domenica 31 maggio 2015

FARE POLITICA OGGI IN ITALIA. P. FAVILLI, Contabilità al potere e talento dei cialtroni, IL MANIFESTO, 30 maggio 2015

Mat­teo Renzi è male­du­cato, cial­trone, igno­rante. Quest’affermazione non ha alcun carat­tere insul­tante. Tutti i ter­mini della triade pos­sono essere sot­to­po­sti ad un vastis­simo e fon­dato sistema probatorio.



La male­du­ca­zione è un esito scon­tato per chi ha fatto del «me ne frego» l’elemento distin­tivo e qua­li­fi­cante dei ritmi veloci dell’agire poli­tico, di una strada da per­cor­rere con animo guer­riero, forte, vitale, gio­vane, bef­fardo, irri­ve­rente (esat­ta­mente nello spi­rito in cui nasce il motto).
E così, ad esem­pio, si può riven­di­care la male­du­ca­zione «demo­cra­tica» sulla base di una cita­zione di Che­ster­ton mal tra­dotta e decon­te­stua­liz­zata. Male­du­ca­zione giu­sti­fi­cata tra­mite cial­tro­ni­smo.
Il cial­tro­ni­smo, cioè il «ciar­lare» coniu­gato con sciat­tezza di ana­lisi e di veri­fica, è anche la cifra dell’ignoranza.
L’ignoranza, infatti, non è tanto il frutto della scarsa fre­quen­ta­zione dei libri (per lo meno non sol­tanto), quanto del tipo di domande che l’uomo poli­tico pone alla realtà eco­no­mica e sociale. La man­canza di intel­li­genza delle cose, sosti­tuita dall’abilità di movi­mento tra le cose in vista di un inte­resse, lato sensu, per­so­nale. È man­canza di cul­tura. Cul­tura in quanto «prin­ci­pio infor­ma­tore del carat­tere», come dice con l’esattezza e la pre­gnanza che con­trad­di­stin­gue il suo les­sico, Luigi Meneghello.
Poi­ché è indub­bia l’abilità di poli­tici come Mat­teo Renzi nell’arte di pri­meg­giare in tutti gli eser­cizi con­nessi a que­stioni di potere, poi­ché tale pri­ma­zia non ha alcuna diretta rela­zione con quell’intelligenza che vuol dire capire le ragioni delle cose anche attra­verso sistemi for­mali di ana­lisi, ecco che alcuni gior­na­li­sti hanno uti­liz­zato il ter­mine «talento» per indi­care la natu­rale pre­di­spo­si­zione al «suc­cesso». Renzi è un «male­du­cato di talento» (Cor­riere della Sera), Sal­vini è un «pro­vo­ca­tore di talento» (Repub­blica).
Si tratta di un pro­cesso di «demo­cra­tiz­za­zione del talento». Il «genio», il «talento» ven­gono con­nessi ad una dimen­sione di quasi totale fisi­cità E dun­que pre­scin­dono tanto da cul­tura che da stru­menti ana­li­tici; anche que­sti corpi inter­medi da rottamare.
In poli­tica tale tipo di genia­lità e di talento può tro­vare la sua veri­fica solo sui para­me­tri del potere rag­giunto e sui voti neces­sari per otte­nerlo. E nel con­te­sto attuale ha biso­gno di mani­fe­starsi come talento ple­beo per rivol­gersi ad un popolo non di cit­ta­dini bensì, appunto, di plebei.
Così viene inver­tita una delle pro­messe fon­da­men­tali della moder­nità, quella pro­messa che è stata anche il cuore della sto­ria del movi­mento ope­raio: la tra­sfor­ma­zione della plebe in popolo, la cre­scita pro­gres­siva dell’autocoscienza tra­mite l’allargamento della sfera dei diritti.
Un pro­cesso dif­fi­cile che aveva biso­gno dell’intelligenza e della cul­tura. Per restrin­gere la sfera dei diritti, invece, è del tutto suf­fi­ciente il talento ple­beo, l’arte, nem­meno sopraf­fina, della mani­po­la­zione della «gente».
Mat­teo Renzi in Ita­lia è la punta alta, il para­digma, di un «talento» che è eser­ci­tato da quasi tutto il ceto poli­tico. Più in gene­rale il pro­blema non è altro che la mani­fe­sta­zione di super­fi­cie dell’aspetto cen­trale dell’attuale crisi della demo­cra­zia: l’esclusione delle domande fon­da­men­tali dell’economia poli­tica tanto dal discorso eco­no­mico che da quello politico.
La demo­cra­zia si è sto­ri­ca­mente basata sull’idea di eman­ci­pa­zione uni­ver­sale. La sfera eco­no­mica, deci­siva nel per­corso gra­duale verso forme più alte di rap­porti di ugua­glianza, non può esserne esclusa. Nello stesso tempo, però, il carico di istanze demo­cra­ti­che ten­den­zial­mente cre­scente secondo una razio­na­lità eman­ci­pa­trice, fini­sce per con­fig­gere con la razio­na­lità dei pro­cessi di accu­mu­la­zione. E dun­que lo spa­zio del discorso eco­no­mico diventa sem­pre più esi­guo, ridotto alla sfera della contabilità.
Uno stu­dioso, che un tempo fu eco­no­mi­sta poli­tico, deli­mita con pre­ci­sione tale spa­zio nelle coor­di­nate di un «ragio­ne­vole» euro­pei­smo (Cor­riere della sera, 9/4/2015). Ho molti dubbi che la «ragione» illu­mi­ni­sta posa rico­no­scersi in que­sto suo uso assai disin­volto. Si tratta invece di una assai par­ziale «razio­na­lità, di quella «nuova ragione del mondo» di cui That­cher e Rea­gan sono stati gli alfieri poli­tici. Di quella «razio­na­lità» i cui effetti ci hanno por­tato a una pau­rosa regres­sione dei fon­da­menti stessi della demo­cra­zia, cioè di tutte le decli­na­zioni dell’uguaglianza sia in ter­mini eco­no­mici, che sociali, che politici.
Tutti gli altri spazi di «razio­na­lità» che non coin­ci­dono con quella domi­nante devono essere «messi fuori». E per que­sto si pos­sono usare tutti gli stru­menti pos­si­bili con­nessi all’uso spre­giu­di­cato del potere: le leggi elet­to­rali ad esempio.
Qual­che anno fa l’autore dell’articolo citato aveva indi­cato la pos­si­bi­lità di affron­tare i «pro­blemi dif­fi­cil­mente trat­ta­bili in demo­cra­zia» tra­mite «l’arduo com­pito di inven­tare qual­cosa di simile ad un bene­vo­lent dic­ta­tor»; espres­sione a cui egli acco­stava, ancora con disin­vol­tura, l’italiana «dit­ta­tore illu­mi­nato» (Cor­riere della sera, 22 dicem­bre 2007). Ora, bene­vo­lent non ha nulla a che vedere con «illu­mi­nato»; è sino­nimo, invece, di cha­ri­ta­blecom­pas­sio­nate. Si coniuga per­fet­ta­mente con il pro­getto poli­tico del «capi­ta­li­smo com­pas­sio­ne­vole». Comun­que, al momento, chi nel 2007 si augu­rava il bene­vo­lent dic­ta­torè sod­di­sfatto. Il lea­der cari­sma­tico c’è: il lea­der che è riu­scito dove non ce l’ha fatta Ber­lu­sconi, cioè a «tra­sfor­mare il cari­sma in isti­tu­zione» (Cor­riere della sera, 1/5/2015). Tutto si tiene, dunque.
Que­sta è la miscela mise­re­vole del rac­conto eco­no­mico e di quello poli­tico e il bene­vo­lent dic­ta­tor ne è, insieme, inter­prete primo e garante in ultima istanza. Con rara sin­ce­rità il Cor­riere della sera (9/2/2015) dice che su tale miscela non ci sono divi­sioni tra i par­titi esta­blish­ment: «se non è zuppa è pan bagnato, due mine­stre con pro­fumi diversi ma fon­da­men­tal­mente indi­riz­zate allo stesso obiettivo».
Ora il com­pas­sio­ne­vole ci invita a non votare le liste di sini­stra in Ligu­ria, in Toscana…. per­ché sarebbe un favore alla «destra». Quale altro agget­tivo, ugual­mente fon­dato, pos­siamo aggiun­gere ai tre ini­ziali di que­sto articolo?

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