domenica 28 settembre 2014

RENZI COME CRAXI. 3. MANFELLOTTO B., Renzi sta facendo come Craxi, L'ESPRESSO, 5 settembre 2013

Tra tensioni e veleni comincia nel Pd la stagione più delicata della sua breve storia. Non sarà facile, non sarà piacevole. E metterà a dura prova la tenuta del partito, la sua stessa identità. Gli appuntamenti in agenda sono decisivi. Da una parte si avvia inesorabilmente al tramonto, e certo non senza pesanti colpi di coda, il ventennio berlusconiano che ha congelato la sinistra concentrandola su un'unica missione: liberarsi di B. Ora bisognerà ricominciare daccapo parlando non più di lui, ma di contenuti e obiettivi. Dall'altra Matteo Renzi si appresta a conquistare la leadership del partito come trampolino per la candidatura a premier ("Il fattore R"). Un'epoca si chiude, una si apre.



I due eventi si intrecciano, si condizionano, dall'uno possono derivare i tempi e i contenuti dell'altro. Si comincia con l'impegno più gravoso, la riunione della giunta delle immunità chiamata a pronunciarsi sulla decadenza di Berlusconi da senatore dopo la definitiva condanna per frode fiscale. Alla scadenza il Pd arriva sull'orlo di una crisi di nervi. Del resto Berlusconi e i suoi cari stanno facendo di tutto per stressare i parlamentari, aprire crepe nel fronte del sì, giocare sulle contraddizioni interne al partito.

Basta che B. parli perché tutti perdano la testa; basta che annunci richieste di grazia o lanci ultimatum per la sorte del governo per scatenare i dubbi di stuoli di giuristi e il terrore dei peones. E però il Pd sa bene che non sono possibili ripensamenti di sorta, scappatoie, exit strategy: un no alla richiesta di decadenza suonerebbe incomprensibile per il popolo democratico e forse sancirebbe perfino la fine del partito; ma lo stesso sapore avrebbe anche un rinvio a tempo indeterminato di ogni decisione.


Il nervosismo aumenta se si pensa che nel campo di battaglia c'è ora un altro contendente: il giovane Renzi. Sciolte le ultime riserve, il sindaco punta al bersaglio grosso con una strategia capace di tenerlo in prima linea sia che il governo duri a lungo sia che si vada a votare prima del tempo. Ha poi capito che per vincere non può presentarsi alla sfida da outsider e per questo non si perde una festa del Pd (le primarie sono cominciate in Emilia) e rassicura il suo popolo: «Sono uno di voi». Solo un anno fa, nelle stesse feste, a chi chiedeva un giudizio sul rottamatore, big e leader rispondevano: «Non è uno di noi». Oggi molti di loro sostengono la sua corsa per la leadership. 

Insomma la partita è cominciata, ma il risultato non è scontato. È difficile per esempio che a Renzi riesca l'en plein, cioè conquistare segreteria e candidatura alla premiership: glielo impediranno, baratteranno una carica con l'altra. Perché, alla fine, su tutto sono disposti a chiudere un occhio i maggiorenti del Pd, tranne che sul controllo del partito. Ma non è l'unico ostacolo che lo sfidante incontrerà. 

Il paradosso vuole che la sua vittoria passi per un'intesa con i big - Franceschini, Veltroni, Fassino, Bettini - che ora lo appoggiano forse solo nella speranza che ciò serva a scongiurare la fine delle larghe intese; ma passi anche per un tacito accordo con quella che potrebbe diventare domani la minoranza dura e pura che non lo vuole alla guida del partito, ma lo accetterebbe come candidato premier: Bersani, D'Alema, Rosy Bindi. Mostri sacri che un anno fa Renzi avrebbe rottamato e con i quali invece dovrà scendere a patti in vista della battaglia congressuale. Stando ben attento a non farsi travolgere.

A voler azzardare paragoni con la storia della Prima Repubblica verrebbe da pensare più alla congiura del Midas che nel 1976 portò Craxi alla segreteria del Psi che al Patto di San Ginesio che pochi anni prima aveva chiuso nella Dc la stagione dorotea grazie all'alleanza trasversale dei quarantenni (De Mita e Forlani). Allora fu un patto generazionale che oggi nel Pd potrebbero incarnare Letta e Renzi. Ma per ora i loro interessi contingenti divergono. E forse sarà questo a tardare oggi (e forse a favorire domani, chissà) la definitiva conquista postdemocristiana del Pd.

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