martedì 7 marzo 2023

LE IDEE DI E. SCHLEIN E I TURBAMENTI DELLA SINISTRA. TROCINO , Elly Schlein è davvero di sinistra? Troppo o troppo poco?, CORRIERE.IT, 7.03.2023

 Il Guardian è incerto: «Elly Schlein è la nemesi di Meloni o è la Corbyn italiana?». Incertezza raffinata, mentre da noi i dubbi sono direttamente proporzionali alla sorpresa per la sua elezione a segretaria del Pd, e più basici: è di sinistra? E può una ragazza dell’alta borghesia nata in Svizzera essere di sinistra?



Non sarà troppo di sinistra? O forse non lo è abbastanza?



L’allusione di Angela Giuffrida sul quotidiano britannico 
è al leader del partito laburista, eletto alle primarie il 1 settembre 2015 sull’onda di un grande entusiasmo soprattutto dei giovani, che esultarono: «Finalmente uno di sinistra». Finalmente si investirà sull’ambiente e sulla sanità pubblica - si diceva -, finalmente si ridurranno povertà e precarietà. Seguirono, puntuali, due batoste elettorali, nel 2017 e nel 2019.


L’ultima, tremenda: il partito laburista portò a casa uno dei peggiori risultati della sua storia e mandò al governo Boris Johnson, non esattamente il candidato migliore e il più autorevole.


Poi c’è la giovane americana Alexandria Ocasio-Cortez
 , la pasionaria democratica, elegante propagandista del «Tax the rich», paladina radicale e glam dei diritti, ambientalista spinta, instagrammer (8 milioni di follower) , origini portoricane e natali nel Bronx, munita di acronimo perfettamente titolabile anche in corpo 80 (Aoc). Che c’entra Ocasio-Cortez con Schlein , che porta un nome straniero ma senza diminutivo pervenuto (gira solo un orrido «Giuselly», con riferimento a Conte), appartenenza al ceto medio-alto elvetico, tailleur sgargianti, giacche troppo larghe e jeans sbiaditi, parentela intellettuale (considerata dai più, ahinoi, una colpa), frequentazioni (merito? no, chi le ha dato i soldi, dicono), sponsor tra i grandi vecchi, voti tra i molti giovani e non tutti del Pd?

C’entra poco, o meglio, non lo sappiamo, non possiamo saperlo al momento. Un po’ di pazienza. Politologi e commentatori si sono già lanciati in giudizi tranchant. Sulla base dei programmi, che poi si sa che fine fanno quelli elettorali, sono spesso slanci di populismo a fin di voto, seppelliti ex post dalla dura realtà della politica o, peggio, del governo.

Quanto ai comportamenti, come giudicare chi si affaccia ora e non si è ancora cimentato nell’agone politico e nel tritacarne mediatico? Chi avrebbe scommesso su Conte quando Alfonso Bonafede ha estratto il suo nome dal cilindro? Cosa avrebbe scommesso poi? Su un Conte avvocato del popolo, su un Conte sovranista o su un Conte sinistro-populista alla Mélenchon? Quanto a Meloni, c’era chi vaticinava sconquassi, democrazia in declino, fine dell’Europa e invece c’è una premier atlantista, moderata e, certo, qualche smottamento a destra, dagli immigrati al silenzio su Firenze, ma insomma, il tutto in una cornice di pragmatismo imprevedibile.

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Il dibattito sui giornali di questi giorni rende l’idea della fluidità dei posizionamenti. La destra l’ha già ribattezzata «ComunistElly» (titolo del Tempo). A molti moderati centristi e del Pd sembra parecchio di sinistra. Anzi, come chiede con più diplomazia Giovanna Casadio a Graziano Delrio «i cattolici democratici sono a disagio per la radicalità della neo segretaria?». Non lui, non l’ex ministro, che è uomo di mondo e apprezza Schlein, purché non si tocchino «sussidiarietà e comunità famigliari». Particolarmente istruttiva, invece, l’intervista a Domenico De Masi, sociologo tendenza Conte (anche se dice che non è né del Pd né dei M5S e ha votato Schlein alle primarie).

De Masi se la ride: «Schlein di sinistra? Poco poco, così così». Sembra bolscevica, dice, «a causa del pregresso pantofolaio e neoliberista». È un effetto ottico, sostiene, perché prende le redini di un «partito a sinistra che sembrava di destra». Anche se, va ricordato, da quattro anni il Pd era in mano alla sinistra dem (vedi Zingaretti), non ai riformisti). De Masi indica la strada per quella che lui, con angolazione contiana, definisce sinistra: «Deve liberarsi dal liberismo, dall’atlantismo, dal draghismo». Nello specifico, «deve emarginare neoliberisti e governisti, dare centralità alle politiche mirate al welfare, affrancarsi dalla sciagurata gregarietà dell’Europa all’America».

Vasto programma, vastissimo. Perché liberarsi dal liberismo ancora ancora, ma rinnegare un Mario Draghi che ha puntellato un Paese (e partiti) allo sbando pare un po’ troppo per il Pd, per non parlare del «liberarsi dall’atlantismo», che suona oltre la sinistra filoputiniana di Marco Rizzo.

Difficilmente Schlein seguirà il programma De Masi. Ma il suo com’è? Con tutti i limiti che abbiamo anticipato (i programmi elettorali son dichiarazioni d’intenti, fogli di carta, libri dei sogni), il Post ha provato a fare un parallelo con i partiti della sinistra europea, con la fatidica domanda di cui si parlava prima: «Quanto è di sinistra Elly Schlein?».

I temi presi in considerazione sono questi: lavoro, diritti, transizione ecologica, politica estera (Ucraina, Europa) e immigrazione. Il primo è il più delicato. Schlein vuole il superamento del Jobs Act, vuole rendere più conveniente il lavoro stabile attraverso lo stop alla precarietà e agli stage gratuiti. Vuole contrastare il lavoro irregolare: «Non è accettabile che i rider non abbiano diritto all’assicurazione, alle ferie, alla malattia, a niente». Chiede il salario minimo e non è ostile al reddito di cittadinanza (nel frattempo modificato e diventato «Mia»).

Il Post ricorda che questi temi sono molto simili alla riforma del mercato del lavoro fatta dal primo ministro socialista Pedro Sánchez . Nel 2020, il governo ha introdotto l’ingreso minimo vital, simile al nostro reddito di cittadinanza. È stato innalzato il salario minimo e sono state date tutele ai rider. Il programma di Mélenchon non è molto diverso: chiede un tetto ai precari, salari più alti, riconoscimento come malattia professionale delburnout (sindrome da stress lavorativa) e salario minimo più alto. Schlein vuole la riduzione dell’orario del lavoro: i laburisti inglesi chiedono di ridurre la settimana da 48 a 32 ore, la Francia ha già una legislazione, voluta dai socialisti, che ne prevede 35; in Portogallo nel 1996 si è passati da 44 a 40 ore.

È la parte del programma più critica, finora, come è inevitabile. Lorenzo Borga sul Foglio ha ricordato che in Spagna la riduzione dei contratti a termine era un’esigenza vera, mentre in Italia è solo una minoranza a non avere l’indeterminato. Maurizio Ferrera, sul Corriere, ha rilevato una certa «ambiguità» sui diritti sociali, contestando le accuse al Jos Act, considerato da Schlein «un grave peccato di marca neo-liberista». Luciano Capone, sul Foglio , ha ragionato sulla Schleinomics: «La visione è chiara, ma il problema è che manca il “come”. Non si capisce come (e da chi) verrà finanziato il suo programma».

Sui diritti civili, Schlein fa riferimento al disegno di legge Zan , affossato in Senato, sostiene il matrimonio tra persone dello stesso sesso, andando oltre alla legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto voluta da Monica Cirinnà (già considerata un’oltranzista). La neo segretaria vuole una legge sul fine vita, sostiene posizioni che definisce femministe, come il congedo paritario non trasferibile tra genitori e una piena attuazione della legge 194 sull’aborto.

La Spagna è già oltre, con la Ley Transha approvato la possibilità per tutti, a partire dai 16 anni, di autodeterminare la propria identità di genere: non serve nessun certificato medico, solo un’autodichiarazione. Nel programma di Schlein, nota il Post, «l’autodeterminazione delle persone trans non viene citata». La Spagna ha approvato diverse disposizioni che eliminano gli ostacoli all’aborto e ha una legge sul fine vita.

Sull’ambientalismo, Schlein si dice contraria al nucleare, favorevole a sospendere le trivellazioni alla ricerca di fonti fossili. E vorrebbe approvare un piano fiscale che leghi le imposte indirette alle emissioni di anidride carbonica, con premi per chi ha comportamenti virtuosi. Mélenchon ha chiesto lo stop al nucleare e ai sussidi per i carburanti fossili. La Germania si trova di fronte alle contraddizioni del realismo: sta fermando il nucleare e ha annunciato un piano per le rinnovabili, ma nel frattempo ha dovuto riaprire alcune centrali a carbone.

Poi c’è la guerra. Su questo Schlein vuole correggere la linea ultra atlantista di Letta. Non nel senso di rinnegare l’Ucraina, di fermare l’invio delle armi o di dare qualche ragione a Putin (ha appena ribadito al sì all’invio di armi). Ma nel senso di sottolineare di più l’impegno per le trattative di pace (vedi l’intervista a «Che tempo che fa»). Nulla di troppo rivoluzionario, anche se la declinazione concreta della correzione di rotta non sarà facile.Mélenchon è stato accusato spesso di compiacenza verso Putin. E anche Scholz, in Germania, è stato criticato per il ritardo dell’invio delle armi a Kiev.

Sull’Europa, Schlein propone «un’Unione più democratica, multilateralista, sociale e ecologista». Niente di spericolato. Quanto all’immigrazione, chiede una riforma del regolamento di Dublino. Così lo ricostruisce il Post: «Il tentativo più concreto di farlo era iniziato nel 2015 al Parlamento Europeo: fra le altre cose, Schlein era fra le relatrici di quella riforma. Ai tempi fu approvata dal Parlamento Europeo con l’astensione della Lega e il voto contrario del Movimento 5 Stelle: venne accolta anche dalla Commissione Europea, che ne aveva scritto il testo base, ma fu bloccata in sede di Consiglio dell’Unione Europea, l’organo dove sono rappresentati i governi nazionali dei 27 paesi. All’approvazione si erano sempre opposti i paesi dell’Est, tradizionalmente ostili all’accoglienza dei migranti dal Medio Oriente e dal Nord Africa».

Insomma, un programma di sinistra, anche se non pare scritto da una pericolosa sovversiva, a prima vista. Un programma che rappresenta comunque una svolta per il Pd italiano, come ha detto il direttore del Corriere Luciano Fontana: «Per la prima volta c’è una segretaria molto giovane e completamente estranea al mondo di riferimento dei partiti che sono finiti con il crollo di Berlino. Schlein interpreta un progetto politico molto diverso da quello iniziale del Pd, che aveva un’ispirazione maggioritaria, guardava ai ceti produttivi e moderati e aveva importanti riferimenti internazionali nel liberalismo democratico. I suoi temi hanno a che fare con diseguaglianza, transizione ecologica, precarietà, difesa della scuola e della sanità pubblica. L’unico richiamo ai valori fondativi originali è quello che ha portato nelle piazze, il pericolo per le libertà democratiche, l’antifascismo come valore da perseguire praticamente. Tanti elementi che non sappiamo se saranno una rivoluzione ma sono una cesura su quello che è stato il Pd finora».

Certo, ora bisognerà verificare il suo grado di flessibilità, l’indisponibilità a cedere sui principi e la disponibilità a cedere sugli strumenti, la capacità di mediare con la sinistra (Fratoianni e Conte) ma anche quella di lavorare con il centro (ieri ha annunciato che potrebbero esserci «battaglie comuni» con Calenda e Renzi). Tutto molto prematuro, naturalmente. La prima prova vera - dopo il bagno di folla di Firenze - saranno le elezioni europee del 2024, dove si vota con il proporzionale, quindi si va con le proprie idee e la propria identità. Bisognerà vedere se riuscirà a costruirne una definita e se non cederà a quella «vocazione minoritaria» che in tanti temono.

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