lunedì 31 ottobre 2016

HOME SCHOOLING ANCHE IN ITALIA. E. COEN, "Con la formazione fai-da-te i genitori allevano i piccoli Trump del futuro". Intervista con C. Saraceno, sociologa, L'ESPRESSO, 28 ottobre 2016

C'è un pezzo di Italia che dice no alla scuola pubblica e guarda con diffidenza anche alla scuola privata: ultracattolici "no gender", una parte del popolo del Family Day, libertari, montessoriani, seguaci di Steiner. Mille famiglie, secondo le statistiche ufficiali: poche finora, ma in continuo aumento. Padri e madri convinti di poter fare da sé, educano i figli in casa o li affidano a scuole organizzate da gruppi di genitori, che le finanziano direttamente con le proprie rette. Alla base c’è la concezione della famiglia come entità autonoma, autosufficiente. Una concezione che attira consensi ma anche forti dubbi e dure critiche.



«L’home schooling parte dall’idea che la scuola pubblica rappresenti solo una parte dell’offerta educativa. Esprime una concezione totalmente privatizzata del pubblico», spiega Chiara Saraceno, una delle più autorevoli sociologhe italiane, che nei suoi saggi -  tra cui "Mamme e papà: Gli esami non finiscono mai" (Il Mulino) "Coppie e famiglie. Non è questione di natura"(Feltrinelli) - esplora l’universo della famiglia e le sue mutazioni, regole e confini, smontando stereotipi e facili ricette.

Professoressa Saraceno, come spiega il fenomeno dell’home schooling?
«È molto diffuso soprattutto negli Stati Uniti, ma sta prendendo piede anche in Italia. Del resto, si tratta di un diritto garantito dalla Costituzione. È comprensibile che i genitori desiderino il meglio per i propri figli, ma suscita in me forti dubbi la loro pretesa di avere la sovranità assoluta sui messaggi educativi, facendoli studiare a casa o assumendo le persone incaricate della formazione dei ragazzi». 

I genitori-professori garantiscono l’educazione dei propri figli. Per loro può essere rassicurante.
«E invece è importante mantenere la distinzione tra genitore e insegnante, la varietà delle figure educative ha un valore in sé: arriva un momento in cui i figli scelgono di prendere le distanze dai genitori. E poi dove finisce la libertà dei figli di fare incontri non previsti? Se madri e padri sono così sicuri del loro modo di vedere le cose, non dovrebbero aver paura del confronto. Costruire recinti non facilita il dialogo e la verifica. Auguro a tutti i genitori e figli di trovare delle figure esterne al nucleo familiare con cui confidarsi».

Cosa perde chi non frequenta la scuola pubblica? 
«La scuola non consiste solo in un insieme di competenze cognitive, ma deve insegnare a confrontarsi, a competere senza aggressività. Non arrivo a sostenere che con l’educazione parentale si tirano su degli spostati, ma la formazione dei ragazzi si impoverisce. Certo, nella scuola pubblica le idee non devono essere imposte in modo autoritario, gli insegnanti devono essere critici, rispettosi delle opinioni di tutti».

Molte famiglie temono che i propri figli vengano contaminati dalla teoria gender. 
«Capisco l’origine della paura, anche si tratta di una teoria quasi tutta inventata. Le famiglie hanno il folle terrore che l’eterosessualità dei figli possa venir meno, mostrano una profonda incertezza, si limitano agli stereotipi e non abituano i propri figli a rispettare chi ha un orientamento sessuale diverso dal loro. Ma così facendo preparano i piccoli Trump del futuro».

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