Secondo Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè il fenomeno dell’astensionismo è fisiologico e inarrestabile a meno che si verifichi un’inversione a 360 gradi dell’offerta politica. La risposta al «perché non si va a votare?» data da Weber è tanto semplice quanto tranchant: «Si disertano le urne perché il voto non conta nulla. Quindi o ci sarà un potente cambio di paradigma e l’offerta politica diventerà consistente rientrando in sintonia con l’elettorato oppure anche alle prossime europee e le politiche ci sarà un’astensione sempre più forte». Ma in che cosa gli italiani si sentono traditi? Da promesse elettorali non mantenute? «Le faccio due esempi. Fino al 2018-2019 il primo problema per gli italiani erano gli immigrati, e quello era un tema che in termini di mantenimento delle promesse non costava nulla  e quindi era relativamente facile mantenerle. Poi nel 2020 con la pandemia il primo problema è diventato la salute e quindi la sanità. Quella invece costava e tanto, ed è stato quindi fatale non stare ai patti e crollare nella fiducia degli italiani. Poi guardi ora, e pensi solo che tra il 55 e il 60 per cento degli italiani sono contrari alla guerra e all’invio di armi in Ucraina. Sono per caso rappresentati da questo governo? Governo che proprio a causa dell’astensione è stato scelto soltanto dal 20 per cento degli elettori...». Quindi che cosa succederà, C’è bisogno di novità vere? «Assolutamente sì. I 5 stelle lo erano, ma come si è visto non lo sono più, i leader è dai tempi di Renzi che non si vedono più. Poi c’è stato Salvini e anche per lui ora c’è la parabola discendente. C’è da confidare nella fantasia italiana che ha inventato tutto e il contrario di tutto in politica o giù di lì: dal fascismo al comunismo sino al  leghismo passando per le Brigate rosse. Presto poi ci si dovrà produrre nella ricerca di un nuovo leader che sostituirà la premier attuale che verrà lentamente ridimensionata dai fatti: finita la mano draghiana della provvidenza che calmiera le bollette e estinto il reddito di cittadinanza tutto sarà da reinventare». 

Antonio Noto, direttore dell’istituto Noto sondaggi e membro del Consorzio Opinio Rai aggiunge che la bassa affluenza non è un problema di questo o quel patito, ma di tutti. «La bassa affluenza al voto (41,7% in Lombardia e 45,4% nel Lazio) ha riguardato gli elettori di tutti i partiti: non c’è infatti nessuna forza politica nazionale che avrà più voti, in valore assoluto, rispetto alle elezioni politiche di settembre scorso. La disaffezione si concentra tuttavia in misura maggiore in quei partiti che non sono ritenuti vincenti alle elezioni regionali, come se una parte dell’elettorato non si recasse alle urne quando percepisce che il candidato della sua coalizione non ha chance di vittoria. Questo accade quando la formazione del consenso non è influenzata da variabili ideologiche. Il motivo della scarsa affluenza sarà da approfondire ma nel corso degli ultimi dieci anni l’affluenza alle elezioni amministrative è stata sempre molto bassa. In questa tornata elettorale il calo di affluenza è stato dunque drastico ma il trend viene registrato da tempo, non è una sorpresa». E aggiunge: «L’astensionismo è un prodotto indiretto del fatto che la campagna elettorale è stata breve e sottotono, senza grande coinvolgimento dei leader nazionali. Quindi l'elettorato non ideologico, quello meno fidelizzato non è stato attratto ed è rimasto distante. Non si può nemmeno escludere che una quota parte non fosse nemmeno informata sul voto».

Lorenzo Pregliasco cofondatore e direttore di Youtrend spiega: «Nel Lazio abbiamo avuto la peggiore affluenza di sempre, in Lombardia la terza elezione più bassa di sempre dopo quelle di Lazio e Emilia Romagna del 2014. Siamo quindi di fronte a un tracollo di partecipazione al voto che ha ragioni strutturali dovute al fatto che negli ultimi anni evidentemente è in grande crescita il numero di persone che sentono che il loro voto non incide e quindi pensano che non valga più la pena di votare. Poi ci sono anche ragioni più contingenti come la percezione delle istituzioni che sono viste lontane dai cittadini e le elezioni regionali che non vengono percepite importanti a livello politico quanto un voto nazionale. Poi si è votato pochi mesi fa per le politiche e questi fattori messi insieme spiegano questo dato clamorosamente basso che assume caratteristiche macroscopiche a Roma, città dove è andato a votare il 33,1 per cento: neanche uno su tre. Questa astensione ha danneggiato maggiormente il centrosinistra nel Lazio e questo è un dato che emergeva già ieri nelle nostre analisi sulle correlazioni fra trend d’affluenza e risultato passato».