Per lo scrittore americano James Lee Burke la crisi americana risale agli anni in cui “i repubblicani hanno iniziato a spedire all'estero i lavori degli americani. Così gli operai specializzati si sono trasformati in fattorini e i sindacati sono stati sconfitti. Oggi il paese è nelle mani di gente volgare nella migliore delle ipotesi o di autentici nazionalisti, nella peggiore…nel frattempo stiamo distruggendo il mondo per una sola ragione: l'avidità perché siamo insaziabili. E proprio ora, negli Usa, stiamo per lasciare entrare i lupi nel recinto” (Caldiron).
Egoismo e vanità sono virtù inscritte nella natura umana.
Così si caratterizza, nella ricostruzione dell'individualismo occidentale fatta da Michea, la concezione moderna dell'essere umano all'indomani della fine delle guerre civili religiose europee. Non più animale politico, ma homo homini lupus. E si tratta di ripartire dal pessimismo realistico di questa naturale selvatichezza per disegnare qualche idea di società, ridotta al minimo e possibile solo sulla base di contratti, non a caso nozione tratta dal diritto privato.
Da qui l'evidente primato dell'individuo sulla società, nella mentalità anglosassone un leit motiv ossessivo da Ockham a M. Thatcher.
Da qui la convinzione che eventuali interessi generali o comuni, siano solo una sorta di effetto collaterale frutto di un'armonia prestabilita delle cose o merito dell'astuzia praticata da una misteriosa provvidenza (Marx). Ciò che prevale, alla base di tutto, è la natura utilitaristica, il vantaggio e l'interesse privato, quello che era incarnato dal quarto carattere della filosofia liberale per Marx: libertà, eguaglianza, proprietà, Bentham.
La scrittrice dello Zimbabwe, ex Rhodesia indipendente dal 1980, Tsitsi Dangarembga denuncia il capitalismo predatorio ancora in atto nel sud del mondo, di cui l’Africa è ampia parte: “Il colonialismo è un’esperienza negativa, un progetto economico che non si cura delle persone nato in un’epoca in cui i regni europei erano diventati così corrotti e dissoluti, spesso vicini alla bancarotta, da andare a prelevare la ricchezza in altre parti del mondo (...) il sistema capitalistico crede in un profitto infinito, chi possiede di più non è mai soddisfatto, così l’istinto predatorio si sta riversando anche verso la propria gente (...) ora quel progetto originario di ‘guadagno dagli altri’ sta tornando a casa. Si pensi alla gentrificazione: persone con molti soldi entrano in alcune aree e se ne impossessano, solo che agiscono nel proprio Paese e non in un altro”.
Per la scrittrice africana, l’illuminismo è stato alla base del sistema predatorio capitalistico ed anche se in quel movimento ci sono stati elementi positivi, ciò che ha preso il sopravvento è stata l’innaturalità del mercato e della sua logica.
Poi aggiunge che, in una struttura globale come quella attuale, ciò che conta è il potere di chi governa, per cui anche i governi dei paesi che hanno negoziato l’indipendenza hanno cercato solo di modificare il tipo di contratto con i governi coloniali agendo contro gli interessi dei propri popoli.
Una sorta di accordo fra élite colonizzatrici e elite colonizzate in cui anche le risorse per lo sviluppo vengono utilizzate in questa direzione. Non c’è spazio per una presa di coscienza verso autonomia e indipendenza autentica: ci sono governi africani “che sembrano non poter fare a meno di un padrone coloniale” mentre manca la volontà di sottoscrivere un contratto con il proprio popolo promuovendone la sovranità. E i nuovi padroni, cinesi e russi, non si comporteranno diversamente dai precedenti in quanto “anch’essi agiscono all’interno del paradigma capitalista del mondo, cioè trarre profitti dai continenti sfruttati”.
L'avidità è tirata in ballo anche dalla scrittrice irlandese R. Rooney, in un articolo che sembra un proclama risolutivo delle BR.
Le multinazionali dei combustibili fossili stanno distruggendo il pianeta nonostante ci sia un consenso unanime su questa deriva. Il tutto ha subito un’accelerazione negli ultimi 100 anni quando è emersa una specie particolare di avidità, quella legata all’idea che la crescita sia infinita, che i profitti siano sempre maggiori e che il sistema non possa rallentare. Quanti vengono impiegati e sfruttati per tenere acceso al massimo questo motore, finiscono, poi, fra le prime vittime non solo dello sfruttamento economico salariale, ma anche degli effetti prodotti dagli sconvolgimenti climatici in atto. Non c’è tempo da perdere, scrive la Rooney, e non sarà il sistema democratico a trovare la soluzione al problema. Si tratta di “pensare fuori dagli schemi del nostro attuale sistema politico…se vogliamo un vero cambiamento, dobbiamo essere disposti a mettere in pericolo” la ricerca avida del profitto (Umberto Eco parlava, nel lontano 1972, dello sviluppo a tutti i costi, già allora accusato di danni ambientali e sociali) "imparando dalle persone che lo hanno fatto”.
Di che si tratta? Rooney cita l’esempio degli attivisti che, dal 2005, cercarono di ostacolare la costruzione di un gasdotto e di una raffineria della Shell nella contea irlandese di Mayo.
Violenze, intimidazioni non hanno fermato gli attivisti: la struttura è stata costruita, ma la Shell ha subito un danno per un miliardo di euro. Se azioni simili fossero fatte in giro per il mondo, si possono immaginare i danni ai profitti delle varie multinazionali.
L’articolo termina con il riferimento a un testo che, dal titolo, sembra un manuale di guerriglia anti-capitalista vecchio stampo: “Come far saltare un oleodotto. Imparare a combattere in un mondo che brucia” Autore uno studioso svedese, Andreas Malm, professore di Ecologia umana a Lund, il quale scrive: “La proprietà privata non è al di sopra della Terra, non esiste una legge tecnica, naturale o divina che la renda inviolabile in questa emergenza. O affrontiamo il sistema che minaccia la nostra civiltà, oppure “la proprietà privata ci costerà la Terra”.
La tendenza predatoria dell’homo lupus capitalistico non si ferma davanti all’evidenza scientifica degli effetti devastanti e autodistruttivi
della stessa. L’avidità non ha argini e, nello stesso numero di Internazionale, la ritroviamo in piena azione nel reportage fotografico di Davide Monteleone che, viaggiando in Asia, Africa e America latina, in quel sud
del mondo che si continua a sfruttare secondo le logiche coloniali di sempre come dice Tsitsi Dangarembga, “ha registrato i costi sociali e ambientali nascosti dietro la transizione energetica”. Proprio così: la mentalità capitalistica dello sviluppo a
tutti i costi non si ferma dinanzi all’evidente collasso del “capitalismo fossile”. Questo, semmai, potrà essere ricordato, se l’umanità
sopravvivrà, come un esperimento nella storia del delirio produttivistico, che continua ad essere l’utopia perversa dello spirito profondo
di questo modo di produzione.
No, la produzione non si ferma. E se avrà bisogno di energia, ebbene questa sarà sempre più potente (leggi: energia nucleare), rinnovabile
e a basso impatto emissivo. Una sorta di energia dematerializzata, verrebbe da dire. Spirituale, evanescente che, tuttavia, al momento
sembra ancora lontana. Perché i criteri per produrre l’energia pulita continuano ad essere i soliti come documenta, appunto, la ricerca di
Monteleone, “Critical minerals. Geography of energy”. L’estrazione dei minerali fondamentali per la cosiddetta transizione energetica comporta, infatti, una serie di problemi come il massiccio
sfruttamento dell’acqua per ricavare il litio in Cile o il disboscamento delle foreste in Indonesia per estrarre il nichel.
Ecco “l'insanabile contraddizione di affidare la lotta al cambiamento climatico allo stesso meccanismo, la crescita
dell'economia di mercato che lo produce” di cui parla Saito
Kohei. Una soluzione proposta dai democratici statunitensi ed europei, secondo un “modello di keynesismo green in cui,
grazie alle tecnologie avanzate e all'intervento pubblico, sarebbe possibile tenere accoppiate crescita produttiva, equità
sociale e riduzione delle emissioni” (Monicchia)
Rooney, Il coraggio di fermare la crisi climatica, Internazionale, 29.11.2024, pp. 43-44,
Rastelli, Il colonialismo schiaccia ancora il mio sud. Intervista con la scrittrice Tsitsi Dangarembga, La lettura, 1.12.2024, p.6
Serafini, La bruttezza è una battaglia politica. Intervista con M. Hilal, La lettura, 1.12.2024, p.16
Caldiron, Oltre la redenzione la luce incerta del noir. Intervista con lo scrittore J. Lee Burke, Il manifesto, 3.12.2024
Malm, Come far saltare un oleodotto, 2022
Michea, Il lupo nell'ovile, 2015
Kohei Il capitale nell'antropocene, 2024
Monicchia, Decrescere con Marx. Capitalismo e natura sono incompatibili, Micropolis, 11, nov 2024
Edney e Reich Ansia e avidità in America
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