venerdì 16 marzo 2018

POLITICA E VIOLENZA. CASO MORO 40 ANNI DOPO. F. MARCONI, Sequestro Moro, le Br hanno sempre mentito, L'ESPRESSO, 15 marzo 2018

A quarant’anni da quei 55 giorni che hanno sconvolto l’Italia, 
il Caso Moro rimane ancora avvolto nel mistero. Non sono bastati cinque processi, sette commissioni parlamentari, decine di inchieste giornalistiche e opere storiografiche, 
per elaborare una ricostruzione del rapimento, del sequestro 
e della morte del presidente della Democrazia Cristiana, 
che faccia definitiva chiarezza.




Sono ancora molti coloro che, nonostante siano tacciati di complottismo e dietrologia, continuano a mettere in dubbio l’asse portante della “verità ufficiale”: la versione dei fatti fornita dalle Brigate Rosse. O meglio, le versioni dei fatti.

I brigatisti, infatti, nel corso degli anni hanno deciso di collaborare con gli inquirenti, pentendosi o dissociandosi, e godendo così di forti benefici carcerari. Ma le loro ricostruzioni sono state sempre parziali e spesso in contrasto. Basti pensare alle due testimonianze più celebri: quella di Valerio Morucci, sul cui memoriale si fonda gran parte della verità processuale, e quella del regista dell’“attacco al cuore dello Stato”, l’irriducibile Mario Moretti.
Sono molti i punti che non combaciano tra le ricostruzioni 
dei due Br, ma anche tra queste e le testimonianze di chi 
ha assistito all’agguato.

Morucci ha scritto che i brigatisti presenti in via Fani erano solamente nove, numero confermato anche da Moretti. Il capo delle Br ha poi sempre dichiarato di essere stato l’unica persona all’interno della Fiat 128 bianca che blocca la scorta di Moro e di esservi rimasto fino alla fine della sparatoria. Ma i presenti al momento della strage hanno testimoniato di aver visto due persone scendere da quella macchina e sparare verso l’auto della scorta di Moro. Se così fosse il numero dei presenti in via Fani non sarebbe quello indicato dai brigatisti.
Nel corso degli anni, il numero dei componenti del commando ha subito continue modifiche: si è passati dai sette condannati nei primi processi, ai nove indicati da Morucci, agli undici individuati tra anni ’80 e ’90. Senza considerare i due uomini, di cui ancora non si è scoperta l’identità, che hanno sparato verso un testimone, Antonio Marini, mentre erano a bordo di una moto Honda al seguito del convoglio brigatista.


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Allo stesso tempo è cambiato anche il numero dei carcerieri del presidente Dc. Nel 1993, Moretti ha svelato la presenza di un quarto uomo in via Montalcini, oltre lui, Barbara Balzerani e Prospero Gallinari, che avrebbe partecipato all’omicidio Moro: il suo nome è Germano Maccari e viene subito arrestato e condannato a 30 anni. Perché smascherarlo quindici anni dopo la morte del politico pugliese?

Tante contraddizioni rimangono poi su molti altri aspetti: sul percorso fatto dai brigatisti in fuga da via Fani, sulle modalità con cui sono state abbandonate le auto utilizzate, sul luogo in cui Moro è stato tenuto prigioniero, e persino sulla dinamica dell’assassinio del presidente Dc. Nel 2017, questa è stata oggetto di una perizia dei Ris, incaricati dalla Commissione Moro che ha lavorato nell’ultima legislatura, e che ha messo nero su bianco che no, lo statista non è stato ucciso coricato nel portabagagli come hanno sempre dichiarato i brigatisti, ma era seduto e avrebbe guardato il suo assassino negli occhi.

A quarant’anni di distanza quindi sono ancora molte le zone d’ombra, e viene spontaneo chiedersi se le Br non abbiano sempre mentito. Hanno voluto coprire qualche compagno sfuggito alla giustizia? O hanno celato la presenza di complici non appartenenti alle Brigate Rosse?  

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