lunedì 7 dicembre 2020

LA SCOMPARSA DI LIDIA MENAPACE. P. FRANCHI, Il femminismo, il pacifismo, la politica (e il ‘68): la vita di Lidia Menapace, partigiana, CORRIERE.IT, 7 dicembre 2020

 Se penso a Lidia Menapace — morta oggi, all’età di 96 anni — e alla sua storia mi viene subito in mente il Sessantotto, si capisce. Ma, prima ancora, papa Roncalli, il Concilio, l’errore che va distinto dall’errante, la Pacem in Terris. E pure Palmiro Togliatti, che il 20 marzo del 1963, un anno prima di morire, sceglie Bergamo, la città del pontefice, per uno dei suoi discorsi più importanti, quello sui «destini dell’uomo», in cui il Migliore cerca di impostare su basi nuove, rivoluzionarie, il dialogo tra marxisti e cattolici.





Altro che religione «oppio dei popoli», altro che anticlericalismo vecchia maniera. La modernità capitalistica produce «la solitudine» dell’uomo, che «non riesce più a comunicare con gli altri uomini». E questo è un prezzo troppo esoso da pagare per i marxisti, certo, ma pure per i credenti: «L’aspirazione a una società socialista non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai problemi della società contemporanea».

Non so se quella sera, nella sala del teatro Duse di Bergamo, dove solitamente andava in scena il varietà, ci fosse, assieme a molti comunisti e a molti giovani democristiani inquieti, come il futuro segretario della Cisl Sabino Pezzotta, anche la partigiana Lidia Menapace, cattolica, democristiana. Direi proprio di no, ma fa lo stesso. Nel senso che le sue scelte di vita maturano in quel clima, e fuori di quel clima sarebbe assai difficile, forse impossibile, comprenderle.

Grandi speranze (sono gli anni di papa Giovanni, di Kruscev, di Kennedy), grandi paure (nei giorni della crisi di Cuba il mondo è stato davvero sull’orlo della guerra nucleare), grandi aspirazioni ad uscire ciascuno dai propri steccati, di capire le ragioni dell’altro per cercare di fare insieme un tratto di strada, e magari qualcosa di più: di tutto questo Lidia è partecipe in primissima persona. E a modo suo, pagando di persona la fedeltà ai propri principi.

La sinistra dc, che pure all’epoca è politicamente e intellettualmente vivace, le va stretta, si avvicina al Pci. Forse avrebbe potuto avere un futuro politico nel più grande partito della sinistra italiana, anche se, avendo conosciuto sia lei sia il partito comunista di quegli anni, fatico a crederlo. In ogni caso, a togliere di mezzo questa possibilità provvede il Sessantotto, che segna in modo definitiva il mezzo secolo di vita che il destino ancora le riserva. Non ne condivide i furori ideologici, le astrattezze, gli estremismi infantili: raramente ho conosciuto una persona capace di sostenere con tanta inistente mitezza le sue convinzioni, comprese quelle più radicali. Ma allo spirito di quella stagione resterà fedele siano ai suoi ultimi giorni.

Nel tempo dell’antipolitica, continua ad amare la politica che, confessa un giorno, è valsa anche a salvarla dalla depressioneil Manifesto, i Cristiani per il socialismo, il Pdup, una breve stagione al Senato, eletta nella liste di Rifondazione comunista.

Ma la politica che ama di più è la sua politica, il pacifismo, il femminismo.

E anche, forse soprattutto, l’umanità, i vecchi ma soprattutto i giovani che, correndo come una trottola per l’Italia, incontra nelle manifestazioni, nei dibattiti, nei convegni: un’umanità a cui vuole bene e che le vuole bene, che la considera una specie di istituzione.

Adesso che se ne è andata, questo mondo, più vasto e più complesso di quanto comunemente si creda, la ricorda con affetto e commozione.

Gli stessi sentimenti che prova anche chi, come nel caso di chi scrive, non ha condiviso tanti suoi unilateralismi, ma avverte che con lei se ne andato un altro pezzo, davvero non secondario, della nostra storia migliore.

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