lunedì 28 dicembre 2015

PARTITI ITALIANI. LA FINE DI FORZA ITALIA. S. TURCO, Il parricidio tardivo di Sandro Bondi, L'ESPRESSO, 28 dicembre 2015

ancava l’ultima pennellata, l’ultimo dettaglio. L’ultima palata di terra. L’abiura finale. Adesso, amen, è arrivata anche questa. “Berlusconi potrebbe essere paragonato al conte Ugolino che divora il cranio dei suoi figli”, sibila Sandro Bondi. Ed eccola, via intervista con Repubblica , la pugnalata all’ex Cavaliere: il parricidio, la chiusura del cerchio, per quel che vale, ormai. Perché fino all’ultimo, Bondi - il fido scudiero, il sacerdote del purismo, l’abate che comminava scomuniche, il soldato che aveva scelto di decadere dalla politica quando era decaduto il suo generale - Berlusconi l’aveva sempre salvato.



Persino quando le Pascale e le Rossi avevano emarginato, persino quando già meditava l’addio. Se Forza Italia era “fallita”, come scrisse sulla Stampa nell’aprile 2014, era colpa degli altri, mentre la scommessa sul futuro riguardava sempre lui, “soprattutto lui”: Berlusconi. E se gli azzurri non erano “mai andati così in basso”, come spiegò nel marzo 2015 alla vigilia del suo addio a Fi, era “colpa del cerchio magico”: non di Berlusconi. E Bondi lasciava sì, gli azzurri, ma il Cavaliere gli restava sempre nel cuore: era sempre il suo dio laico, quella “vita assaporata / vita preceduta / vita inseguita / vita amata” con cui si iniziava il famoso sonetto “a Silvio”, pubblicato inizialmente sotto pseudonimo nel 2006.

In fondo, anche l’adorazione assoluta era a suo modo il segno di una qualche epica grandezza. Ciò che lo ha reso imbattibile, eterno, finché è durata. Senza andare troppo a ritroso: tra il Bondi che nel congresso di Forza Italia del 2004 ascoltava a mani giunte il Credo laico che aveva scritto lui (ma non bisognava dirlo), e il Bondi che adesso rinnega il Cavaliere, ci sono 435 interviste. Undici anni e mai un dubbio, mai una incertezza: mica facile.


L’inizio e la fine dei suoi ragionamenti è rimasto sempre costante: “Berlusconi è l’unico che ci può salvare”. Tutti gli altri, via via, da buttare. E Fini col suo “cupo risentimento”, e Casini “barbaro”, e Tremonti “che è un qualificato tributarista”, e Formigoni “ingrato” e Alfano, Lupi, Quagliariello “soltanto delle rape”, come “tutti gli altri che senza Berlusconi non sarebbero stati nemmeno consiglieri comunali”.

Un candore assoluto, appena incrinato dalla disfatta degli ultimi due anni, sull’onda del quale Bondi ha svolto la propria carriera politica: segretario personale, parlamentare, portavoce, coordinatore sia di Forza Italia che del Pdl, ministro, amministratore del partito. Gli incarichi apicali, i più delicati. Era l’ultima zattera per Berlusconi: quando non c’era altri cui affidarsi, c’era Bondi da mettere in mezzo. E lui, pur controvoglia, dal Cavaliere si faceva fare di tutto: voleva lasciare gli incarichi già dal 2011, ma ogni volta era costretto a restare “per esplicita richiesta” e “rapporto personale” e fedeltà.
 
Ecco, come tutto ciò si sia alla fine condensato nel fatto che Bondi definisca Berlusconi un conte Ugolino ma “senza grandezza tragica”, anzi con uno “sguardo intinto nel sadismo” (quello di cui lui stesso era vittima), non è dato esattamente sapere, e forse a questo punto non ha nemmeno senso ricostruire. Forse è davvero una questione di maturazione personale, come dice lui: due anni fa, dopo essersi costretto per anni a navigate transoceaniche pur di andare a trovare suo figlio, Bondi ha trovato finalmente il coraggio di prendere un aereo; e adesso, dopo aver passato vent’anni ad adorare Berlusconi, ha trovato il coraggio di dire che politicamente non valeva niente perché – difficile formulare un giudizio più duro - “è stato deludente se non fallimentare nell’arte di governare”, e che comunque “venivano sempre prima le sue aziende”, mentre “la nostra autonomia politica era pari a zero”. Verrebbe da rivolgergli la stessa obiezione che lui rivolse ad Alfano, quando lasciò Berlusconi: “Adesso è facile, almeno Fini e Casini avevano il coraggio di affrontare il Dottore nel fulgore dei suoi anni migliori”

Perché poi, alla fine, il parricidio di Bondi arriva con un ritardo politico incolmabile. Così come l’ode finale ad Alfano e al suo “coraggio”, dopo un biennio di proclamato disprezzo, o la scoperta che in Forza Italia si proceda per epurazioni, o persino il paragone con il conte Ugolino, già esercitato da Micciché nel 2009. Un poco lo salva, Bondi, soltanto la coerenza finale: trattare se stesso da traditore, così come ha fatto con tutti gli altri. “Sì, potrei essere accostato a Giuda”, ammette l’ex ministro, poi precisa: “Giuda è stato forse quello che ha preso più sul serio Gesù di Nazareth”. Siamo ancora dalle parti delle Scritture, come quando definì mamma Rosa “madre di Dio”. Ma è un vezzo: di sacro ormai non è rimasto più nulla.

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