venerdì 21 dicembre 2018

DISCUSSIONI A SINISTRA. P. FAVILLI, In questo mutamento perpetuo, non possiamo non dirci marxisti, IL MANIFESTO, 18 dicembre 2018

L'articolo di Rossana Rossanda Per un Marx al presente (il manifesto, 12 dicembre) ragiona sulle caratteristiche assunte dal lavoro nel nostro presente a partire da alcuni aspetti dell’analisi marxiana tanto sul lavoro che sulla forza-lavoro.


Si sofferma sull’ «errore» dei marxismi-leninismi che hanno legato il processo di emancipazione operaia all’ «obiettivo principale unico la distribuzione di beni soprattutto materiali ai lavoratori», senza tener conto dei «bisogni operai in crescita intellettuale e morale». Non è questo però il punto centrale dell’intervento. La questione, d’altra parte, non credo possa essere affrontata contrapponendo la sfera dei bisogni materiali a quella della tensione etica e della crescita culturale.
E la stessa Rossanda, infatti, ritiene come «filone di ricerca (…) urgente» quello della soggettività operaia; quindi l’indagine attenta all’interno della categoria marxiana «forza lavoro». E, giustamente sottolinea il fatto che l’analisi marxiana «riconduce esplicitamente ad un’idea della “classe” come composta essenzialmente da individui necessariamente diversi l’uno dall’altro».
Questo «filone di ricerca», coniugato ad un’analisi dei modi in cui si è manifestata storicamente la «soggettività» dei subalterni, è di particolare importanza oggi, quando le «individualità» sono il dato di fatto più evidente da cui partire per ragionare seriamente per qualsiasi ricomposizione dell’aspetto sociale dell’antitesi. Oggi quando tale soggettività appare in forme che sembrano non avere alcun rapporto con la collocazione economico-sociale dei soggetti. Di qui la tentazione di negare che le ragioni dell’opposizione tra capitale e forza lavoro abbiano le loro radici all’interno del rapporto di produzione. Di qui la proposizione della sfera politica come unico luogo deputato a dare forma e sostanza al «soggetto» della resistenza alle logiche del capitale.
Trovo più solidamente fondate, filologicamente fondate nei testi marxiani, le ricerche che hanno confermato come la contraddizione sia «al cuore del rapporto di capitale anche se la forza-lavoro si mostra, almeno per una fase, socialmente e politicamente inerte». (G. Cesarale, relazione convegno «Marx e la critica del presente», Roma, 27-29 novembre 2018. Il corsivo è mio)
Mi sembra che la questione abbia importanza per le scelte politiche relative alla ricostruzione di un «soggetto» antitetico. D’altra parte le ricerche a proposito non stanno certo iniziando oggi, ma hanno alle spalle una non brevissima storia. Il problema riguarda piuttosto il rapporto, o meglio il non rapporto, tra l’ampio campo di ricerche in corso nella cultura marxista e la proposta politica.
Ho dedicato molti anni di studio e scritto centinaia di pagine nel tentativo di definire storicamente (e teoricamente) la semantica di un termine così polivalente come«marxismo», per cui credo di essere totalmente immune rispetto a qualsiasi forma di pernicioso dottrinarismo. Ma chi sta indagando sul presente usando categorie analitiche ispirate alla teoria critica del capitalismo più ampia ed articolata prodotta dalla nostra modernità, non può che essere un marxista. Agli studiosi di storia del marxismo ed ai marxologi, poi, il compito di definire meglio di quale tipo di marxismo si tratti.
Che le categorie marxiane abbiano una loro specifica storicità è assolutamente evidente. Ma è anche evidente che un’analisi non appiattita sul presentismo deve muoversi tra la dimensione invariante (strutturale) del processo di valorizzazione del capitale, e quella che muta nelle fasi diverse dell’accumulazione (congiunturale).
Il tutto nella consapevolezza che non esiste un sistema di Marx bensì una complessa rete di relazioni in continua trasformazione, estranea a una logica sistematica. Il fatto che la sua opera principale, Il capitale, quella cui attese per quasi tutta la vita, si presenti come un «non finito» è la dimostrazione di uno sforzo prometeico per abbracciare un complesso di relazioni tendenzialmente «totale» e insieme la necessità di ritorni, ripartenze, modifica degli strumenti analitici per la comprensione della realtà del capitale in perpetuo mutamento. Un «non finito» strutturalmente necessario.
Abbiamo dunque bisogno di un «marxismo politico» davvero corrispondente alla metafora dei nani che vedono «oltre» solo sedendo sulle spalle dei giganti. Una metafora non utilizzata solo dalla modernità umanistico-rinascimentale, ma profondamente comprenetrata in percorsi di lunghissimo periodo dello svolgimento del pensiero occidentale.
Una consolidata tradizione culturale cui la «sinistra» politica (e non soltanto politica) ha rinunciato. I propri «giganti», infatti, o li ha uccisi o li ha cancellati. Rimangono solo i «nani», ed è, dunque, impossibile che il loro sguardo possa andare «oltre» l’orizzonte del «particulare» e del «contingente».

Nessun commento:

Posta un commento