore pro­fon­dità, visione e coe­renza: que­sto è un gruppo di inter­venti, diversi tra loro e a mac­chia di leo­pardo, che affron­tano alcune que­stioni del fun­zio­na­mento della scuola». Anche Renzi insi­ste molto, ulti­ma­mente, su que­sto: «Non chia­ma­tela riforma, que­sto è un modo per far ripar­tire la scuola, per ren­derla più effi­ciente, ma non è una riforma». Ecco, que­sto è il punto: dire que­sto è pro­durre ideo­lo­gia. Signi­fica fare pas­sare un impianto che cor­ri­sponde a una pre­cisa idea della scuola per mero inter­vento tec­nico, come una sorta di tagliando, una messa a punto della mac­china. Que­sta è una riforma della scuola.
Andando a modi­fi­care le forme del reclu­ta­mento, il rap­porto fra diri­gente e docente e, con­se­guen­te­mente, fra docente e alunno, que­sta legge incide sulla scuola ben più di altri roboanti pro­getti rifor­ma­tori. In que­sti inter­venti a mac­chia di leo­pardo c’è una coe­renza che sarebbe grave misco­no­scere. C’è un’idea di scuola che emerge evi­dente, della quale Renzi ha peral­tro sem­pre par­lato e che qui viene vei­co­lata attra­verso prov­ve­di­menti appa­ren­te­mente solo fun­zio­nali. Come se non fosse chiaro che se c’è un modo effi­cace per far pas­sare idee e visioni della realtà, que­sto è pro­prio quello di agire su mere que­stioni di fun­zio­na­mento.
L’idea che emerge da que­sti prov­ve­di­menti è che la scuola deve rico­no­scersi come luogo della com­pe­ti­zione: tra inse­gnanti, tra alunni, tra diri­genti, tra isti­tuti, e quindi, ovvia­mente, tra quar­tieri e tra città. L’enfasi su merito e valu­ta­zione mira a que­sto: a costruire scuole buone per i buoni e scuole come ven­gono per gli altri; a cana­liz­zare i buoni (e non occorre essere mar­xi­sti per pen­sare che è molto più pro­ba­bile che i buoni ven­gano fuori da situa­zioni agiate, eco­no­mi­ca­mente non pro­ble­ma­ti­che, social­mente quiete, ecc) den­tro per­corsi che li ren­dano ancora più buoni e i meno buoni den­tro per­corsi dove si fa quel che si può.
Le parole valu­ta­zione e merito appli­cate al lavoro della e nella scuola non sono, come si tende a far cre­dere, parole neu­tre, tec­ni­che, stru­menti che a null’altro ser­vono se non a regi­strare se si fanno le cose bene o male per pro­durre, come si ripete, miglio­ra­mento. Merito e valu­ta­zione sono in realtà pra­ti­che che impli­cano la neces­sità da parte di inse­gnanti e diri­genti di adat­tarsi a pro­to­colli di azione esterni rispetto alla situa­zione con­creta nella quale agi­scono, di far pro­pri com­por­ta­menti che con­sen­tano di rag­giun­gere obiet­tivi pre­de­ter­mi­nati indi­pen­den­te­mente dalla spe­ci­fi­cità delle situa­zioni, della pecu­liare esi­stenza delle per­sone coin­volte in que­sto processo.
Le pro­ce­dure valu­ta­tive ten­dono gio­co­forza a ridurre l’azione didat­tica in per­for­mance misu­ra­bile. Si rischia così, nel momento in cui la pra­tica valu­ta­tiva assume una fun­zione diri­gente nella scuola, di entrare nel para­dosso per cui si orga­nizza la vita della scuola e delle per­sone che la abi­tano in un certo modo non per­ché lo si ritiene giu­sto e sen­sato, ma per­ché così vuole e chiede la valu­ta­zione. La valu­ta­zione – e non rico­no­scerlo sarebbe non solo ideo­lo­gico, ma diso­ne­sto – non si limita mai a foto­gra­fare la realtà, bensì pre­de­ter­mina e pre­co­sti­tui­sce con i pro­pri indi­ca­tori la realtà a cui si rivolge.
E’ di que­sto che sono pre­oc­cu­pati molti di quelli che con­te­stano que­sta legge. Non solo di que­stioni di det­ta­glio o di sacro­sante que­stioni rela­tive al pre­ca­riato, ma soprat­tutto dell’idea di scuola che sog­giace a que­sti prov­ve­di­menti, i quali, toc­cando que­stioni di fun­zio­na­mento met­tono in realtà in campo un pre­ciso con­cetto di for­ma­zione, un’idea di società, vor­rei per­sino dire una visione della vita.

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